Le cassette di Aznavour: la nuova raccolta poetica di Nicola Grato, cantore della restanza

La ricerca dei versi del poeta siciliano si dipana sullo sfondo del gomitolo di strade di Mezzojuso

C’è la traccia ben visibile di un senso profondo dei luoghi di Mezzojuso, incisa sulla filigrana dei versi del poeta Nicola Grato. È un piccolo comune, nei pressi di Palermo. Con la nuova raccolta edita da Macabor, “Le cassette di Aznavour”, Nicola si conferma un cantore in versi della “restanza”, termine caro alle indagini dell’antropologo Vito Teti, vissuta con l’onestà dei resistenti, matura e consapevole, senza aver nulla a che fare con la retorica e le autocommiserazioni.

La ricerca dei versi di Nicola Grato si dipana sullo sfondo del gomitolo di strade di Mezzojuso, per ritrovarsi tra le foto di un comodino, i ricordi che sbiadiscono, la forza di una madre o di chi lotta con una bestia, infilatasi di soppiatto nel petto e nelle speranze di vita. “Da quella / notte di giugno giorni duri / come cuoio e senza cuore”.

Il microcosmo famigliare del poeta diventa un crocevia universale, per ogni lettore, che si ritrova a compilare un inventario delle cose che restano, in fondo alla borsa di una madre, come il caleidoscopio dei ricordi, in fondo all’anima di un figlio. “una giacchetta di lana marrone / una gonna di tweed maciullata /dalle tarme, pacchetti di Halls / con qualche caramella ormai ridotta / a un tuttuno vischioso”. È un’universalità condivisa nel petto, che non richiede la maiuscola, al principio dei versi, per rifuggire ogni enfasi e ogni vittimismo.

cosa resta di noi? Cosa rimane / dei nostri discorsi, spesso tirati / fino alle quattro del mattino”.

Resta senz’altro la dose d’amore che si è ricevuta, e quella che si è donata. E soprattutto gli oggetti, intrisi di ricordi, come le cassette di Aznavour, che danno il titolo alla raccolta di versi di Nicola Grato.

L’amore che hai amato ti ha donato / solo un soffio di vento, una distanza”. Sembra volerci dire, il poeta, che c’è tutto il cosmo, ribaltato in un riflesso impalpabile – secondo le leggi di un’ottica inedita – nell’anima di ciascuno di noi. E quella percezione condensa in modo ineffabile dentro alcuni versi, alcune sillabe, con grande efficacia, superando la solitudine che sottende ogni percorso umano, ogni esistenza, che resta nelle cose e nella memoria degli altri, oltre il limite apparente delle stagioni mai viste.

Renata ritirerà il bucato steso / sentiremo il rumore di posate / sul balcone ci sarà ancora il sole”.

Tra i versi, traspare la luce, che si può definire un’infrastruttura immateriale dei luoghi, visibile e invisibile; il sentimento del tempo ci colloca sul suo confine mobile, la luce è impronta digitale del luogo, la cifra entropica che sostanzia il percorso del tempo e fa percepire la vita come il lungo esilio di una continua trasformazione. “in questo silenzio che contiene la voce / di tutte le cose, in questa luce, nel volo / del primo moscone”.