Truffe in agricoltura, 11 persone arrestate: ai domiciliari anche funzionario della Regione Basilicata

Indagate 22 persone nell'inchiesta coordinata dalla Procura materana e condotta dalla Guardia di Finanza

Undici persone sono state arrestate nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Matera che ha fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione criminale dedita alle truffe ai danni dell’Ismea, Istituto dei Servizi per il mercato agricolo. L’operazione scattata all’alba di oggi, 26 gennaio, è stata condotta, dalla Guardia di Finanza di Matera. Tra gli arrestati un funzionario Ismea e un funzionario del Dipartimento Agricoltura della Regione Basilicata.

I reati ipotizzati sono associazione a delinquere finalizzata alla truffa nei confronti dello Stato, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, riciclaggio, autoriciclaggio, ricettazione, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, favoreggiamento personale, emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Gli arrestati. Giuseppe Fierro 61enne funzionario dell’Ismea, Saverio Nuzzolese, funzionario del Dipartimento agricoltura della Regione Basilicata, Antonio Albanese, avvocato di Matera, Vito Contangelo imprenditore agricolo di Montescaglioso, Pierfrancesco Contangelo, Rocco Contangelo e Filomena Contangelo, tutti di Montescaglioso, Antonio Margiore agronomo casertano, Michele Carlucci, agronomo di Altamura, Antonietta Rucireta imprenditrice agricola, Vincenzo Alzone imprenditore. 

Le investigazioni hanno consentito di rilevare plurime anomalie nelle procedure attuate da una serie di imprenditori agricoli e non della provincia di Matera nei confronti dell’Ente pubblico economico Ismea che provvede a concedere specifiche agevolazioni finanziarie trentennali, finalizzate al primo insediamento in agricoltura, a giovani imprenditori che non abbiano superato il 40° anno d’età.

In particolare, nel corso delle indagini, anche tecniche, è emersa l’esistenza di sodalizio criminoso, composto da cinque soggetti (promosso, organizzato e diretto da due di questi) con lo scopo di vanificare, a proprio illecito vantaggio, le positive finalità della legge sull’imprenditorialità giovanile in agricoltura attraverso la commissione di diverse e numerose tipologie di reato.

In sostanza il “pactum sceleris” era preordinato: a monetizzare i terreni dei venditori, normalmente privi di una appetibilità commerciale e con una sopravvalutazione degli stessi, pur restando gli immobili nella disponibilità diretta/indiretta dei venditori/offerenti mediante l’intestazione fittizia a terzi acquirenti utilizzati come “teste di legno” aventi, solo formalmente, i requisiti per accedere alle agevolazioni finanziarie, (solitamente braccianti agricoli sottoccupati presso le stesse aziende riconducibili agli autori delle truffe, giovani disoccupati o occupati in altri settori (di solito privi di qualsivoglia conoscenza o competenza in materia agricola) o società fittizie create “ad hoc”).

a non provvedere al pagamento delle rate di restituzione del finanziamento ricevuto da Isme, con conseguente perdita delle relative risorse erogate, nell’inerzia da parte dello stesso ente pubblico erogante che non provvedeva ad attivare azioni recuperatorie ovvero risolutive dei contratti stipulati con patto di riservato dominio; ad attuare il collaudato sistema con la complicità di funzionari pubblici infedeli appartenenti agli stessi Enti deputati ai preliminari accertamenti dei requisiti, alla valutazione degli immobili offerti ed alla successiva erogazione dei fondi pubblici;

consentendo, sostanzialmente, agli indagati di ottenere finanziamenti agevolati non dovuti in almeno 5 pratiche di primo insediamento giovanile Ismea per un ammontare complessivo di circa 6 milioni di euro.

Una sesta pratica, comportante un finanziamento di 900.000,00 euro circa, non veniva portata a compimento a causa di un errore di carattere contabile commesso dai partecipi al suddetto sodalizio che omettevano di allegare alla stessa la “certificazione bancaria attestante il debito residuo del mutuo per il quale era stata accesa ipoteca volontaria”.

Il sistema di frode attuato. Il proprietario di terreni e fabbricati veniva individuato al fine di richiedergli la cessione della proprietà degli stessi, di dubbia commerciabilità, ad un giovane soggetto, anche in veste di legale rappresentante di società (prestanome fittizio), che, esclusivamente sulla carta, si proponeva di insediarsi in agricoltura usufruendo dello specifico regime di aiuto;

il proprietario ed il potenziale acquirente, supportati dal medesimo tecnico/agronomo, presentavano congiuntamente ad Ismea apposita domanda nella quale il primo dava la disponibilità alla vendita e il secondo, ad insediarsi in agricoltura prospettando un progetto agricolo connotato da una pluralità di migliorie, in termini sia fondiari che di produttività, così da rendere credibile la redditività dell’intervento;

una volta conclusa favorevolmente l’istruttoria da parte di Ismea, anche grazie alla compiacenza di funzionario infedele che avallava sia una stima non congrua del compendio che la sostenibilità economica del progetto, il prefato Ente pubblico acquistava il compendio medesimo liquidando il valore stimato al venditore e contestualmente lo rivendeva, con patto di riservato dominio, al giovane che si era proposto di intraprendere l’attività agricola con l’obbligo da parte di quest’ultimo di restituire in trent’anni il prezzo pagato da Ismea;

il giovane imprenditore fittizio, talvolta prestanome del venditore ed in altro caso prestanome di professionista, gestore occulto di un affare prettamente finanziario, non provvedeva a condurre il compendio agricolo né, tantomeno, a pagare le rate di ammortamento del mutuo agrario contratto con l’Ismea, consentendo la continuazione della gestione agli organizzatori della truffa.

Tutto questo-spiegano gli inquirenti- è stato possibile anche perché Ismea, dopo aver compravenduto il compendio, rimaneva inattivo nelle verifiche sulla realizzazione del piano di investimento prospettato in sede di domanda di aiuto, ma soprattutto non avviava alcuna azione nei confronti del “prestanome” resosi moroso nel pagamento delle rate di ammortamento del mutuo agrario. Fattispecie sicuramente anomala se si considera che la normativa regolante tale particolare regime di aiuto prescrive la risoluzione di diritto dell’atto di compravendita, ai sensi anche dell’art. 1456 c.c., qualora l’obbligato non avesse versato le prime 2 rate del prezzo pattuito.

I cardini del processo delittuoso erano costituiti da un infedele funzionario Ismea e da un imprenditore agricolo-zootecnico di Montescaglioso, il primo con la funzione di calibrare i progetti agricoli presentati mediante l’aggiustamento di parametri creati “ad hoc” e di sostenerli presso Ismea, il secondo con quella di procacciatore d’affari con il precipuo compito di individuare i soggetti interessati alla vendita dei terreni e gli acquirenti fittizi. Il tutto con la collaborazione di due tecnici agronomi di fiducia del Funzionario Ismea e di un impiegato della Regione Basilicata deputato a convalidare i valori di stima e l’attendibilità del progetto.

Indagate 22 persone. All’esito delle attività di indagine la Procura ha ritenuto esistente un grave quadro indiziario nei confronti di 22 persone tra cui anche un libero professionista di Matera resosi parte attiva attraverso la moglie (socia maggioritaria e legale rappresentante di una società creata “ad hoc”) di un acquisto simulato rientrante nelle ipotesi contestate al fine di lucrare circa 280.000 dall’operazione illecita, nonché nei confronti di cinque imprese ai sensi della normativa sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.

Il Giudice delle indagini preliminari, sulla base delle richieste avanzate dall’ Ufficio Inquirente, ha ritenuto la gravità delle fonti di prova prospettate, disponendo la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di 11 persone e il sequestro preventivo di oltre 4,5 milioni di euro agli indagati, nonché il sequestro preventivo dei beni relativi a 5 aziende, per un valore di circa 3,7 milioni di euro.