A proposito di Elisa Claps e dell’ipocrisia che ancora dobbiamo sopportare

“Il manto della Madonna che copre tutto” è un’idea da respingere. Inaccettabile il banchetto della retorica dove si festeggia l’oblio a tarallucci avvelenati e vino contraffatto

Molti dei veri responsabili della tragedia consumata prima, durante e dopo l’omicidio di Elisa, sono già finiti al cospetto della giustizia divina. Chissà com’è andata. Chissà se esiste davvero l’inferno di Dante da qualche parte nelle viscere dell’Universo. Altri responsabili delle o-scenità (fuori scena, dietro le quinte) tramate prima e subito dopo la scomparsa della povera ragazza forse si sono rifugiati in un pentimento privato di fronte al loro Dio o a un sacerdote. Forse alcuni di loro hanno archiviato in se stessi il tormento del peccato, ottenendo, in qualche forma, il perdono religioso che gli ha consentito il ricongiungimento con la pace interiore. È dentro questo ambiguo moralismo, dove, come pesci nell’acqua, nuotano le peggiori ipocrisie, che un omicidio può trasformarsi in un affare che riguarda “una giovane vita che ha avuto la sfortuna di incontrare sulla propria strada uno psicopatico, pronto ad uccidere per un amore malato non corrisposto”.

È in questo mare di ipocrisia che nascono proposte irricevibili che abbiamo ascoltato e letto negli ultimi giorni. Una, in particolare, che attraverso argomentazioni artificiose, invita a non cercare la verità, a unirsi anziché dividersi: “vogliamoci tutti bene che il manto della Madonna copre tutto.” Una proposta orribile: un banchetto di retorica dove si servono tarallucci avvelenati e vino contraffatto.

Minimizzare la vicenda di Elisa con la sfortuna di aver incontrato uno psicopatico sulla sua strada è inaccettabile. Depistaggi, complicità, coperture, omertà, devono emergere, passasse anche un secolo. Abbandonare la ricerca della verità, richiamare un generico spirito di carità e speranza contro l’odio e il rancore è la diabolica caratteristica dell’ipocrisia da cui questa città deve liberarsi una volta per tutte.

Quell’omicidio non è solo un fatto giudiziario, un reato, uno psicopatico in galera, conseguenza di una disgrazia, o di una sfortuna. Quell’omicidio è una ferita indelebile agli archetipi della convivenza civile: uno strappo alla fiducia nelle istituzioni laiche e religiose, all’affidabilità del sistema giudiziario, all’autenticità delle relazioni tra cittadini. E’ il fallimento degli umani in una comunità.

Per questo la vicenda di Elisa non riguarda soltanto la sua famiglia, non è una “questione di famiglia”, ma è un macigno che preme sulle spalle dell’intera società civile potentina e, direi, lucana. Chi non avverte questo peso, chi vorrebbe metterci una pietra sopra per “ricominciare”, non indica la strada giusta per la necessaria redenzione della città Capoluogo. Il perdono è una strada, ma bisogna sapere chi perdonare e per cosa. Solo la verità, tutta, può unire, le menzogne dividono. Solo la verità, tutta, può restituire la pace e la giustizia. E quella verità va cercata, sempre. Il resto è nebbia sporca, rumore, ipocrisia al banchetto della retorica.