Giustizia, scuola, salute: guardiamoci intorno

O ci siamo assuefatti al brutto o siamo complici dell’inciviltà. L'estetica dei servizi pubblici e la banalità dello sguardo

Lo spettro della banalità si aggira tra noi. Guardiamo intorno. Esiste un disprezzo di fondo, una sconsideratezza nei confronti di luoghi fondamentali per la vita. E sono i luoghi della Giustizia, della Scuola, della Salute o meglio della cura. Non è così dappertutto, grazie a Dio, ma è così in molte città. Il nostro sguardo verso questi luoghi è distratto.

I palazzi di Giustizia sono un vero inno all’angoscia e alla “tortura” psico-fisica degli utenti. Luoghi angusti, stanze buie, fredde, inospitali. Esterni caotici e malandati, sale di attesa spartanamente improbabili. Disordine, armadi vetusti, uffici serrati, barriere comunicative ovunque. Ottenere un’informazione diventa un’impresa. In alcuni tribunali il cittadino si sente un estraneo, avverte un senso di spaesamento, ha la sensazione di trovarsi in un luogo surreale. Ed ecco che appena entri in quel palazzo già avverti l’ingiustizia nei tuoi confronti: nessuno ti rispetta, nessuno ti accoglie. Quel luogo è contro di te.

Gli edifici che ospitano le scuole, hanno problemi strutturali, di adeguamento antisismico, calcinacci che cadono, muri interni spellati. Insomma spesso si tratta di edifici decadenti, ristrutturati ogni volta e sempre problematici. Corridoi e aule come i corridoi e le stanze dell’ospedale. L’impianto è guasto, la perdita persiste, gli infissi tremano, l’umidità avanza. Quel luogo disprezza l’istruzione e l’educazione, sottrae dignità a chi lo frequenta, specie quando nelle scuole materne, per esempio, il Comune non ti dota nemmeno della carta igienica.

E arriviamo agli ospedali e alle strutture dei servizi sanitari. Ospitati in edifici di fortuna, decadenti, brutti da vedersi. Quegli esterni decorati da rifiuti di ogni genere, muri scalcinati, muffe, bagni orribili. Ingressi caotici, parcheggi che sembrano ammassi di sfasciacarrozze. Luoghi di confusione, di urla e di disperazione. Entri, ti guardi intorno e cominci la trafila a gimcana delle carte di qua e di là, timbra qua timbra là, vai su per le scale poi le riscendi e le risali. L’ascensore non funziona, da quando? E chi si ricorda. Ti approcci con un eccesso di umiltà a tutti i Camici che incontri: buongiorno dottore, mi scusi…Anche qui, tu sei un estraneo: o paziente o malato o parente del malato, mai cittadino, mai persona.

Non è un problema di estetica degli edifici e di estetica dell’organizzazione: è un problema di cultura della vita civile. In quei luoghi siffatti trovi, per fortuna non sempre, il peggio: palestre private di esercizio del potere piccolo o grande che sia.

Il giudice strafottente, arrogante, che arriva quando vuole e chiude l’udienza a piacimento. L’avvocato-coniglio che piega la schiena, il cittadino che tace confuso nella scena. Sono i luoghi dove non sei nessuno. E così l’ingiustizia abbonda laddove cercavi giustizia.

L’insegnante depresso, affaticato, con l’empatia sotto i piedi, infastidito dalle grida giocose dei bambini, non vede l’ora che finisca la giornata. Docenti inadeguati, scarsamente formati e altri malpagati. Un impiegato del catasto, in certe scuole, farebbe di meglio.

Il medico che ti guarda dall’alto in basso, docile con il potente che lo ha messo in corsia e burbero con te. Ma tu hai paura, ha la tua vita nelle mani, e soccombi.

Questa è l’Italia di cui non si parla più, perché forse abbiamo smesso di guardarci intorno. Intanto, aspettiamo 200miliardi di euro, ma la civiltà non si compra. E “le assurdità di oggi saranno le banalità di domani”.