Covid, crisi: Prorogare le moratorie o rateizzare i debiti?

Il primo febbraio scorso la Direzione generale degli affari economici e finanziari della Commissione europea ha pubblicato un documento allarmante

Il primo febbraio scorso la Direzione generale degli affari economici e finanziari della Commissione europea ha pubblicato un documento allarmante.

Vi si afferma che quasi il 50% delle imprese europee fosse ad alto rischio di default già prima dell’inizio della pandemia. In queste condizioni, se i governi non avessero messo in atto interventi emergenziali, gli effetti della crisi sarebbero stati ancora più marcati di quanto non sia già sotto gli occhi di tutti.

Nel nostro Paese, come un po’ in tutto il mondo, questi interventi sono stati principalmente di quattro tipi: moratorie per i debiti fiscali e bancari, blocco dei fallimenti e dei licenziamenti, garanzie pubbliche sui nuovi prestiti concessi dalle banche, ristori ed indennizzi alle categorie più fragili.

Tutti interventi orientati a mitigare i rischi di tenuta sociale conseguenti alla chiusura di molte attività produttive ed al conseguente inevitabile e drammatico calo dei consumi. Si tratta di interventi necessari e straordinari, ma che non possono non avere termine prima o poi.

Oggi la preoccupazione maggiore è cosa accadrà quando quegli interventi verranno fatalmente a scadenza, ma la ripresa economica, sperata ma incerta, potrebbe non consentire ai debitori di avere cassa sufficiente per onorare i debiti in sospeso.

Già l’Abi, con una lettera del 15 marzo scorso inviata al Governo, ha messo prudentemente le mani avanti chiedendo, tra l’altro, che le garanzie pubbliche sui prestiti bancari vengano prorogate per almeno 15 anni e che le stringenti regole che le banche dovrebbero applicare al rischio di credito siano attenuate ed applicate con flessibilità e progressività adeguate.

D’altra parte, sia Andrea Ernia che Christine Lagarde della Bce, hanno di recente messo in guardia sui rischi di shock improvvisi e gravi che le banche potrebbero subire nel breve termine proprio per il deterioramento dei loro attivi. La loro ricetta è che le banche dovrebbero sin da subito valutare quali saranno i clienti che “ce la faranno” e quali quelli da abbandonare il prima possibile perché destinati a non superare la crisi. Indicazioni tecnicamente corrette nella prospettiva di salvaguardare il sistema bancario, ma che avranno effetti pro-ciclici significativi, specie in paesi intrinsecamente fragili come l’Italia, aumentando il numero delle aziende in difficoltà finanziaria destinate quindi ad uscire dal mercato con le inevitabili conseguenze in termini di distruzione di ricchezza, di posti di lavoro ecc.

I dati disponibili già mettono sull’avviso che soluzioni drastiche potrebbero solo aggravare la situazione. Nicoletta Picchio su Il Sole 24 ore del 16 marzo riferisce:” nella manifattura c’è stato un balzo dai 2,2 anni in media del 2019 ai 5,4 anni del 2021” dei tempi necessari a creare cash flow sufficiente per ripagare l’aumento eccessivo dei debiti delle imprese dovuto alla crisi pandemica.

Il punto centrale è proprio questo. Per ripagare i debiti accumulati nel periodo di blocco della produzione e riduzione delle vendite è necessario creare cash flow. Ma il cash flow si crea proprio perché si torna a vendere prodotti e servizi, mentre il debito è cresciuto anche durante il periodo di blocco. Finché durerà la pandemia e quindi lo stato di emergenza, l’economia non potrà ripartire e quindi i debiti non potranno essere ripagati.

L’idea diffusa è che non ci sia altro da fare che prorogare, almeno fino al termine dell’emergenza, i vari provvedimenti assunti a partire dalle moratorie sui debiti.

Sembra la soluzione più logica, ma non è detto che, da sola, sia la più efficace. Se la fine delle moratorie coinciderà con la fine della pandemia, non avremo fatto altro che spostare in avanti il punto di caduta delle difficoltà finanziarie dei debitori, imprese e famiglie, aumentandone le dimensioni del fabbisogno finanziario. Non basterà.

È invece probabile che si debba imboccare una strada più lungimirante e di prospettiva. Gli analisti si aspettano, ed è credibile, che con la fine della pandemia di osserverà un rimbalzo del Pil molto significativo come sta già accadendo in Cina e nei paesi dove la crisi sembra superata. Ne ha fatto cenno anche il nostro ministro dell’Economia.

Il fatto è che, se non si darà modo alle imprese (ed in generale ai debitori) di “comprare tempo”, molti di loro non saranno in grado di affrontare subitaneamente le scadenze dei debiti nel frattempo accumulati ed entreranno in default non avendo risorse per approfittare della ripartenza.

In queste condizioni sembra più opportuno ed efficace che il ripianamento dei debiti accumulati, ed a quel momento scaduti, non sia istantaneo, ma, per legge, spalmato in un numero di anni tale da essere coerente con la creazione di nuovo cash flow sufficiente ad affrontare sia il debito vecchio che quello nuovo, necessario per finanziare la ripartenza.

In pratica, debiti fiscali, contributivi, bancari e, in qualche misura, commerciali dovranno essere rateizzati per un lasso di tempo sufficientemente lungo (i 15 anni di cui parla l’Abi?) a partire dalla fine dello stato di emergenza, a tassi sostenibili.

Questa soluzione avrebbe il pregio di contenere i rischi di default delle imprese, riducendo le perdite delle banche (che tratterrebbero in bonis i rispettivi crediti), e la necessità dell’Erario e degli enti contributivi di passare a perdita i crediti non pagati. Non meno rilevante la probabilità che le garanzie pubbliche date alle banche non vengano escusse, con non poco sollievo per il debito pubblico prospettico.

Poiché un provvedimento del genere è ben difficile da calibrare in sistema economico complesso, dovrebbe essere applicabile a tutte le imprese e privati vittime della crisi in base, per esempio, al calo di fatturato/redditi rispetto al 2019.

Di converso sarebbe utile prevedere uno sconto premiante a favore di chi, nel corso della rateizzazione, riuscisse ad anticipare il pagamento del debito residuo.

Questo è solo uno dei provvedimenti necessari per affrontare il post pandemia, ma probabilmente sarebbe uno dei più semplici, chiari, trasparenti ed a costo zero.

Dino Crivellari

Gianni Pittella