Criminalità organizzata in Basilicata: la politica non fa il suo dovere

Tutti parlano senza dire niente. Vedono senza guardare, sentono senza ascoltare

Per il consigliere regionale leghista Massimo Zullino i problemi risiedono negli atti di violenza ne Centro di permanenza per il rimpatrio di Palazzo San Gervasio a causa della razza e della religione”,  nei continui sbarchi di “clandestini”, nell’assenza di un Commissariato di polizia nello stesso Comune, nella chiusura del Tribunale di Melfi e, in ultimo, nell’assenza di una sezione della Dia in Basilicata. “Il Tribunale è presidio di giustizia e di legalità”, ha detto qualcuno in questi giorni. Applausi.

Molti altri politici, nei giorni scorsi, a chiedere l’istituzione della Dia, naturalmente dopo le note insistenze del Procuratore capo di Potenza. Perché loro, prima che lo dicesse il Procuratore, mica lo sapevano che la Direzione investigativa antimafia in Basilicata è necessaria. Ma adesso è politicamente corretto chiederlo. E chi direbbe di no?

In molti – sempre politici naturalmente – hanno addirittura azzardato analisi di criminologia e sociologia nel commentare gli ultimi arresti nel Metapontino e nel Potentino. Hanno azzardato proposte indossando i panni di esperti inquirenti e di ufficiali dei carabinieri. Insomma, prendono la parola su tutto tranne che sul dovuto.

Noi non sappiamo se in Basilicata la Dia si farà. Sappiamo che non è scontato per diverse ragioni che abbiamo analizzato in decine di articoli sulla struttura del Sistema di potere in questa terra.

Di una cosa siamo certi: la politica non sente, non vede, non parla. Non sente l’odore del malaffare che la circonda e la penetra; non vede quello che accade in alcuni Comuni e nelle terre del petrolio; non parla di se stessa, delle condanne e dei processi che coinvolgono uomini dei partiti e delle istituzioni. E quando parla, lo fa per celebrare se stessa. E quando vede, evita di guardare. E quando sente, non ascolta.

Per contrastare la Mafia serve la Dia, ma – ripetiamo ancora una volta – per impedire che la criminalità semini e raccolga, è necessario negargli terra e concime, ridurre gli spazi della mafiosità e della cultura che la alimenta. E quando un politico non rinuncia alla prescrizione per il reato di peculato o corruzione, lui è concime. Quando decide di appalti e di assunzioni, lui è concime. Quando falsifica documenti per farsi assumere egli stesso, lui è concime. Quando trucca i concorsi, lui è concime. La politica quando consuma fiducia e non la produce è concime.  Quando promette e non man tiene, è concime. Quando lascia che interi territori vengano abbandonati nelle mani di imprenditori amici senza scrupoli e di capetti locali porta voti, è concime.

Ecco, è di questo che vorremmo sentire parlare i Zullino di turno, i Pasquale Pepe, i Polese, i Cicala, i Pittella, i De Filippo, i Margiotta e compagnia bella. Altro che commissariato a Palazzo San Gervasio. Perché se di questo non parlano dobbiamo avere il dubbio che siano all’altezza delle sfide.