Stellantis Melfi, Donato: rallentate i ritmi, col caldo che c’è gli operai rischiano il collasso

In quella fabbrica le lancette indietro di 100 anni: non è umano

“Alle 2 di stanotte mi potevi strizzare la maglietta per come era bagnata”. Non solo per il caldo, ma per un’improvvisa accelerazione della linea su cui Donato lavorava, alla Stellantis di S. Nicola di Melfi, dopo una fermata tecnica di 10 minuti. “Ho chiamato i superiori, ho spiegato il problema, ma ormai la linea era impostata a quella velocità: che ne sanno i nostri rappresentanti sindacali che presiedono gli incontri romani, loro fanno un altro mestiere”.

Lasciamo per un attimo da parte il futuro della neonata Stellantis. E lasciamo sullo sfondo anche i piani industriali e il futuro dei 12mila addetti (compresi gli indotti) che gravitano intorno all’automotive di Melfi. Tralasciamo anche le voci sull’annunciato smantellamento di una linea e mettiamo in freezer soprattutto gli infiniti tavoli e comunicati quotidiani di “vicinanza agli operai” diramati dalle sigle sindacali. Per un attimo caliamoci nei panni di un soldato semplice, operaio 50enne che da oltre vent’anni conosce solo i turni in fabbrica, alla catena di montaggio. Allora tutto sarà più semplice da comprendere.

Donato. “Moderate la velocità della linea”. Donato la notte scorsa ha fatto un turno da inferno. “Dopo una fermata tecnica di 10 minuti siamo ritornati al lavoro”, premette. Ed è lì che lo scenario si è trasformato in fretta. “Sulla mia postazione prima avevo avuto un ritmo impostato che comportava una certa velocità di esecuzione. Ritornato sulla linea, all’improvviso, mi sono ritrovato a dover tenere una velocità quasi doppia rispetto a 10 minuti prima”. Non è una suggestione e non è un film, in stile ‘Tempi moderni’ di Charlie Chaplin. È pura realtà. “Dopo un’ora a quei ritmi impazziti mi sono dovuto fermare. Avevo la maglia inzuppata, la potevi stringere”, racconta. Neanche il tempo di stringerla davvero, la maglia. La linea correva più forte. “Mi auguro solo che stanotte che ritornerò in fabbrica, non si verifichi la stessa situazione. Non reggerei. Non è umano”. E ancora: “Mi appello a sindacati e superiori, moderate la velocità alla catena. Col caldo che c’è rischiamo di collassare”.

“Chi ci tutela? Nessuno” Donato insiste. “Se puoi scrivilo. Si deve sapere”, è la sua richiesta. E noi siamo qui per questo. Per raccontare la realtà che supera di gran lunga l’immaginazione e le suggestioni cinematografiche. “Un tempo c’erano sindacalisti che misuravano i tempi, la velocità, su ogni postazione. Ma oggi dove sono questi rappresentanti in grado di far valere i nostri sacrosanti diritti?”. E poi un messaggio rivolto a segretari e ‘sottosegretari’ sindacali. “Quando parlate davanti alle telecamere, quando andate a Roma e a Torino a discutere con vertici aziendali e politici, siete sempre così rassicuranti, perché poi davanti ai problemi quotidiani non ci siete mai?”. Una spiegazione Donato ha provato anche a darsela. “Evidentemente – conclude – loro fanno un altro mestiere già da un pezzo. Non stanno sulla linea e non sanno cosa vuol dire correre, a 50 e passa anni, dietro ad una linea che è più veloce di te”. Speriamo che lo sfogo dell’operaio serva a qualcosa, e che la prossima notte non dovrà trovarsi dinnanzi allo stesso incubo degno di ‘Tempi moderni’. Un ritorno al ‘fordismo’ che appare surreale. Anacronistico.