Basilicata, Tempa Rossa: perché i sindacati, i sindaci, confindustria e la Regione tacciono?

La Total nega trasparenza e nessuno chiede conto. Chi paga il prezzo dell’omertà?

Torniamo sulla gara per l’affidamento dei lavori di logistica e sollevamento di cui ci siamo ampiamente, e in piena solitudine, occupati, denunciando procedure sottratte ai doveri della trasparenza.

Nessuno che ci risulti, al momento, ha chiesto con insistenza alla Total di rendere pubblici gli atti di gara, tranne un solitario esponente dell’amministrazione di Corleto Perticara. Perché? Sindacati, sindaci, confindustria, Regione Basilicata e persino il Consiglio regionale, avrebbero dovuto farlo e dovrebbero farlo: è il minimo che si possa chiedere a una multinazionale che dice di ispirarsi ai principi della trasparenza e per introdurre una dose sufficiente di fiducia nell’interlocuzione tra le parti. Senza fiducia tutto diventa tattica, finzione, inganno, compromesso, complicità. Ed è quello che accade da sempre nei famosi tavoli della trasparenza: chiacchiere e fantomatici accordi sui quali ognuno prova a portare l’acqua al proprio mulino.

La dinamica delle relazioni tra le parti è elementare, semplice da capire e da descrivere. Replicabile in tutte le circostanzi simili (si veda Eni e indotto in val d’Agri). La Total ha il denaro, ha il potere di distribuirlo attraverso assunzioni e appalti, contributi e prebende. Ma il suo è un potere relativo, un dominio condizionato dalla politica. La multinazionale ha bisogno delle compiacenze e dei servizi di controllo della politica sul territorio. La politica ha bisogno della Total per orientare appalti e assunzioni allo scopo di accumulare consenso. Si tratta di un’alleanza saldata su convenienze reciproche.

Il mercato del lavoro locale è un “bazar” nelle mani di “capetti” del luogo legati da amicizie e interessi con esponenti regionali e nazionali della politica di destra e di sinistra. Un bazar alimentato dal bisogno di lavoro e di cibo, dove prevale la compravendita della dignità e della libertà delle persone.

Capetti locali che stringono amicizie con i dirigenti di Tempa Rossa e che si muovono come broker delle assunzioni, e non solo, tra una cena e una festa. Capetti appartenenti a fazioni in lotta tra loro: gruppi di sindaci, gruppi di imprese, gruppi politici in contrasto con altri gruppi di sindaci, di imprese e di politici. Dopo ogni tempesta si cerca la quiete. Così è stato a conclusione della vicenda di quella gara d’appalto. I delusi hanno alzato la voce, hanno esposto i mugugni negli angoli delle piazze: ma poi è bastata una promessa, una pacca sulla spalla, una ricompensa qualunque, oggi o domani, o magari un ricatto, e le acque come al solito si sono calmate.

È ormai quasi impossibile sottrarsi a certe regole: in quel territorio è stata fondata una diversa organizzazione economica, sociale e politica ignota alla civiltà democratica. Una forma di civiltà locale sviluppata intorno all’economia del petrolio, che assume caratteri arcaici. Una forma di civiltà che esclude chi non si adatta alle ferite di una tortura morale che logora le coscienze. Una forma di civiltà che poggia sulla sub cultura del silenzio, dell’omissione e dell’omertà.

Se la Total non renderà pubblici gli atti di gara e non chiarirà le anomalie emerse durante le procedure, questa negazione sancirà in Basilicata il radicamento definitivo di un dominio economico e politico che si nutre delle miserie individuali e sociali. I sindacati, i sindaci, la Regione Basilicata, in primo luogo, hanno il dovere di pretendere dai vertici della multinazionale francese risposte chiare, inequivocabili, fino ad oggi negate. In caso contrario sarà la fine di ogni speranza di riscatto per questa terra. E loro, i sindacati, i sindaci, le istituzioni regionali saranno complici di quella fine.

Quando un cittadino tace per paura è probabile che lo faccia per legittima difesa, non sempre si tratta di omertà. Quando a tacere sono le istituzioni quella è omertà, sempre.