La Basilicata fra lo sviluppo mancato e la transizione necessaria

"Qualcuno ha scritto che l’ecologia senza lotta di classe è giardinaggio. In Basilicata oltre all’assenza storica di un modello di sviluppo e di una dimensione sociale della giustizia, è venuta meno anche l’idea di ecologismo stesso"

Mentre tutto questo accade, a proposito di generazioni che verranno, la Regione Basilicata ha siglato – con oltre 18 mesi di ritardo – l’accordo preliminare con Eni e Shell sulle concessioni dei giacimenti petroliferi in Val d’Agri, valido per i prossimi dieci anni e retroattivo a partire dal 2019. Per intenderci, fino al 2029 gli accordi saranno vincolanti. Fino ad un anno prima dal 2030 che per le Nazioni Unite rappresenta l’anno entro il quale perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

L’Italia, infatti, è uno dei Paesi ad aver aderito agli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Fra i 17 obiettivi, quello che più di tutti avrebbe dovuto facilitare una riflessione pubblica ed un indirizzo politico è l’Obiettivo 7 che nei “Traguardi” al punto 7.2 e 7A indica chiaramente: “Aumentare considerevolmente entro il 2030 la quota di energie rinnovabili nel consumo totale di energia” e “Accrescere entro il 2030 la cooperazione internazionale per facilitare l’accesso alla ricerca e alle tecnologie legate all’energia pulita – comprese le risorse rinnovabili, l’efficienza energetica e le tecnologie di combustibili fossili più avanzate e pulite – e promuovere gli investimenti nelle infrastrutture energetiche e nelle tecnologie dell’energia pulita”.

Eni, dal canto suo, dopo la condanna in primo grado del marzo 2021 per traffico illecito di rifiuti prodotti dal Centro Oli Val d’Agri (COVA), punta ad un processo di decarbonizzazione al 2030 e al 2050 virando sul gas (che è un combustibile fossile) e sul confinamento geologico della CO2. Pertanto, alla luce dell’accordo stretto con la Regione Basilicata ed analizzando il trend del mercato petrolifero e dell’intensità di produzione che AIE e OCSE auspicano, l’azienda è ben lontana dalla svolta green di cui parla.

Eccola, al netto dei numeri che ora analizzeremo, la grande contraddizione politica, economica e sociale che si annida dietro questo accordo preliminare: arrivare nel 2029, a un anno dal 2030, senza nessuna strategia di transizione energetica ed ecologica, senza nessun progetto di riconversione economica e sociale del territorio, senza alcun confronto pubblico o privato con le organizzazioni rappresentative, le parti sociali, le associazioni, le scuole, l’Università di Basilicata che sarebbe dovuta essere coinvolta in una strategia ampia di innovazione finanziando, ad esempio, borse di ricerca sui temi della transizione, sul tema dell’idrogeno che viene usato spesso ma con poca struttura scientifica. Sarebbe utile che questo governo regionale rendesse nota la propria idea su come coinvolgere la Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) che in Basilicata ci opera.

La crisi sanitaria e quella climatica sono strettamente collegate e ci impongono scelte risolute. Continuare a perseguire lo sfruttamento del fossile per produrre energia è una strategia che non guarda lontano. Quale situazione vivremo fra 100 anni? La Basilicata deve pensare ad altri modelli di sviluppo e ribaltare lo scenario con investimenti rivolti alla diversificazione economica, alla sostenibilità ambientale e all’economia circolare. Tutto questo senza cedere ad operazioni di greenwashing, come spiega benissimo Legambiente Basilicata: si pensi al progetto Energy Valley di Eni che altro non è che un investimento che guarda a specifici interventi quasi tutti funzionali all’attività del centro Oli Eni. Cicero pro domo sua. Occorre un programma concreto di riconversione produttiva incentrata sulle rinnovabili, sulla bioeconomia e impegni concreti che vengano assunti dalla Regione Basilicata con il coinvolgimento di tutti gli stakeholder territoriali.

In Olanda una sentenza del Tribunale dell’Aja del 26 maggio 2021 ha condannato Shell a ridurre del 45% le emissioni di CO2 entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019. A portare la multinazionale in tribunale sono stati 17mila cittadini olandesi costituitisi parte civile e l’ONG Milieudefensie. La sentenza ha imposto all’azienda di allinearsi all’accordo sul clima di Parigi ed all’Agenda ONU 2030. In Basilicata in pochi hanno sollevato la questione, che sarebbe da ascrivere più alle responsabilità politiche che a quelle commerciali di Eni, Total e Shell, visto il tipo di accordo preliminare decennale che i rappresentanti del popolo lucano hanno firmato con estrema leggerezza e senza alcun confronto pubblico.

L’accordo prevede contributi fissi per 190 milioni di euro su dieci anni destinati al finanziamento di progetti di sviluppo. Di questi fondi, 100 milioni saranno banditi dalla Regione, e i restanti saranno allocati direttamente da Eni e Shell. La parte variabile prevede un contributo di 1,05 euro per barile prodotto, qualora il prezzo medio annuo sia almeno pari a 45 dollari al barile. Nell’ipotesi che il prezzo sia sempre superiore a questa soglia e che la produzione sia sempre pari alla capacità massima nel periodo 2021-29, il contributo ammonterebbe a circa 346 milioni di euro. Qualora il prezzo scenda sotto la soglia, il contributo sarà inferiore. Una formula che garantisce un contributo per barile superiore a quello per le produzioni di Tempa Rossa quando il prezzo del petrolio è minore di 62 euro circa, ma inferiore quando è più alto. Infine l’accordo prevede una fornitura gratuita di gas, pari a 160 milioni di metri cubi all’anno, il cui valore ammonterebbe nel 2020 a circa 19 milioni di euro. (continua nella pagina successiva)