Eni influenza la ricerca in Italia? E l’Università della Basilicata ha fornito i dati a Greenpeace?

Greenpeace chiede i dati, gli atenei li negano: “Sono riservati, non riguardano il pubblico”

La questione è stata tratta ieri, 29 settembre, in un articolo di Luigi Franco su Il Fatto Quotidiano. “L’associazione ambientalista – spiega Franco – ha chiesto l’accesso agli atti in base alla legge 241 del 1990 o con lo strumento del Foia (accesso civico generalizzato) in tutte le 66 università pubbliche, per capire come e quanto le aziende leader nel settore oil&gas e difesa determinino i programmi di studio. La risposta è stata sconcertante: solo una netta minoranza ha fornito tutti i dati completi. E il primo ricorso al Tar è stato respinto”

Il settore oil&gas e quello difesa – si legge nell’articolo – influenzano la didattica e la ricerca universitaria? E i big dei due settori, da una parte Eni dall’altra Leonardo, quanto denaro danno agli atenei italiani per accordi di collaborazione, corsi di laurea o borse di studio? Due domande lecite e di interesse pubblico cui l’associazione ambientalista Greenpeace ha cercato di dare una risposta con una serie di accessi agli atti in tutte le università pubbliche, ben 66. Ma con un risultato sconfortante: in poche hanno risposto inviando gli accordi sottoscritti con le aziende e fornendo dati sui finanziamenti ricevuti. Contro due delle università che si sono negate Greenpeace ha fatto ricorso al Tar.

Sono 36 su 66 le università italiane che hanno accordi con Eni, secondo i dati raccolti dall’Unità investigativa di Greenpeace Italia che il fattoquotidiano.it ha potuto visionare. Di queste, solo nove hanno inviato quanto richiesto, mentre 12 hanno reso disponibili solo una parte dei documenti o hanno cancellato le parti rilevanti. Del resto Eni, quando è stata interrogata dagli atenei in qualità di soggetto controinteressato, si è sempre opposta alla condivisione dei documenti: le informazioni richieste da Greenpeace, si legge per esempio nell’opposizione inviata all’università degli Studi di Genova, “non ineriscono alla promozione di un dibattito pubblico” ma rispondono a “un mero bisogno conoscitivo privato” e “accordi accademici e/o eventuali connessi rapporti finanziari non possono in alcun modo costituire un fattore suscettibile di incidere sullo stato dell’ambiente ovvero costituire essi stessi informazione ambientale”. 

E i finanziamenti ricevuti? A questa domanda hanno risposto in modo completo solo cinque atenei (quelle di Bari, Cagliari, la Federico II di Napoli, l’università per stranieri di Perugia e lo Iuav di Venezia) con un totale di 1,3 milioni di euro incassati tra il 2016 e il 2021 da Eni, un dato parzialissimo considerando che la maggior parte delle università ha taciuto i fondi ottenuti. Qui l’articolo completo.

La nostra domanda è: L’Unibas ha fornito i dati a Greenpeace? Ci risultano diverse attività in collaborazione con Eni o finanziate dalla multinazionale. Ultima la nuova edizione del Master di I livello in “Idrocarburi e riserve: Sicurezza e Controllo Ambientale nelle attività di produzione di idrocarburi naturali (IRIS)”. Il Master attivato dall’Università degli Studi della Basilicata, in collaborazione con ENI-ECU, ARPAB, Regione Basilicata- Dipartimento Ambiente, Camera di Commercio della Basilicata, Basilicata Oil Contractors Network, AssOil Scholl, è destinato a giovani laureati in discipline scientifiche che vogliano acquisire competenze nel campo della sicurezza e controllo ambientale del settore petrolifero.