La nuova silloge di Giuseppe Di Matteo: “Meridionale. Frammenti di un mondo alla rovescia”

Un progetto che ha molte dimensioni da riconoscere e da svelare

“Parlare di Sud introduce implicitamente complessi dualismi. Come ricorda l’antropologo Vito Teti in Maledetto Sud (Einaudi, 2013), il Sud – qui più genericamente inteso – acquisisce l’accezione di “doppio inquietante”, un “altro da sé”, il capro espiatorio di un mondo occidentale che ritrova incompiuta la gran parte delle sue aspirazioni, popolato da gente insicura e spaventata da nuove arrembanti categorie di nemici. In quelle paure si annidano i comportamenti irrazionali, di chiusura, da cui scaturiscono le barriere, i muri, materiali e immateriali. Lungi dal restare nei ristretti confini nazionali dell’atavica e irrisolta “Questione meridionale”, il dualismo Nord-Sud assume inquietanti dimensioni sovranazionali, globali. Pertanto, è solo uno dei tanti Sud, quello di chi scopre, a un certo punto della propria vita, di abitare un’Italia marginale, oggetto di pregiudizi e stereotipi – propri e altrui – perniciosi al pari di tutte le goffe semplificazioni di ciò che è complesso, sfaccettato, stratificato. L’occhio di Giuseppe Di Matteo è onesto e sa riconoscere anche i ritardi e le inerzie del suo Meridione di provenienza. Egli non scrive “Meridionale” per aderire a un meridionalismo del pianto. Al contrario, reagisce con veemenza e criticamente, trovando nei persistenti divari l’impulso generatore della sua scrittura poetica, riconoscendo al Sud Italia di esser solo un tassello dell’anagrafe ampia dei “Meridioni” del mondo. È quella la tavolozza policroma e multiforme cui fa riferimento la silloge di Giuseppe Di Matteo, che ricorre alla forma poetica del frammento, con chiara ispirazione ungarettiana; essa si conferma congeniale per dar luogo ai movimenti sistolici e diastolici del suo respiro poetico, dando spazio al carsismo doloroso delle vicende umane, imprimendo sulle sue pagine i nomi di persone e popoli attraverso lapidarie immagini, in forma di schizzo a fil di ferro, talora moniti vigorosi, talora melanconici epitaffi, talora coraggiose esortazioni.

La “maledizione” di esser meridionali rivive negli occhi tristi del venditore africano, di chi parte di notte, lasciandosi una porta socchiusa alle spalle. Ha il sapore che lascia in bocca l’amarezza di chi parte suo malgrado. Nelle immagini che emergono dalle pagine di “Meridionale”, anche i tramonti sono “migranti inattesi”, vestiti di terra rossa: anche il cielo è reso partecipe della danza di partenze e ritorni a cui sono state condannate generazioni intere.

Per gli spiriti inquieti, come quello dell’autore, l’interazione coi Meridioni può essere una lancinante esperienza di lotta, partenza e restanza. “Chi resta davvero / si consegna d’amore / al suo nemico di sempre”. Mentre, d’altro canto, il bottino di chi parte è un “Un sole pallido di pietra viva”. Al centro, il Mediterraneo, che l’autore ritrova negli occhi della donna amata e nei suoi ritorni meridiani. Un mare carico di storia, bellezza e leggende ma anche una tomba per chi fugge da altri inferni “Mediterraneo: / muro liquido / di un Meridione / che muore”.

La poesia di Di Matteo pone in evidenza le questioni più spigolose dei diversi Sud del nostro mondo. Non ha alcun intento consolatorio, non edulcora la realtà. Al massimo, punta a sintetizzare la complessità del reale. Nei frammenti circolano temi di riflessione sulla partenza, la restanza e i ritorni “Questione meridionale / romanzo poetico / dell’ultima porta socchiusa”. Il continuo flusso migratorio “dal mare al pane” occupa uno dei centri nevralgici di questa silloge, come il tema del viaggio e della nostalgia di casa, della Puglia, trasfigurata in una sposa “di pietra candida / su un sole di grano”. La poesia si conferma uno strumento indispensabile per poter leggere e tradurre il nostro tempo, le sue paure e le sue aspirazioni. È indispensabile soprattutto per scuotere i lettori e sottrarli allo smarrimento: per dirla con la poeta Elisa Biagini, la poesia è il legno che ci sorregge nell’acqua, “parola-ramo che ci tiene””.

Giuseppe Di Matteo