La ricerca dello sguardo in cui perdonarsi

L’esperienza poetica di Domenico Carrara

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Lo sforzo poetico consente di maneggiare materie incandescenti. Alcuni versi rimandano al disagio delle condizioni dei lavoratori precari o dei migranti, altri leniscono i cuori dei randagi. L’esperienza poetica di Domenico Carrara si incastona a pieno titolo tra le storie del Mezzogiorno Padano, sapientemente descritto da Sandro Abruzzese. Il giovane poeta irpino, emigrato in Lombardia, ha messo le sue parole in controluce, nella silloge Nel ripetersi delle cose, edita da Homo Scrivens (2021). Oggi vorrei provare a ricordare la voce di Domenico Carrara, che ha sempre protetto la sua scrittura dalla tentazione della sovraesposizione mediatica.

Interprete in versi di una generazione schiacciata tra quella dei figli del boom e quella dei cosiddetti nativi digitali, in continua ricerca di una stabilità negata: lavorativa, umana, sentimentale; lasciata a languire in un gorgo di precarietà molteplici, di continui esami e valutazioni di idoneità. Carrara parla a noi del nostro tempo, del veleno che addomestica i nostri sguardi e ci fa nemici degli altri e di noi stessi. Il contesto di partenza è quello di un figlio della nostra provincia – quella irpina, in particolare – che serba profondi i ricordi del nonno, che scopre nella vita l’affastellamento di “un breve elenco di minuscoli dettagli“, incastonati in qualche piccolo cantuccio degli occhi. 

Nel ripetersi delle cose propone con delicatezza e garbo la parola di un poeta che ben conosceva il mondo precario, prima di farsene interprete, pur senza il piglio spigoloso del contrasto e dell’acredine. La vita vissuta come impegno e responsabilità: a noi l’arbitrio di “poter fare delle nostre mani / strappi o carezze leggere“. 

Carrara ci lascia dei versi senza equivoci, adamantini, su cui s’infrange il silenzio, una vita vissuta come una lenta evaporazione nel petricore, in cui solo la parola sa essere “benedetta”, esperienza interiore, senza cercare riflettori. “E chi sfida questo potere / che avvelena gli sguardi, / i traguardi calati dall’alto / l’odio per chi è nato altro.” Il poeta s’interroga sulla nostra natura, sul senso del nostro vivere, della quotidianità, della ciclicità delle storie: “eppure nasciamo ostinati / nel ripetersi delle cose”,  sul legame tra ciò che siamo e saremo, soprattutto grazie all’incontro con gli occhi dell’altro da sé. “La mia terra è diversa nel tuo sguardo, / riesco a perdonarla di più”. Negli sguardi degli altri si sciolgono i nodi più intricati, i conflitti più laceranti.

Negli sguardi degli altri si perdona tutto alla propria terra, anche se avara di opportunità e serva del potere del Gattopardo. Negli sguardi degli altri, soprattutto, trova riposo persino l’antica battaglia con se stessi. “Io sono diverso nel tuo sguardo, / riesco a perdonarmi di più”. “Casa è dove ridono i tuoi occhi”. Il poeta al suo tempo chiede solo di poter svanire nello sguardo dell’altro che cura. E di trovare una parola che faccia vibrare, che sconquassi l’anima e la riporti all’origine, forse all’innocenza di uno sguardo terso. La ricerca di Carrara si snoda sulle corde del silenzio: “Lasciami stare qui, / tra le cose silenziose, / come sono gli alberi, / le piazze a ora di pranzo”.  Un conflitto molto forte emerge nei versi che trattano il rapporto tra la poesia e la Rete, il concreto rischio di suscitare attenzioni morbose, estetizzanti, oltremodo mediatizzate, prive di spessore, oltre la planarità piatta dello schermo. Il concreto rischio di sottrarre al verso la possibilità di farsi riflessione sui dolori degli ultimi, sulla morte stessa, bandita dai media perché non fa ascolti. Perché il Sapiens preferisce il caos che annichilisce ogni voce, il rumore senza senso. “Siamo un gridare / che spegne il gridare / con altro gridare. / Siamo la claustrofobia / d’uno stagno prigioniero / nel suo stesso gracidare”.

La parola di Domenico Carrara è sempre accogliente, ripudia ogni forma di violenza e di odio, sottoprodotti indesiderati e recidivi nell’uomo: “L’odio parla dell’occhio da cui viene”. La parola di Carrara è abbraccio accogliente: “Vorrei avere gli occhi / di tutti gli schiacciati”. In questo microcosmo poetico hanno un peso specifico particolare parole che si snodano su un unico filo come “riparo”, “cadere”, “notte”, fino a “porto”. Nel ripetersi delle cose, si può imparare a interrogarsi su ciò che stiamo perdendo, su ciò che siamo diventati. 

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