Giorno del Ricordo in memoria dell’appuntato dei Carabinieri Vito Lorusso di Avigliano

Il militare lucano venne infoibato e gettato, insieme ad altri, nella cava di bauxite di Cise, tra Montona e Pisino

La legge n. 92 del 30 marzo 2004 ha istituito il “Giorno del Ricordo” per ricordare le vittime delle “foibe” e l’esodo di massa degli italiani che risiedevano in Istria, Dalmazia e a Fiume.

Ogni anno il Ministero dell’Istruzione emana una circolare nella quale invita le scuole a dedicare a codesti tragici fatti della storia italiana dell’immediato dopoguerra un approfondimento ed una riflessione.

Se non ci fosse l’impulso di qualche sensibile dirigente scolastico e di qualche docente, nonostante gli obblighi di legge, di questi fatti storici non se ne parlerebbe affatto e tutto è spesso archiviato nel faldone o nella cartella che raccolgono le circolari ministeriali. Ha fatto qualcosa di meritorio allora la Consulta provinciale studentesca a dedicare un’assemblea plenaria dei componenti a questi eventi, con l’intervento di Roberto Menia, figlio di esuli giuliani e primo firmatario della legge.

Sarebbe il caso allora che anche la Regione, come ha fatto la Regione Piemonte, dia risalto a questa giornata e alla necessità di rinverdire la memoria di fatti che hanno riguardato decine di migliaia di italiani (le foibe) e centinaia di migliaia di altri italiani (l’esodo giuliano -dalmato-istriano).

Nel 2021, si sono verificate polemiche generate dal tentativo di un paio di storici di estrema sinistra di negare la tragedia delle “foibe”. Nessuno però si è scandalizzato di questo “negazionismo” che ferisce profondamente la memoria di centinaia di migliaia di italiani. Quando non si sono negati questi tragici fatti, li si è fatti rientrare nella logica delle “comprensibili” reazioni alla dittatura fascista.

Sappiamo invece che i comunisti jugoslavi, guidati da Tito, volevano annettere alla Jugoslavia territori che da sempre erano ritenuti italiani e usarono tutti i mezzi per riuscire nel loro obiettivo, persino quello di sterminare la brigata “Osoppo” di partigiani “bianchi”.  Enrico Mattei, il partigiano fondatore dell’Eni, censurò il comportamento e gli atti di Togliatti e dei comunisti italiani su questi fatti, comportamento cui sembrano ispirarsi codesti sedicenti storici. ‹‹Con sommo sdegno ‒egli diceva ‒ abbiamo letto nei giorni scorsi il telegramma di solidarietà e di plauso inviato dal capo del Partito comunista ai condannati per l’eccidio di Porzus, ritenuti di aver ucciso il capitano “Bolla”, dopo avergli strappato gli occhi, e trucidati i suoi partigiani.[…] La solidarietà dei comunisti interni verso i condannati diventa ancor più turpe e beffarda per l’eco ad essa fatta da una protesta ufficiale jugoslava contro la sentenza di Lucca, nella quale vengono esaltati gli assassini ed oltraggiati i partigiani nel nome rispettato del loro antico comandante generale.››

A chi dovesse ritenere che sono eventi distanti da noi, non solo cronologicamente ma anche geograficamente, vorremmo ricordare due fatti. Ginosa Marina ha nella propria popolazione una componente di origine istriano – dalmata perché all’epoca dell’esodo, per sistemare i profughi provenienti da quelle terre strappate dagli jugoslavi, furono utilizzate le case del villaggio turistico di quella località.

Inoltre anche un lucano fu tragicamente “infoibato”: il carabiniere aviglianese Vito Lorusso, classe 1923, che scelse di difendere l’Istria italiana entrando nella Milizia di difesa territoriale dell’Istria comandata da Libero Sauro, il figlio di Nazario, il famoso comandante irredentista dei Mas. Egli poteva tranquillamente ripiegare, prima che iniziasse la “pulizia etnica” degli italiani, verso la prima caserma dei carabinieri entro i confini più certi dell’Italia, come fecero molti altri carabinieri suoi commilitoni, invece scelse di rimanere a difendere altri italiani e le loro terre.

Vito Lorusso, insieme ad altri appartenenti alla milizia, furono mitragliati dai titini e poi gettati nella cava di bauxite di Cise, tra Montona e Pisino.

L’ istriana Silvia Peri, che li vide passare nei pressi di casa propria racconta: ‹ Ricordo che erano scalzi, rotti, uno aveva addirittura gli occhi fuori dalle orbite. La loro destinazione era Cava Cise, una cava di bauxite, profonda tre metri. Li hanno buttati dentro ma non erano tutti morti, si lamentavano…la gente che passava alla curva per andare a Pisino sentiva lamenti e pensava che fossero bestie malate, e allora non ci andava vicino. Poi però sentirono una puzza tremenda…››[1] I resti di Vito Lorusso, come quelli di altri suoi sodali trucidati, sono stati riesumati e seppelliti con degna sepoltura e tanto di lapide nei pressi della cava. Forse Avigliano, se non lo ha già fatto, ed altri comuni lucani dovrebbero dedicare una via o una piazza a questo ardente e generoso italiano di Basilicata.

Leonardo Giordano – Dipartimento Nazionale “Istruzione” Fratelli d’Italia

[1] Roberto Menia, 10 febbraio. Dalle foibe all’esodo. I libri del Borghese, Roma 2020, p.99. Menia è il parlamentare che nel 2002 fu il primo firmatario della proposta di legge sull’istituzione del “Giorno del Ricordo”.

sepoltura di Lorusso