Operaio Stellantis: “Siamo ‘schiavi’ anche dei sindacati”

La denuncia di Franco, assunto col job act a Melfi: “Se protesti ti minacciano in modo sottile e ti isolano. E’ un ricatto insopportabile”

“Solo qualche giorno fa i sindacati esultavano per la piena occupazione annunciata. Ora invece 4 giorni di stop per i semiconduttori che mancano. Vi siete chiesti come faremo dall’1 marzo a partire magicamente con 20 turni e 4 squadre?”. Non le manda a dire Franco, operaio Stellantis della generazione job act ma con le idee ben chiare su come stanno andando le dinamiche in fabbrica tra sindacati sempre più “asserviti” e operai sempre più “sudditi impauriti” dei loro stessi rappresentanti.

Negli ultimi giorni, sostiene Franco, si è come precipitati in un vortice di isterismo. “Dai 20 turni annunciati allo stop fino al 14 febbraio per assenza di semiconduttori”. Non si sentono proteste per questi cambiamenti improvvisi. Ma lui non ha dubbi. “Vuoi sapere chi sono i primi a non ribellarsi – rivela – Sono proprio gli operai del job act, quella fetta di 1800 lavoratori entrati con la riforma di Renzi, 7 anni fa”. Il perché è presto detto. “All’epoca quando si entrava, i capi cercavano amici, parenti e figli di chi già era lì. Bisognava arruolare persone che dovevano essere già preparate da un ‘familiare’ esperto, a come muoversi lì dentro. Silenzio, stipendio, e mai una ribellione. Come in una caserma”.

“Se protesti ti minacciano e ti isolano”. Franco racconta la sua esperienza e fa un passo indietro a giugno scorso, quando i sindacati fecero l’accordo con Stellantis. “L’ultima assembla sindacale l’abbiamo fatta a giugno. Chiunque osava esprimersi liberamente e non faceva il cane al guinzaglio del delegato di turno, è stato isolato”. Per un attimo, aggiunge, “pareva che la classe operaia si stesse ribellando ad apparati sindacali sempre più assenti e proni alla proprietà”. Un mese dopo il quadro è cambiato. “Il 92% degli operai – spiega – ha votato esattamente gli stessi rappresentanti, salvando lo status quo”. Da quel momento, “l’azienda ha smontato una linea, ha fatto quello che voleva. Da 4 giornate lavorative al mese, alla piena occupazione senza esuberi annunciata qualche giorno fa. In tutto ciò dove erano i nostri sindacati?”. Franco ha provato spesso ad alzare la testa, ma la risposta è stata perentoria. “Sono meschini. Ti fanno avvicinare da soggetti che ti dicono poche parole. E sono minacce sottili e velate. Oppure te la fanno pagare i tuoi superiori, concedendoti a stento le ferie o assegnandoti le postazioni più toste”.

“Il raccomandato in 3 mesi passa avanti al veterano”. Fa un esempio Franco, riferendosi al ‘montaggio’, dove lavora. “Un operaio accanto a me ha oltre 50 anni, in 27 anni non ha mai fatto un giorno di malattia. Ha bisogno del salario perché ha figli e famiglia”. All’improvviso, però, “vedi il ragazzo di 30 anni, mandato in fabbrica dal solito capetto, che in soli 3 mesi si trova su una postazione meno faticosa della sua”. Il 50enne, con la schiena rotta, non dice nulla. “E sai perché – si infuria Franco – perché ha bisogno. E se dice qualcosa gli assegnano una postazione ancora più dura”.

“Siamo impotenti e isolati”. Fa un altro esempio Franco, relativo alle ultime settimane. “Col nuovo mix produttivo ti arrivano macchine in sequenza casuale e spesso ti trovi fuori postazione. Se vuoi puoi fermarti, ma poi entri nella lista nera”. Ciò equivale a dire che diventi indesiderato. “Ma mica solo per i capi, anche per gli stessi sindacati che ti dovrebbero tutelare. E’ assurdo, ma ti trovi impotente e isolato”. Ma ancora più assurdo, dal suo punto di vita, è che “i primi a piegarsi a questa logica sono proprio i giovani entrati col job act. Proprio così. Il giovane è ancora più succube, schiacciato dal ricatto e dalla paura di trovarsi già con un piede fuori”.

“Senza presa di coscienza la vedo scura”. Franco non ripone fiducia nel futuro. “Coi sindacati ammaestrati da Stellantis e con noi sotto lo schiaffo sindacale – è il suo monito – la vedo scura. Accetteremo qualsiasi condizione lavorativa e pagheremo in termini di dignità”. E ancora: “Se dici ai colleghi che così non va, che andrebbe strappata la tessera, ti danno ragione. Ma poi ogni volta eleggono gli stessi delegati. Che ovviamente contano i voti e sanno chi sei. Allora vuol dire che il ricatto parte quando vieni assunto. E non te ne liberi più”. E conclude: “Attendo che qualcuno smentisca le mie parole”.