Regioni cicala e regioni formica: “l’ennesima fesseria sui soldi al Sud”

Spesa pubblica e PIL non sono variabili indipendenti e a maggiore spesa pubblica corrisponde maggiore PIL, metterle in relazione è scorretto. Ai liberisti non fa piacere sentirselo ricordare ma è così

L’ennesima fesseria sui soldi al Sud parassita ci mancava proprio. A colmare la lacuna ci ha pensato il caporedattore di Libero, Sandro Iacometti, il 18 febbraio 2022 riassumendo le risultanze di uno studio del  Centro Studi Impresa e Lavoro.

Non è chiara la fonte dei dati. Si parla genericamente di Ragioneria Generale e di dati di spesa pubblica fermi al 2016: “Il totale nel 2016 (ultimo anno disponibile) ammontava a 225 miliardi.”  Segue un generico, disordinato e disomogeneo elenco di spese correnti e investimenti non compresi nei 225 miliardi, per arrivare a dire che la spesa complessiva delle regioni è “di circa 830 miliardi’.  Segue l’elenco dei buoni e dei cattivi, da cui risulta che ai primi posti della spesa pro capite ci sono Val D’Aosta, Trentino A.A. e Lazio. Agli ultimi Veneto, Campania e Puglia.

La tesi dello studio

Evidentemente avere due regioni su tre del Sud tra le meno spendaccione non piace molto a Iacometti e Libero: “Discorso chiuso? Non proprio. Basta cambiare prospettiva, per accorgersi che la musica è ben altra.” e per fortuna c’è “il think tank animato dall’imprenditore Massimo Blasoni, che si è preso la briga di mettere in correlazione i dati della Ragioneria con il Pil del territorio.” Detto fatto: “Utilizzando questo criterio la classifica è dominata da un blocco massiccio di regioni del Mezzogiorno, dove la spesa statale consolidata supera addirittura il 50%della ricchezza prodotta”.  L’ordine naturale delle cose è così ristabilito.

Ma le cose non stanno affatto così.

Non è vero che la regionalizzazione della spesa pubblica è ferma al 2016, non è vero che quella ripartita sia di 225 miliardi, e che la spesa pubblica complessiva sia di 830 miliardi. Infine la spesa pubblica regionale, madia Italia, è circa il 64% del PIL prodotto. Potremmo fermarci qua perché tutte le analisi e rapporti conseguenti sono pura fantasia.

L’Agenzia per la Coesione Territoriale, voluta da Carlo Azeglio Ciampi e vigilata direttamente dal Presidente del Consiglio, pubblica ogni anno i dati della spesa pubblica ripartita per regione. Questi arrivano al 2019, contengono una serie storica scorrevole di 10 anni, sono consultabili con semplici query, e dettagliano la ripartizione di 1.057 miliardi di euro . Le spese monitorate rappresentano il 100% della spesa pubblica corrente, di cui: politiche sociali (pari al 37,81% del totale), sanità (11,46%), opere pubbliche e attività produttive (9,58%), mobilità (4,05%), reti infrastrutturali (9,6%), amministrazione generale (10,08%), servizi generali (7,06%), cultura e conoscenza (7,06%), acqua (1,02%) e ambiente (1,46%).

Le differenze di spesa Nord Sud

Dalla ripartizione per area geografica di queste spese si vede che fatto 100 il totale nazionale pro capite degli ultimi 10 anni, al Nord Ovest si è speso quasi 110, al Nord Est 101, al Centro 118, al Sud 79, settantanove, avete letto bene, e nelle Isole 86. Se vogliamo confrontare il Sud più le Isole con tutto il Nord (Est e Ovest) al Sud si è speso il 77% del Nord.

Gli errori di metodo

Spesa pubblica e PIL non sono variabili indipendenti e a maggiore spesa pubblica corrisponde maggiore PIL, metterle in relazione è scorretto.  Ai liberisti non fa piacere sentirselo ricordare ma è così. A dimostrazione ricordo che nella ricca Lombardia la spesa per politiche sociali è stata di 6.557 euro per abitante nel 2019, in Campania di 4.515. È solo un caso che il terzo settore, secondo i dati Istat, in Lombardia, ove risiede il 16% della popolazione italiana, occupi 190.122 persone regolarmente retribuite, pari al 22% del totale di 853.476 addetti in Italia? Al Sud, che ha il 22% di abitanti, gli addetti al terzo settore sono solo  il 12,2% degli addetti nazionali.

Riguardo alla spesa sanitaria pro-capite in Lombardia si sono spese nel 2019 circa 2.475 euro pro capite, in Campania 1.661. Secondo voi questa differenza di spesa non ha impatto sulla qualità dei servizi? Nonostante ciò durante il Covid a sfigurare è stata più la Lombardia che la Campania e a leggere i dati del bilancio della sanità negli ultimi 10 anni la Campania ha registrato un avanzo di gestione di dieci volte superiore a quello lombardo (fonte: il monitoraggio della spesa sanitaria, pubblicato nell’agosto 2020 dal MEF. Risultato d’esercizio per regione.  Anni 2006 – 2019 a pagina 23).

Ma la differente spesa, almeno in linea di principio, genera migliore qualità e dalla migliore qualità nascono i viaggi della speranza con richieste di pernottamenti per famigliari e altro indotto che genera PIL. Questi esempi solo per dimostrare che il rapporto spesa / PIL non è corretto, perché il PIL è influenzato dalla spesa pubblica e dove c’è maggiore spesa pubblica si genera maggiore PIL.

Infine la dipendenza del PIL dalla spesa pubblica dipende anche dai moltiplicatori, che non potranno essere uguali al Nord e al Sud. Questo non per questioni antropologiche, ma banalmente per la differente dispersione territoriale delle infrastrutture, che sono totalmente assenti al Sud, per i maggiori acquisti extra regione del Sud, ecc. Rettifica dopo rettifica vedremmo che la dipendenza del PIL dalla spesa pubblica spesso nelle regioni del Nord è maggiore che al Sud.

Ci sono regioni cicala a regioni formica?

Se però sentiamo proprio la necessità di capire chi approfitta della situazione a scapito di altri c’è un modo più corretto di analizzare i dati. Nel diagramma seguente abbiamo messo in relazione i due parametri: PIL pro capite e Spesa Pubblica. Abbiamo poi diviso l’area del grafico in IV quadranti: il primo con spesa pubblica inferiore alla media nazionale e PIL superiore. Il secondo con spesa pubblica e PIL entrambi superiori alla media nazionale. Il terzo con spesa pubblica superiore e PIL inferiore, e l’ultimo, il quarto, dove entrambi i parametri, spesa e PIL sono inferiori. Come si può vedere il III quadrante, quello che ho chiamato dei “saprofiti”, è vuoto. I “benemeriti” invece sono pochi e per poca misura: Veneto e Toscana. Negli altri due quadranti possiamo dire che la deviazione è modesta rispetto alla linea verde di equilibrio.

spesa pubblica

 

Quale è la pretesa di Libero e del Centro Studi?

Nel grafico è riportato l’indice di correlazione tra PIL e spesa e vale 0,78. Si ricorda che questo indice può variare da -1 a + 1. Un indice positivo di 0,78 indica una forte correlazione diretta, ossia, in questo caso, che la spesa pubblica è superiore dove il PIL è superiore. Quale è la pretesa del Centro Studi e di Libero, visto che già oggi chi produce di più riceve di più come spesa pubblica? Non si capisce. Aggiungo che il fatto che produca di più, come abbiamo detto, dipende anche da una maggiore spesa pubblica.

La Costituzione e il buon senso

Il coefficiente 1 non è raggiungibile in nessuna parte del mondo poiché in ogni paese ci sono differenze di produzione di ricchezza al proprio interno e conseguenti trasferimenti interni di risorse.

Questo deriva dalla Costituzione, di qualsiasi Paese e anche nella nostra, che prevede che i cittadini debbano avere le stesse possibilità e la stessa qualità dei servizi essenziali, a prescindere dal reddito e dal territorio in cui vivono. Si tratta della base di qualsiasi Stato che pretenda di essere unitario. È il requisito minimo di appartenenza ad una unica comunità ovunque, ribadisco, e non solo in Italia.

Ma quanto dovrebbe valere il coefficiente di correlazione per evitare che alcuni territori si sentano defraudati a scapito di altri? Non è una variabile primaria e il corretto valore dipende proprio dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

LEA e autonomia regionale

Non sono tra “i nemici dell’autonomia regionale” il cui presupposto però sono i LEA che, al Sud, aspettiamo con ansia e non vediamo l’ora di vederli nero su bianco e con il criterio di calcolo del relativo costo spiegato. Giusto per capire quanto dovrebbe spendere in più lo Stato al Sud per rispettare il requisito minimo costituzionale di appartenenza alla stessa comunità. Per esempio per la sanità, per le politiche sociali e per gli asili nido.

A tale proposito sapete qual’ è l’indice di correlazione tra le spese per la coesione sociale e il PIL? 0,79. E tra l’indice di povertà assoluta e la spesa per la coesione sociale? C’è una correlazione inversa: -0,83. Significa che per la coesione sociale in Italia si spende più a Via Brera che a Scampia. Più si è ricchi e più si spende per le politiche sociali. Logico no?

Conclusioni: il solito pattume antimeridionale

Lo sforzo di Libero, e del Centro Studi, è di ristabilire la vulgata che alla base del divario nord sud ci siano ragioni antropologiche: “…il Sud, per ripartire, abbia più bisogno di olio di gomito che di altri finanziamenti statali …”. Ma se il divario risiede nelle questioni antropologiche non è risolvibile. Quindi è inutile dare soldi al Sud perché al Sud sono parassiti e più soldi gli dai meno hanno voglia di lavorare. Ed è proprio di queste fesserie che hanno bisogno Libero, Sala, il sindaco di Milano, e dintorni leghisti per continuare con lo scempio fatto da 160 anni.

Mi spiace ma questa roba di Blasoni e Iacometti non è null’altro che il solito pattume antimeridionalista.

Pietro de Sarlo