Il Piano Paesaggistico Regionale (PPR) tarda a venire, ma i vincoli aumentano, anche se inutili

Il caso di Venosa e di altri Comuni del Vulture

Arrivare alla redazione ed approvazione di un piano paesaggistico come vuole la legge (Cfr. D.lgs. 42/2004) è sicuramente un’opera lunga e complessa. In Basilicata poi sembra anche un’opera infinita. Le rassicurazioni degli assessori regionali che si sono succeduti alla guida del dipartimento Ambiente non sono mai mancate, ma alla prova dei fatti ben altre erano e sono le loro priorità. Quanti anni ancora ci vorranno per arrivare all’approvazione di un PPR? Se non ci sarà una nuova presa di coscienza e di attenzione al problema da parte dei soggetti più direttamente interessati (ordini professionali degli architetti e degli ingegneri, INU, associazioni ambientaliste e singoli cittadini) sicuramente passeranno altri lustri prima che un PPR possa vedere la luce. Intanto però cosa fa la Regione? Sicuramente non sta ferma, ma studia e “prepara le carte”, crea la base conoscitiva per poter pervenire con più consapevolezza alla approvazione di un PPR, quando se ne avrà voglia e volontà politica. Il risultato di questo lavoro, in continuo aggiornamento, può essere letto sul PORTALE del Piano Paesaggistico Regionale al quale si accede mediante l’indirizzo ppr.regione.basilicata.it. Si tratta però, anche qui, di un lavoro poco conosciuto e poco discusso e con valenze diverse da Comune a Comune. Questa almeno è la valutazione che ci sentiamo di dare sulla base di un’esperienza diretta che abbiamo vissuto e che qui vogliamo riportare.

La Regione Basilicata da alcuni anni ha in corso, tramite un’apposita commissione, una attività di “ricognizione, delimitazione e rappresentazione” dei beni paesaggistici tutelati per legge ex art. 142 D.lgs. 42/94. Tra questi figurano i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna (art. 142, c. 1 lett. c. del D. Lgs 42/2004).

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L’attività svolta per quanto attiene i corsi d’acqua può essere riscontrata sul Geoportale della Basilicata digitando: RSDI Regione Basilicata; poi, a pagina aperta, sulla sinistra, PPR; poi ancora Webgis Tutele; infine, dopo aver dato i previsti consensi, sulla destra, la voce Fiumi, torrenti e corsi d’acqua. Si aprirà una cartina della regione Basilicata nella quale ingrandendo l’area geografica occupata dal comune di Venosa si potrà vedere quali sono le aree con vincolo paesaggistico legato alla presenza delle cd. acque pubbliche riportate nel R.D. del 1933. I corsi d’acqua interessati sono diversi e vanno dalla Fiumara alla Bagnara, dal Vallone del Contista al Vallone del Reale. Si potrà notare come le aree interessate dal vincolo paesaggistico per i predetti corsi d’acqua coincidono con quelle già individuate e riportate nel Regolamento Urbanistico della città di Venosa approvato nel 2012. Fa eccezione però l’area relativa al Vallone del Reale. Per questo corso d’acqua nel 2018 la Regione, con una lettura molto discutibile di quanto scritto nel r.d. del 1933, ha reinterpretato il vincolo relativo al Vallone del Reale (codice BP142c_606) estendendolo per oltre 4 Km dal limite riportato nel Regolamento Urbanistico del 2012 sino a lambire la rotonda posta all’ingresso del paese in direzione Ripacandida-Rionero e ricomprendere così tutta l’area di San Giorgio con centinaia di abitazioni realizzate a partire dagli anni ’70 e ‘80.

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Come è potuta avvenire questa rivisitazione-allargamento delle aree vincolate nella Valle del Reale con prolungamento sino alla contrada di San Giorgio? La spiegazione ricevuta informalmente è stata la seguente. Nell’elenco delle acque pubbliche di cui al R.D. del 1933 circa la lunghezza da considerare tanto per il Vallone del Reale quanto per il Vallone Contista è scritto testualmente “Dallo sbocco a Km. 1,000 a monte della strada per Venosa”. In passato il punto di partenza per individuare il Km vincolato era rappresentato dall’incrocio delle strade per Venosa che attraversavano i due Valloni (l’Ofantina all’altezza dello scalo ferroviario per il Vallone del Reale e la Melfi-Palazzo S.G. all’altezza di Ponte Ponticchio per il Vallone Contista). Ed in questo modo è stato cartografato nel Regolamento Urbanistico del 2012, condiviso, tra l’altro, sia della Regione che della Soprintendenza.

Ora invece la Commissione di studio regionale ritiene che “la strada per Venosa” non sia un’espressione generica da riferire alle differenti strade che, incrociando i Valloni, portano a Venosa, ma sia da attribuirsi ad una strada soltanto e nello specifico alla Melfi-Palazzo S.G., quasi a ritenere che questa fosse l’unica strada per Venosa esistente nel 1933.

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Così ragionando l’area vincolata del Vallone del Reale si allunga a dismisura sino ad interessare la contrada San Giorgio che è “a monte” della Melfi-Palazzo S.G. ma fuori del Vallone del Reale. È da considerare infatti che la Melfi-Palazzo S.G., attraversando Venosa, non incrocia il Vallone del Reale ma lambisce soltanto l’inizio del Vallone del Reale nel quale inoltre non convergono solo le acque della contrada San Giorgio, ma anche quelle di Boschetto San Domenico e Ripapotenza.

È ragionevole questa ricostruzione fatta dalla Commissione regionale di studio per la preparazione del PPR? E ancora: può essere utile ed opportuno porre oggi, con questa “reinterpretazione”, un vincolo paesaggistico a centinaia di abitazioni già realizzate nei decenni passati?

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Quale è il bene pubblico di notevole interesse che si vuole tutelare? E lo si può fare senza la necessaria pubblicità pur prevista dalla legge (art. 144), senza modificare il R.U. e senza un contraddittorio? A queste domande non è facile rispondere. Né si ha la pretesa di conoscere quale sia la risposta esatta. Ci basta aver rappresentato il problema nella speranza che sull’argomento si apra un serio dibattito utile per arrivare quanto prima ad una tutela reale dei beni paesaggistici del nostro comune e della nostra regione. Preme tuttavia avanzare alcune considerazioni e interrogativi nella speranza che possano servire ad alimentare il dibattito.

Il legislatore nel vincolare per legge i corsi d’acqua ed essere il più possibile preciso nella loro individuazione non ha trovato di meglio che affidarsi agli elenchi delle acque pubbliche approvati nel R.D. del 1933. Era tuttavia consapevole del fatto che, a distanza di quasi un secolo, la natura da una parte e l’intervento dell’uomo dall’altra potevano aver modificato le caratteristiche dei luoghi al punto da far venire meno l’interesse ad una loro reale tutela paesaggistica. Per questa ragione ha previsto che la tutela paesaggistica sui corsi d’acqua “non si applica … ai beni … che la Regione abbia ritenuto in tutto o in parte, irrilevanti ai fini paesaggistici includendoli in apposito elenco reso pubblico e comunicato al Ministero. Il Ministero, con provvedimento motivato, può confermare la rilevanza paesaggistica dei suddetti beni. …” (art. 142, c. 3). Questa attività, che potremmo chiamare di “derubricazione”, la nostra Regione non pare che l’abbia avviata né pare che un tale compito sia stato affidato alla Commissione di studio (ma potremmo sbagliarci). Risulta così che ampie aree pure densamente edificate dell’abitato di comuni importanti, come ad es. Melfi e Rionero, per citare soltanto quelli a noi più vicini, risultano assoggettate a vincolo paesaggistico legato ai corsi d’acqua individuati nel 1933 che, probabilmente, non esistono più perché magari negli anni passati sono stati “tombati”.

Per riscontrare queste situazioni basta andare sul Geo-portale della Regione Basilicata sopra segnalato ed entrare nell’area dei comuni citati. A chi giova questa situazione? Serve mantenere assoggettate a vincolo paesaggistico centinaia di abitazioni anche là dove non vi è più, o non vi è mai stato, alcun bene paesaggistico da tutelare? Perché imporre ai cittadini procedure inutili e costose ed appesantire il lavoro degli Uffici comunali, regionali e della Soprintendenza che non riescono poi a prestare la dovuta attenzione e ad intervenire lì dove esistono effettivamente aree di notevole interesse pubblico da tutelare? Un’ultima considerazione. Su tutto quanto sin qui rappresentato è parso cogliere un grande assente: la Politica.

Questa constatazione è senz’altro vera per il caso della “ridefinizione” dei vincoli paesaggistici legati alle acque del Vallone del Reale di Venosa. Qui infatti non risulta che il Comune, pur essendone stato informato, si sia mai occupato del problema avviando una benché minima interlocuzione con la Regione. E questo è successo sia con la precedente Amministrazione comunale, sia con quella attuale insediatasi nella primavera del 2019. Non pare però che sia andata meglio nei Comuni con i corsi d’acqua “tombati” e le abitazioni comunque vincolate al bene paesaggistico di un corso d’acqua ormai inesistente e non più riproponibile. Perché questa assenza? Perché questo disinteresse? Forse perché la materia è difficile da capire? o forse, più verosimilmente, perché all’ambientalismo vero si preferisce quello di facciata ed allora non si osa chiedere di togliere dei vincoli, anche se inutili e insignificanti (oltre che fastidiosi ed economicamente dannosi per i cittadini che li subiscono), perché potrebbe nuocere all’immagine ambientalista che si vuole dare al proprio elettorato?

Di certo la politica è assente perché i cittadini sono assenti e sono assenti i cd corpi intermedi, le associazioni professionali e tutte le associazioni di interesse che si muovono nel variegato mondo dell’ambientalismo. A tutti loro un invito ad intervenire per aprire intorno al PPR una nuova stagione di dibattito e confronto che possa avvicinare quanto più possibile i tempi di una sua corretta redazione ed approvazione.

* Canio Lagala – già consigliere regionale e sindaco di Venosa