Incendio Pamafi a Maratea: “il solito piromane o è speculazione?”

L’azienda ha occupato oltre 110 dipendenti per più di 50 anni ed è commissariata da ben 15 anni il tutto sotto il controllo del Ministero dello Sviluppo.

Il 21 marzo un vasto incendio ha interessato l’area una volta occupata dalla Pamafi, l’azienda fondata da Rivetti negli anni cinquanta per la produzione di fiori e che vanta le prime orchidee in Italia. L’azienda ha occupato oltre 110 dipendenti per più di 50 anni ed è commissariata da ben 15 anni il tutto sotto il controllo del Ministero dello Sviluppo. Il rogo sembrerebbe essere partito dai canneti che costeggiano la ferrovia: le fiamme alimentate dal vento sarebbero arrivate dentro l’area dello stabilimento dell’azienda nei cui capannoni sono stati, e tuttora vengono abbandonati, rifiuti di ogni genere. La proprietà dell’area da tempo deve rientrare nel patrimonio della Regione, oltre 30 ettari di serre e terreni a pochi metri della spiaggia di Castrocucco.

Questa è la notizia di cronaca, ma quello che come ambientalisti e amanti del proprio territorio non può lasciarci indifferenti è perché si è sviluppato un incendio e, soprattutto, il timore ma quasi certezza che potrebbe verificarsene un altro in futuro, visto che l’area in passato è stata più volta colpita da atti vandalici di questo tipo.

La piana dedicata all’agricoltura, salvata da ogni speculazione edilizia, oggetto di grande attenzione dagli anni 60 ad oggi, candidata nel 2018 con un progetto di riutilizzo denominato “la Città dell’ Ambiente”, integrato successivamente dall’Alsia per la parte relativa alle piante officinali, continua ad essere pericolosamente abbandonata e, nel frattempo, non viene risparmiata neanche dalla forza del mare, che ha cancellato in 20 anni circa 40 metri di spiaggia in corrispondenza della Foce del Fiume Noce.

L’area deve essere riqualificata e bonificata, non può più attendere. Ci chiediamo, però, è possibile prevedere una bonifica e, di conseguenza, una sua riqualificazione senza che questa dia luogo alla costruzione di un’altra opera? Perché in Italia non siamo capaci di restituire un’area, come quella in oggetto si intende, alla natura, alla biodiversità, all’ambiente, che di per sé potrebbe già essere un’azione di sviluppo economico, ma dobbiamo (quando va bene) immaginare la sua bonifica per costruirci qualcos’altro.

Nell’immaginario collettivo costruire una grande opera è comunque foriera di sviluppo e perciò va fatta a prescindere. In un momento in cui la maggior parte delle aziende associa il proprio marchio alla sostenibilità, noi dobbiamo puntare sul “bene Maratea”, l’Area Marina Protetta, bonifica di siti pericolosi, monitoraggio del fiume Noce nella sua interezza, rispondendo alla necessità che il territorio su cui viviamo ha di essere tutelato, preservato e valorizzato, senza essere necessariamente stravolto. Antonio Lanorte, Legambiente Basilicata