Potenza città di vandali?

La reazioni di questi giorni agli episodi di vandalismo, segnalano un “ritardo mentale” di natura politica e sociale, compensato da pregiudizi, vacua indignazione e paura

Michele Finizio

Il 6,5% dei minorenni fa parte di una banda, il 16% ha commesso atti vandalici, tre ragazzi su dieci hanno partecipato a una rissa. Mentre in tante città – come Bologna, Napoli, Milano o Roma – la criminalità di gruppo che lega i giovanissimi è motivo di allarme, questi sono gli ultimi dati dell’Osservatorio nazionale sull’adolescenza del ministero per la Famiglia. Non abbiamo dati certi che riguardano il Capoluogo lucano. Tuttavia l’attualità del tema del vandalismo nel centro storico, e non solo, di Potenza, mi spinge a dare un contributo al dibattito aperto in questi giorni.

Gli episodi narrati ci segnalano un dato: questi giovani hanno un modo di comportarsi che non sembra dettato dall’odio, dalla cattiveria e dalla furbizia, piuttosto dall’ignoranza, dall’istinto e dall’irrazionalità. E dunque?

I bambini che sono stati trascurati ieri, senza asilo nido, senza spazi pubblici, con una scuola materna priva degli strumenti essenziali, costretta a elemosinare pennarelli e carta igienica, quelli sono anche gli adolescenti o i giovanissimi di oggi. Non dimenticatelo per favore. I bambini che hanno evaso la scuola o che hanno dovuto sopportare privazioni, violenze psicologiche, povertà educativa, senza che nessuno li aiutasse, sono probabilmente i giovanotti vandali di cui oggi vi lamentate.

I bambini viziati, allevati nella cultura dell’egoismo, del consumismo, della superiorità sugli altri in base alla firma dei vestiti indossati e alla disponibilità di denaro, quelli che “uffa che noia”, sono probabilmente i vandali di cui sopra.

I giovani vandali sono, forse, quegli adolescenti che non hanno mai avuto l’onore di un “nemico”. Hanno avuto genitori che anziché accogliere e gestire il conflitto hanno scelto la strada più comoda: cedere ad ogni richiesta e comportarsi da amico anziché da genitore. Questi adolescenti senza un nemico da sfidare e con cui confrontarsi hanno subìto una carenza cognitiva che li ha limitati nella capacità di interpretare la realtà, il mondo, i fatti della vita. Alcuni di loro, anzi molti, sono finiti nel panottico digitale. Sono loro i vandali di cui parliamo? Chissà.

Quelli della mia generazione avevano nemici veri: i professori, i genitori, il governo, lo Stato, l’Imperialismo, la civiltà consumistica e sognavano un mondo migliore. Provate a chiedere ai vandali che vi disturbano quali sono i loro sogni, la risposta potrebbe sconvolgervi.  Non ci sono più i miti, ma i mitoidi, non più i nemici, ma gli odiosi impedimenti, le ridicole proibizioni di adulti senza autorevolezza. Non più nemici, ma capri espiatori: qualcuno o qualcosa con cui prendersela e scaricare rabbia e angoscia.

La reazioni di questi giorni agli episodi di vandalismo, segnalano un “ritardo mentale” di natura politica e sociale. Un ritardo compensato da pregiudizi, vacua indignazione e paura.

Quando è troppo tardi gli adulti costruiscono il loro linguaggio sulla paura del fallimento educativo, sull’inquietudine della disgrazia sempre dietro l’angolo. Quando è troppo tardi, usano il linguaggio dei divieti, dello stigma e del rimprovero che, però, è privo di argomenti convincenti. Molti adulti sono “proibizionisti tossici”. Manca il buon senso fondato sulla spiegazione, invece che sull’informazione, basato sull’argomentazione del bene, invece che sul terrorismo del male. Ma tant’è. Occorre un nuovo buon senso, un buon senso educativo che eviti di proibire o vietare a prescindere. Preferirei che si spiegasse perché bere bene, bere di qualità, saper bere, è importante. E perché bere male, bere troppo, ingurgitare schifezze di ogni genere, fa male. Preferirei che fossero i ragazzi a spiegarlo agli altri ragazzi (peer to peer) perché gli adulti, e le istituzioni da essi rappresentate, non sempre sono credibili. Proibire di bere è uno dei modi più facili per invitare i ragazzi a bere male.

Ecco, la domanda è chi sono questi ragazzi? E perché si lasciano coinvolgere in comportamenti irrazionali, istintivi, deprecabili? La risposta non esiste, se non in una serie complessa di argomentazioni e analisi che coinvolgano diverse discipline. Dunque, è impossibile trattare con la dovuta serietà un fenomeno complesso in un articolo di giornale. Eppure, molti lo fanno con quattro righe sui social o con un comunicato stampa che fa appello alla responsabilità di tutti e quindi di nessuno. Le semplificazioni che mettono a posto la coscienza sono le preferite. Perciò in questo spazio non posso che segnalare alcuni spunti di riflessione: l’assenza del nemico, l’assenza di una mitologia politica e del senso di appartenenza a ideali per cui valga la pena diventare uomini e donne maturi, l’assenza di parole capaci di costruire un linguaggio a fondamento del pensiero.

Il rischio che vedo oggi è che l’unico nemico che i giovani hanno di fronte è lo specchio. Il conflitto con lo specchio è tra come sono e come vorrei essere. L’obiettivo di quel conflitto è piacere agli altri prima che a se stessi. È un conflitto prosaico fondato sull’assenza di valori e sostenuto dai condizionamenti sociali del consumismo, dalla diffidenza verso se stessi, dalla paura, dal pregiudizio.

Sono temi, indizi, che non completano il quadro del fenomeno, se di fenomeno si tratta, ma che è utile affrontare perché le situazioni non peggiorino. Quattro ragazzi che si danno al vandalismo e altri sei che si ubriacano non rappresentano l’universo dell’adolescenza potentina. Tuttavia quei dieci adolescenti hanno bisogno di aiuto. I loro comportamenti devono farci riflettere. Ancor di più dovremmo riflettere e agire sulla condizione dei ragazzi oggi, dopo due anni di pandemia, in piena guerra a due passi da casa, in una crisi epocale delle certezze e della fiducia. Molti giovani non si ubriacano né si drogano, né imbrattano simboli religiosi, ma soffrono di un dolore, spesso invisibile, taciuto o inascoltato, dagli esiti imprevedibili.