La Basilicata dei pennacchi: politici, imprenditori e giullari

I “pennacchiari” sono un problema per lo sviluppo di questa regione. Sono loro i consumatori bulimici di un futuro che dimagrisce continuamente

Uno degli scopi del pennacchio sull’elmo dei soldati romani era di far apparire più alto chi lo indossava in modo da impressionare il nemico. Questa funzione del pennacchio, seppure metaforica, rimane ferma ai tempi nostri ad uso della politica e nel mondo delle leadership in diverse organizzazioni. Ma spesso è usato da personaggi che si prendono sul serio oltre il ridicolo.

Vediamo alcune tipologie. Il pennacchio retorico lo indossa chi con le parole e con forme discorsive apparentemente erudite prova ad impressionare il pubblico ponendosi ad un’altezza che non corrisponde alle proprie realistiche misure. È il caso del politico che non studia, non approfondisce, non elabora proposte politiche degne di una cultura della conoscenza. Si tratta del politico o del leader che prende la parola su tutto senza conoscere niente. Le loro frasi cominciano quasi sempre con “esprimo soddisfazione per…”, oppure “un plauso a”. Riprendono testi altrui senza citarne l’autore, semplicemente perché non sanno che qualcuno prima di loro ha detto le stesse cose e sarebbe utile che quelle stesse cose fossero rielaborate in un contesto euristico e quindi utile. Generalmente si tratta di persone ignoranti votate da altri ignoranti.

Il pennacchio decorativo lo indossa chi, non avendo alcuna coscienza del limite, e nemmeno abbondante onestà intellettuale, si infila in convegni, seminari, pubblicazioni, kermesse, presentandosi con titoli e cultura ben al di sopra della propria statura: ragionieri che scrivono di Pasolini, e lo celebrano, senza aver letto alcunché del grande intellettuale e senza avere alcuna assonanza culturale con il pensiero del cineasta, poeta e scrittore friulano; giornalisti “chiacchiere e distintivo” che si pavoneggiano tra argomenti di ogni genere come se il giornalismo fosse una laurea dell’onniscienza umana; addetti stampa del potere che danno lezioni di giornalismo a chi il giornalismo lo fa; sindacalisti e imprenditori diventati, chissà come, massimi esperti di economia e di statistica, analisti che, nonostante non ne azzecchino una, sono sempre lì’ a fare la predica con i discorsi copiati l’anno prima dalle riviste pubblicate dalle loro organizzazioni. Funzionari pubblici in pensione che hanno servito il sistema di potere per decenni e che si godono il “meritato” e ricco riposo agitando il pennacchio di oppositori al sistema che hanno sempre servito.

Il pennacchio strumentale lo indossa chi, con abbondante cinismo e nichilismo, giustifica truffatori, corrotti, corruttori e chiede loro benefici, carriere, soldi, potere. Massaggiatori di sederi che agitano il pennacchio della loro influenza sull’opinione pubblica sonnolenta e distratta, per ingraziarsi la simpatia del potente di turno. Uomini e donne che aspirano a sedersi alla tavolata della spartizione delle spoglie del futuro. Il pennacchio strumentale lo indossa l’imprenditore – o meglio il prenditore – che si arricchisce ai danni dei lavoratori e del territorio esponendo la solita targa sulla porta dell’ufficio: “diamo lavoro a tante famiglie, diamo pane alla gente”. Che i lavoratori siano costretti a restituire parte del salario all’eroe che garantisce il pane a tante famiglie, che i lavoratori siano costretti a cedere i diritti sindacali in cambio della pagnotta, che la paga sia una miseria “per causa della contingenza del mercato”, che tutto questo inneschi guerre tra poveri a vantaggio degli arricchiti, importa un bel niente. Il pennacchio serve a sancire l’eroismo del prenditore che si arricchisce a spese degli altri, che fa man bassa di appalti pubblici e apparecchia tavolate con pezzi del potere politico.

È antipatico tutto questo, antipatico anche chi lo scrive, ma bisogna rendersi conto che i “pennacchiari” sono un problema serio per lo sviluppo di questa regione. Sono loro i consumatori bulimici di un futuro che dimagrisce continuamente.