Il Paese ha bisogno di una vera sinistra

Milioni di poveri, emarginati, precari, disoccupati sono senza rappresentanza e fuori dalle istituzioni. Si va al voto con il rischio che le alleanze, le coalizioni, gli apparentamenti, siano dettati, più che in passato, da calcoli esclusivamente elettorali, il rischio che si faccia aritmetica in vece della politica

Sarebbe tardi, l’ideologia neoliberista ha invaso anche i cervelli e i progetti di chi da quei paradigmi ha tutto da perdere. Ma bisogna provarci anche nel quadro di una prospettiva che guardi oltre le elezioni. Da circa 30 anni i poveri, gli emarginati, i precari, i disoccupati, le persone con fragilità sociali e culturali, non hanno rappresentanza. Ma anche temi fondamentali per la vita e per il futuro di tutti non hanno più una rappresentanza chiara e determinante: le ingiustizie sociali, le disuguaglianze, lo sviluppo, la tutela dell’ambiente, la difesa e la valorizzazione dei beni comuni, il controllo democratico delle istituzioni, del cibo, dell’acqua, delle risorse naturali. Non hanno rappresentanza le istanze della sanità pubblica da sottrare alle logiche aziendalistiche e spartitorie della politica cinica e nichilista, le istanze della scuola pubblica da sottrarre alla miseria di risorse e strutture. Non hanno rappresentanza le istanze culturali dei gruppi alternativi di base che lottano contro il dominio della mercificazione selvaggia delle arti.

Nel campo intellettuale non si discute con coraggio sui temi del lavoro come liberazione di uomini e donne dalla subordinazione, dallo sfruttamento, dalla schiavitù. Non si discute con coraggio del welfare del futuro nel quadro di sistemi produttivi completamente robotizzati e digitalizzati. Non si discute seriamente sugli effetti che l’oligopolio proprietario dei mezzi di produzione digitali ha ed avrà sull’economia e sulla società.

Mancano all’appello del discorso pubblico, in particolare dell’azione pubblica, temi quali la povertà educativa, l’analfabetismo digitale, l’analfabetismo funzionale che muta al mutare della complessità dei linguaggi e delle conoscenze. La de-politicizzazione dell’azione pubblica e degli attori sociali. Insomma, da tempo esiste un campo vitale, vastissimo, fatto di persone in carne ed ossa e di questioni cruciali, che non sa dove abitare politicamente.

Ma ciò che in fondo è assente da tempo nell’analisi politica è la critica radicale al modello di produzione e di consumo imposti dal neo liberismo; la critica radicale ai modelli di finanziarizzazione dell’economia e allo strapotere degli istituti finanziari privati. Critica necessaria all’avvio di percorsi di costruzione di politiche nuove e alternative al dominio dei sacerdoti e dei chierichetti dell’ideologia neoliberista. Percorsi impossibili se si continua a dare per scontato il perimetro capitalistico dentro il quale è consentita l’azione riformista.

Non mi addentro nelle solite analisi sul Pd, sul M5S, sulla destra, sugli errori commessi, e così via. Il dato è tratto, e molti autori e commentatori, più autorevoli del sottoscritto, hanno spiegato e analizzato in tutte le salse e da punti di vista anche opposti, la storia recente dei partiti, dei movimenti e dei governi.

Oggi, in previsione del voto di settembre, il rischio è che le alleanze, le coalizioni, gli apparentamenti, siano dettati, più che in passato – il tempo è breve -, da calcoli esclusivamente elettorali. Il rischio che, al di là delle apparenze, si faccia aritmetica in vece della politica, è altissimo.

E allora si eviti agli italiani l’ennesimo inganno. La storia che la politica è fatta di compromessi, che i cambiamenti si ottengono con le riforme, che la moderazione è necessaria per non spaventare la maggioranza del famoso fu “ceto medio”, è una storia di fallimenti. Quella realpolitik che punta ad accontentare il centro della società, poiché più numeroso ed elettoralmente appetibile, è una bufala che non sta più in piedi.

E dunque è urgente dotare il Paese di una forza politica di sinistra vera, capace di mettere al centro persone e questioni che sembrano tragicamente scomparse dai radar del discorso e dell’azione pubblici. Una forza di sinistra che sappia intercettare e rappresentare politicamente i sentimenti di rivolta verso il sistema e che capisca la necessità di ripartire dagli ultimi.

Escluderei il Pd da una coalizione di sinistra vera poiché, come dice Marco Revelli, “è un partito-Stato con l’unico obiettivo di dar continuità istituzionale al potere”. Non solo, il Pd è l’agenda Draghi, in “linea con il paradigma dominante occidentale e con il modello neo-liberista.”

E allora? Sarebbe stata utile una fase extraparlamentare di lotta nella società, di azione culturale e di formazione delle coscienze in preparazione di una battaglia elettorale. Ma ormai è inutile parlarne. Una coalizione di sinistra vera che superi il limite della testimonianza, potrebbe nascere da pezzi del M5S, della sinistra ecologista, dei verdi e degli ambientalisti, dai movimenti territoriali che si oppongono all’autonomia differenziata, dalle organizzazioni sociali impegnate per la pace e per la cooperazione internazionale e altri. Poco importa se questa coalizione otterrà uno scarso consenso elettorale, ma molto importa che si cominci.

Non è facile, e non sono ottimista. Troppo settarismo, troppa frammentazione caratterizzata dal mantenimento di spazi individuali, presunzione intellettuale e morale, scarsa cultura politica, ambizioni personali. Eppure, qualcosa bisogna farla.

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