Il residuo fiscale, il Pil e le crociate contro il Sud

I dati assemblati a convenienza per sostenere la tesi del Nord operoso che paga per tutti i cialtroni del Mezzogiorno

Mi è stato inviato per WhatsApp l’ennesimo articolo sul Residuo Fiscale pubblicato non so quando da Truenumbers costruito sulla base di analisi di Polis, un istituto di ricerca della Regione Lombardia.

Innanzitutto rilevo che nell’analisi, pur affermando che i dati più completi e aggiornati si trovano sul sistema dei Conti Pubblici Territoriali, si vanno a cercare altri dati da un insieme di fonti diverse come Bankit o la Ragioneria Generale. Il motivo mi pare ovvio: fare cherry picking dei dati più convenienti alla tesi del Nord operoso che paga per tutti i cialtroni del Mezzogiorno che vivono alle loro spalle e che occorre porre un limite alla generosità di lombardi e altri popoli nordici con, per esempio, l’autonomia differenziata. Infatti dai dati dei CPT risulterebbe un Residuo Fiscale di circa 3.900 euro pro capite della Lombardia, a fronte di un residuo di 5.426 indicati da Polis/Truenumbers. Forse i 3.900 euro anno sembravano pochi a Polis per la bisogna propagandistica.

Cosa è il Residuo Fiscale

A questo punto occorre fare, a beneficio di Truenumbers e di Polis, un piccolo ripasso teorico sul significato di Residuo Fiscale. Questo venne concettualizzato dal premio Nobel (del 1986) James Buchanan, nel suo saggio Federalism and fiscal equity.

Con questo termine si intende la differenza tra quanto i singoli individui forniscono al finanziamento pubblico e quanto ricevono in termini di spesa pubblica. Poiché il presupposto di ogni comunità politica o sociale, piccola a piacere, è quello dell’omogeneo del trattamento in tutta la comunità delle persone a parità di reddito, ne consegue che in qualsiasi parte di essa l’individuo decida di risiedere riceverà lo stesso trattamento. Il residuo fiscale di un territorio deriva semplicemente dal fatto che in quel territorio per vari motivi sono concentrati individui con redditi più elevati.

Questo, secondo Buchanan, giustificava il differente residuo fiscale tra i vari stati degli USA e dal punto di vista etico il trasferimento di risorse tra gli stati più ricchi e quelli più poveri. Mutatis mutandis questo vale anche per le regioni italiane, per le province all’interno della stessa regione, per le città all’interno della stessa provincia, per i quartieri all’interno della stessa città e persino all’interno di un singolo condominio.

Se si mette in discussione questo principio non ha più ragione di essere la comunità nazionale o la comune amministrazione di un condominio. Tant’è che sui principi di uguaglianza si basano tutte le costituzioni e nessuna costituzione può prevedere che alcuni abbiano diritti superiori degli altri in base alla frazione di territorio in cui risiedono. Quindi utilizzare il residuo fiscale nei termini con cui è comunemente utilizzato e per giustificare l’autonomia differenziata significa proporre la secessione, oltre a una manifesta incapacità culturale. A riprova se su questa base si chiede l’autonomia differenziata regionale, poi qualcuno chiederà quella provinciale, quella comunale quella di quartiere ecc. e viene meno qualsiasi sentimento di comunità.

Se si rispettassero i principi di Buchanan la spesa pubblica pro-capite dovrebbe essere uguale in tutte le regioni. Nella realtà, secondo i CPT, già oggi le regioni con maggiore PIL pro – capite ricevono maggiore spesa pubblica pro capite. Il coefficiente di correlazione tra spesa e PIL pro capite è 0,8! Solo due regioni hanno una spesa pubblica inferiore alla media nazionale e un PIL pro – capite superiore, Toscana e Veneto. Per contro nessuna regione riceve una spesa pubblica pro capite superiore alla media nazionale con un PIL inferiore

Un esempio pratico

Prendiamo un pensionato che risieda in un comune della Val Brembana e che prende 2.000 euro di pensione al mese. Se decidesse di trasferirsi in un altro comune italiano, p.e. della Val D’Agri, dovrebbe avere, in base ai principi del residuo fiscale, lo stesso diritto a essere curato e più o meno gli stessi servizi pubblici a cui è abituato. Però, come vedremo non è così, perché la spesa pubblica in Lombardia per le cura sanitarie è di circa 2.500 euro pro capite e in Basilicata è di 1.700 euro. Non solo, ma in Lombardia si possono utilizzare economie di scala e di scopo rispetto alla Basilicata che è grande la metà del Veneto e ha un decimo dei suoi abitanti e quindi, sul piano teorico, si dovrebbe spendere di più in Basilicata che in Lombardia per dare lo stesso servizio.

Se poi nel comune della Val Brembana, che ipotizziamo abbia 1.000 abitanti, come l’ipotetico comune della Val D’Agri, risiedessero 100 pensionati a 2.000 euro al mese e nel comune della Val D’Agri solo 50 a 500 euro al mese, nel comune della Val Brembana entrerebbero ogni mese 200.000 euro di denaro fresco con ovvie conseguenze sulle produzioni e servizi locali (p.e. frutta e verdura o badanti) e quindi sul PIL mentre nel comune della Val D’Agri solo 25.000 euro. Questo giustifica un PIL decisamente minore, ceteris paribus, nel comune della Val D’Agri.

Perché al Sud c’è un PIL minore del Nord

Secondo i CPT, che ripartiscono tra le varie regioni circa 1.050 miliardi di euro, per ognuno dei 20.000.000 di abitanti del Mezzogiorno (Sud + Isole) c’è una spesa pubblica inferiore di circa 5.000 euro anno rispetto al Nord Ovest, il totale fa 100 miliardi anno.

Per l’esempio fatto in precedenza sui pensionati questa minore spesa implica di per sé un minore PIL, e una minore fiscalità. Ma non tutta la spesa pubblica rispecchia la logica della spesa delle pensioni, che si ripartisce nel territorio nazionale in base alle scelte dei singoli individui. Spesso viene invece decisa in base a parametri arbitrari o di autentica discriminazione territoriale. Alcuni esempi.

La spesa della sanità maggiore in Lombardia viene giustificata con la maggiore percentuale di anziani e con un rimborso per i ‘viaggi della salute’ che da molte parti di Italia si fanno per curarsi in Lombardia. Però se il principio fosse quello di rispettate il ‘Residuo Fiscale’, così come teorizzato da Buchanan, non ci sarebbe alcuni bisogni di curarsi in zone diverse da quella di residenza perché ovunque ci sarebbe lo stesso trattamento. Ma per dare gli stessi servizi occorrerebbe tenere conto della diversa densità di popolazione, economie di scala e di scopo, e della diversa accessibilità alle strutture sanitarie che è funzione delle infrastrutture presenti. Quindi la spesa dovrebbe essere maggiore in Basilicata che in Lombardia.  Inoltre stabilire un ‘rimborso’ per i malati ‘fuori sede’, di per se giustificabile, è un poco come la storia dei topi di Seattle. La città era invasa dai topi, il sindaco mise una taglia di un dollaro per ogni topo morto e in breve a Seattle nacquero 20 allevamenti intensivi di topi. Intendo che sarebbe meglio investire su una sanità di prossimità anche se, capisco, che la spesa sanitaria elevata in Lombardia favorisce lo sviluppo del PIL lombardo sia per l’indotto dei viaggi della speranza, p.e. alberghi per i parenti dei malati, sia perché una sanità pubblica ricca favorisce investimenti privati.

Altro esempio di discriminazione è, come contenuto in una inchiesta di Marco Esposito sul Mattino di Napoli, la scuola. Il fabbisogno standard per il rispetto dei diritti della istruzione per la popolazione tra i 3 e i 14 anni è di 1.446 euro pro capite a Milano e a Giuliano, comune non capoluogo con più di 100.000 abitanti in provincia di Napoli, solo 403 euro. A meno che qualcuno mi spieghi cosa giustifichi questa differenza si è in presenza di una vera discriminazione territoriale. Dove si avranno studenti più preparati e in prospettiva cittadini migliori? A Giuliano o a Milano?

Un ulteriore esempio è sulla spesa per le politiche sociali. In Lombardia è pari a circa 6.700 euro pro capite, in Campania circa 4.800. In parte questa differenza è giustificata dalla spesa pensionistica, ma la verità è che si spende per le politiche sociali più in via Brera a Milano che a Scampia a Napoli, e anche questo implica un maggiore PIL. In Lombardia gli addetti al terzo settore sono 181 ogni 10.000 abitanti in Campania 57.

Altre cause di differenza di PIL Nord Sud

E se la spesa pubblica pro-capite fosse uguale in tutte le regioni italiane si annullerebbero le differenze di PIL? No, e non solo perché il quadro infrastrutturale rende diversi i moltiplicatori della spesa pubblica per ogni regione ma ci sono anche altre cause per il divario Sud Nord. Oltre alla differenza di infrastrutture tra Nord e Sud e il relativo costo opportunità c’è il fatto che il Mediterraneo, punto di incrocio di tre continenti, è diventato periferia del mondo e ormai lontano dalle grandi vie di commercio che sono tutte nel Nord Europa. Nella Storia lontano dalle vie di commercio non c’è mai stato sviluppo.

In ogni caso ogni nazione ha dei residui fiscali al proprio interno. Vale, come abbiamo visto per la comunità politica più liberista del mondo, gli USA, e per tutte le altre comunità politiche giacché le condizioni oggettive per produrre ricchezza, come ci ha spiegato Michal Porter nel suo libro ‘La strategia competitiva delle nazioni, derivano dai c.d. fattori ereditari, p.e. morfologie e geografia, e non sono uguali e omogenee nel territorio nazionale.

Conclusioni

Quella del residuo fiscale è una falsificazione propagandistica ben congeniata, semplice ed efficace. Ma come spesso avviene la semplificazione nasconde la comprensione di problemi complessi e di conseguenza l’individuazione delle soluzioni. Ma la stampa, in gran parte finanziata dai salotti buoni del Nord, continua a vendere polpette avvelenate come la mistificazione di Luca Ricolfi nel Sacco del Nord favorite da finanziamenti a istituti come l’Osservatorio del Nord Ovest o Polis che diffondono queste tossine che minano il sentimento unitario del Paese. Passare da true numbers a true stupidity è un attimo.

Pietro De Sarlo