La Basilicata del popolo con la “coscienza a posto”

Le coccole ai malfattori e le pietre contro i "poveri cristi"

Tra i “manettari” e i “garantisti”, preferisco le decisioni del giudice circa un eventuale rinvio a giudizio e, in tal caso, preferisco attendere la conclusione del processo.  Chi condanna una persona solo perché indagata, sbaglia. Ma sbaglia anche chi sentenzia, con discorsi pubblici, l’innocenza senza se e senza ma di un rinviato a giudizio. La presunzione di innocenza è appunto “presunzione”, allo stesso modo la presunzione di colpevolezza è “presunzione”. Tuttavia dovremmo stabilire una volta per tutte – impresa quasi impossibile – che un indagato o un rinviato a giudizio non sono “presunti” innocenti, ma innocenti punto. Anche se, diciamolo, ci sono circostanze in cui il processo è un vero e proprio gioco delle tre carte: innocente o colpevole, la sentenza diventa l’esito di un colpo di fortuna o di una fatale disgrazia che nulla c’entrano con la verità. E ve lo dice uno che non solo ha raccolto storie e testimonianze di tanta gente che si sente vittima di una giustizia ingiusta, ma che con i processi ormai è di casa sia come imputato sia come parte offesa, soprattutto come imputato. E da imputato spesso si è convinti della propria innocenza, ma sarà un giudice a stabilirlo. E dunque puoi essere vittima di una sentenza di condanna anche se sei innocente, oppure “graziato” da una sentenza di assoluzione anche se sei colpevole. La giustizia perfetta non esiste. Le variabili in gioco sono molte e anche complicate. Gli errori giudiziari sono sempre in agguato. Neanche la legge perfetta esiste.

Tra il giustizialismo e il garantismo c’è la coscienza

Tuttavia c’è un altro aspetto che spesso viene sottovalutato: il rapporto tra l’opinione pubblica – chiamiamola così per comodità – e i personaggi pubblici indagati o rinviati a giudizio. È una questione di percezione, influenze, esperienze, pregiudizi. Se il politico o l’imprenditore è stato mio benefattore per qualche ragione, sarò portato a considerarlo innocente o, in estrema sintesi, una “brava persona”, anche se colpevole. Lo stesso si dica se con quella persona ho fatto esperienze positive di amicizia, di relazioni private o pubbliche. E così capita che un malfattore, mai finito indagato né sotto processo, o più raramente indagato e anche condannato, sia considerato un uomo onesto, una bella persona, un cittadino esemplare. E capita anche che una persona condannata sia davvero una brava persona, ma per via di una ingiusta sentenza diventa un malfattore. “Chi quello? Un mafioso”, eppure quello non è mai stato processato né condannato. “Chi quello? Ti assicuro, una brava persona”, eppure quello è stato processato e condannato per peculato o per concorso in associazione. La percezione pubblica delle sentenze, delle condanne o delle assoluzioni spesso è distante dalla realtà processuale ed è legata all’esperienza, ai vissuti, alle passioni di ciascuno. Se indagano o rinviano a giudizio l’attore di cui sono fan sfegatato, difficilmente prevarrà in me l’idea per cui lui possa essere colpevole. Magari nei film ha sempre recitato la parte dell’eroe o del giustiziere dei cattivi. Se indagano, processano e condannano per peculato il politico, o il dirigente pubblico, che mi ha raccomandato nel posto di lavoro, la mia stima nei suoi confronti non muta.

E così il personaggio importante, seppure protagonista di fatti disprezzabili, seppure condannato da un tribunale fino al terzo grado, non è mai colpito da una qualche sanzione sociale, tipo l’allontanamento dalle abituali frequentazioni, anzi. Al contrario il piccolo spacciatore, il ladruncolo di quartiere è visto – giustamente – come un pericolo, uno che fa paura e perciò da tenere a distanza. Difficilmente siamo capaci di identificare un mafioso che indossa giacca cravatta gemelli e orologio costoso. Eppure quel signore ha appena corrotto un giudice. Facilmente consideriamo un ragazzo tatuato, un po’ sporco e con la tuta macchiata, come un potenziale pericolo. Eppure quel ragazzo ha appena finito il suo turno di lavoro in un cantiere edile.

Altra faccenda è subire una condanna, espiare la pena, e ritornare, quando possibile, a pieno titolo nella vita sociale. In questo caso però, spesso scatta il marchio dell’ex: per molta gente rimani un ex ladruncolo, un ex truffatore, un ex spacciatore, eccetera. Marchio che quasi mai viene attribuito al politico o imprenditore i quali non sono mai ex corruttore, ex corrotto, ex amico dei mafiosi.

Questi meccanismi – illustrati con eccessiva e qui necessaria semplificazione – si sviluppano per almeno quattro ragioni: la scarsa formazione delle coscienze, l’ignoranza, l’egoismo amorale e i pregiudizi. E dunque l’unico modo per evitare atteggiamenti estremi di giustizialismo o di garantismo è pensare, capire, approfondire, dubitare. Avere un profondo senso della giustizia, non basta il rispetto della legalità. L’unico modo per evitare di stigmatizzare le persone per bene o di fare le coccole ai malfattori è essere onesti con la propria coscienza. Dobbiamo tuttavia ammettere che la maggioranza delle persone da queste parti preferisce ciò che è comodo per le proprie convenienze. Preferisce adagiare la coscienza sulla sedia a dondolo della spensieratezza o magari darla in appalto a qualche opinionista, e tenersi per se l’ignoranza, il pregiudizio e l’egoismo.

Tuttavia c’è ancora un altro aspetto da considerare, il rapporto tra legalismo e giustizia sociale. Ma di questo parleremo in un altro articolo.

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