New York Times: “La caduta di Mario Draghi è un trionfo della democrazia”

Il titolo del quotidiano americano ha di sicuro fatto venire il mal di pancia ai tanti propagandisti che animano la stampa italiana

Mi sono abbonato al NYT on line. 50 centesimi a settimana, 2 euro al mese: se po’ fa! Volevo capire il punto di vista d’oltreoceano anche su di noi. Non pensate di trovarci notizie sull’Italia o sull’Europa tutti i giorni, e anche l’Ucraina vista da qui appare più lontana che da noi. Non sempre condivido ma è un giornale di una qualità a cui non siamo abituati. Poi c’è la capacità di sintesi tutta anglosassone che adoro e che non ho. Forse perché da lontano le cose si vedono meglio ma un articolo di Christopher Caldwell del 27 u.s. spiega sulla posta in gioco delle prossime elezioni in Italia più di tutte le chiacchiere che si sentono da noi  

Il titolo ha di sicuro fatto venire il mal di pancia ai tanti propagandisti che animano la stampa italiana: La caduta di Mario Draghi è un trionfo della democrazia, non una minaccia per essa.

Infatti Calwell si chiede: “Ma in cosa consiste la credibilità di Draghi? In una democrazia, la credibilità deriva da un mandato popolare. In un “governo tecnico”, la credibilità deriva dai collegamenti con banchieri, autorità di regolamentazione e altri addetti ai lavori.”

Senza remore uno dopo l’altro vengono trattati tutti i temi che minano la democrazia in Italia. In primis: “In cambio di un aiuto, Bruxelles ha avuto più voce in capitolo su come è governata l’Italia. L’ Italia ha ricevuto solo 46 miliardi di euro delle somme promesse; saranno necessarie dozzine di riforme prima che l’Unione europea distribuisca il resto”. E tra queste cita quelle più contrastate come le concessioni balneari e i taxi, su cui riporta in breve la posizioni a favore e contro. Io aggiungerei le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, come l’acqua, in violazione ai referendum del 2011.  Ma qualcuno seriamente pensa che queste riforme ci aiutino a risolvere il problema del debito? “Ma nessuno è ancora arrivato a un modo soddisfacente per affrontare il problema del debito in un paese fortemente indebitato. Risolvere tali problemi può richiedere l’immissione di denaro esterno in un sistema politico, e questo risulta essere difficile da fare in modo imparziale.”

Annoto che, oltre alle visioni liberiste europee, ci sono altre visioni più che autorevoli che non riescono neanche a entrare nel dibattito pubblico.

Anche a Draghi tutto ciò è noto, tant’è che: “Molte di queste riforme avrebbero dovuto essere attuate entro la fine dell’anno. Il momento della partenza di Draghi non è quindi casuale.”

Perfetta la conclusione: “Puoi avere i soldi per salvare il tuo paese se il signor Draghi è il tuo primo ministro, è stato essenzialmente detto agli italiani, altrimenti no. Date le circostanze, non c’è nulla di “populista” o amante di Putin o di irragionevole nel preoccuparsi delle conseguenze per la democrazia.

E l’irritazione di molti per il discorso di Draghi al senato? “Quando la scorsa settimana è apparso davanti al Senato per sostenere il suo punto di vista, molti italiani erano irritati per gli affronti alla loro democrazia, affronti che non erano propriamente giustificati dall’interesse dell’Unione Europea per la stabilità macroeconomica.”

Questo articolo del NYT apre quindi una necessità nuova per le prossime elezioni: stabilire se è la democrazia che deve prevalere o i mercati e le burocrazie europee, che tra l’altro ci impongono da decenni politiche economiche che fanno solo danni invece di risolvere i problemi. Per non parlare della Grecia!

In questa luce vanno anche ridefiniti gli schieramenti reali e non è un caso che alcuni arrivano a ipotizzare, anche questa mattina nella rassegna stampa di Rai news24, una alleanza atlantista tra Meloni e Letta. Non saltate sulla sedia. Meloni rappresenta la destra atlantista e classica, il PD da sinistra di lotta e di governo si è trasformato in destra di Letta e di governo su posizioni anche queste atlantiste. C’è una differenza però sostanziale: Meloni non è europeista, e questo piace agli americani, mentre Letta è l’ascaro delle burocrazie liberiste europee francofile ed è atlantista solo di facciata.

Chi non ha la memoria di un toporagno ricorderà le comparsate di Enrico Letta ad Atreju, con record all’applausometro e sotto l’occhio adorante di Giorgia Meloni.

Oggi tra Letta e Meloni tutto sembra finito, come un litigio tra innamorati, e volano gli stracci ma c’è più affinità tre Letta e Meloni di quanto si creda e ‘o Meloni o noi’ serve solo a risvegliare i riflessi condizionati di quel che resta della vecchia e frastornata base popolare del PD. Tutto il resto è contorno sia nel centro destra di Meloni sia nel centro destra di Letta.  Non a caso queste campane a stormo del PD sembrano campane fesse, per di più suonate da pataccari come Di Maio, abbagliati dalla luce prima di Berlusconi e ora di Draghi come Gelmini, Carfagna e Brunetta, e dal bullo dei quartieri alti Calenda.

Il punto non è quindi solo la difesa degli interessi che una volta erano rappresentati dalla sinistra, e ora da nessuno, ma anche la difesa di una visione di democrazia, che lungi da essere anti europeista o anti atlantista, come strumentalmente si vuol far credere che sia, pone al centro i rischi di una visione populista e tecnocratica ben rappresentata dalla mobilitazione dell’opinionificio dei media dei salotti della finanza e della economia richiamata da Draghi nel suo discorso al senato: “A chiederlo sono soprattutto gli italiani. La mobilitazione di questi giorni da parte di cittadini, associazioni, territori a favore della prosecuzione del Governo è senza precedenti e impossibile da ignorare.”

E quindi indispensabile un’alleanza per la difesa dei valori della democrazia.

Pietro De Sarlo