Stellantis, i tribuni della plebe e la superstizione dei lavoratori

Che fine farà la fabbrica di Melfi? Il pessimismo della realtà e l’ottimismo dell’inganno

Quando all’inizio degli anni 90 un manipolo di intellettuali di provincia lancia l’allarme sulla Fiat a Melfi, nessuno ascolta: “quella fabbrica c’entra nulla con lo sviluppo dell’area e tra 25-30 anni chiuderà. Lascerà macerie sul territorio, disoccupati, qualche centinaio di pensionati, dopo aver frenato per decenni le potenzialità vere di sviluppo del Vulture-Melfese-Alto-Bradano”.

Non so se avevamo ragione, tuttavia oggi, date le circostanze, mi auguro con tutto il cuore che quell’allarme, ormai spento, non si trasformi in una tragica realtà. All’epoca erano tutti “ubriachi” di sviluppo e occupazione, tutti avvolti nell’odore della manna Fiat insediata a Melfi grazie ai miliardi dello Stato. Tutti provavano a ricavarne meriti a fini elettorali. Comincia la storia lucanica delle raccomandazioni, delle spintarelle, delle segnalazioni. Finalmente migliaia di ragazze e ragazzi potevano sperare in un futuro da “cormorani”: casa, famiglia, automobile, ferie. Dopo qualche anno a centinaia abbandonano la catena di montaggio dei sogni per causa dei ritmi insostenibili, di condizioni di lavoro stressanti e dei capi opprimenti. “Non vogliono lavorare”, dicevano in molti. “No, semplicemente vogliono vivere” ribattevano in pochi.

Poi si inventano le case per gli operai i quali a quel prezzo non possono permettersele. Ma la speculazione immobiliare avanza alla grande a Melfi, a Lavello, a Rapolla e così via. Intanto nella mente del “lavoratore Fiat” si stabilizza un’immagine di futuro desiderabile e così gli operai cascano nella trappola consumistica. In tanti ricorrono al credito al consumo e comincia “la vita a rate.”

Qualcuno, nel tempo, comincia a farsi domande sensate. “Parto da Grassano alle 3 del mattino per prendere l’autobus che, dopo un lungo giro tra i paesi, mi porta in fabbrica in tempo per il turno delle 6. Faccio le mie 8 ore e riprendo il bus che dopo 3 ore mi riporta a casa. In tutto sono 14 ore, provo a dormire 8 ore. Per la famiglia, i bambini, gli affetti, il riposo, per vivere, mi restano 2 ore. Ha senso tutto questo?”

Poi arriva Fca e tutti contenti perché le cose miglioreranno. Inganno su inganno. Cominciano a peggiorare. Poi arriva Stellantis e si balla alla festa del futuro. Un’altra fregatura. Le cose peggiorano ancora di più. Turni massacranti, riduzione degli orari di lavoro, lavoro a chiamata, cassa integrazione, incentivi al licenziamento, uno stress continuo: “casa, famiglia, automobile e ferie” da sogno si trasformano in incubo. Ogni mattina devi fare i conti con l’incertezza, con la precarietà permanente, con un futuro che si sposta continuamente come un bersaglio mobile.

E i sindacati, poverini, nel frattempo non possono fare altro che lottare per “mantenere i livelli occupazionali”, questo nel linguaggio riformista e moderato. Tradotto vuol dire mantenere i lavoratori nelle condizioni di subordinazione, di incertezza continua, di salario traballante: vuol dire conquistare 15 minuti in più per andare al bagno, ottenere 10 minuti in più per prendere aria o fumare una sigaretta. Deprimente. Se ti ammali non sei buono, se non ti pieghi al capo sei un problema. È sempre stato così, dal giorno della sbornia per lo sviluppo.

Ma davvero qualcuno pensa che gli accordi, le scelte aziendali, dipendano dalle relazioni industriali, dai rapporti di forza tra sindacati, governo e proprietari della corporation? Tutto dipende dai mercati e dai mercati finanziari, dai profitti, dagli appetiti degli azionisti. Diciamolo. E vale per tutti i settori esposti alla concorrenza internazionale. Davvero qualcuno crede che la situazione critica alla Stellantis di Melfi, come scrivono i giornali, dipenda dalla mancanza di semi conduttori o di altre componenti per la produzione? Invidio il loro ottimismo. E quando mancavano i microprocessori? “Paradossalmente la carenza di microprocessori ha avuto un effetto benefico sui conti portando il gruppo a concentrarsi su produzioni a maggiore valore aggiunto.”

E mentre gli operai fanno fatica persino a lavorare, e attraverso alcuni sindacati si offrono come schiavi più bravi pur di portare il pane – sempre più leggero – a casa, Stellantis festeggia i profitti del 2021. Agli azionisti 3,3 miliardi di dividendi, di cui quasi 500 milioni nelle tasche degli Agnelli. “Oltre 13 miliardi di utile netto. Il risultato, paragonato a quello ottenuto combinando i dati 2020 di FCA e PSA prima della fusione, è quasi triplicato in un anno (+179%) rispetto ai precedenti 4,79 miliardi di euro. I ricavi netti sono stati pari a 152 miliardi di euro, in aumento del 14%, per effetto soprattutto del miglior mix di prezzo e di prodotto e della crescita dei volumi.” E c’era pure la pandemia. Chiedetevi di quanto è cresciuto il salario dei lavoratori negli ultimi 2-3 anni. Certo qualche premio in busta paga si è visto, un grammo di pane in più una tantum.

Sono riusciti a trasformare il bastone e la carota (punizioni e premi di produzione), “se agisci come ti chiedo domani starai meglio”, in ricatto e minacce. “Se non fai come pretendo starai molto peggio”, fallirai, cadrai in miseria, sarai abbandonato nella tua vecchiaia. “O la minestra o la finestra” (D’Amore, 2021). Alla fine tutti o quasi scelgono la minestra. E questo perché il mantra che ingabbia i cervelli è sempre lo stesso: “bene o male la fabbrica ha dato da mangiare, e continua a sfamare, a migliaia di famiglie”. Com’è buono lei, Tavares.

Questa storia dei “benefattori” che danno da mangiare alle famiglie è ormai, diciamolo, una superstizione bella e buona. Su questa superstizione i potenti sfruttano cinicamente la gente e addomesticano i “tribuni della plebe” sbronzi di riformismo e di moderatismo. Forse lo stabilimento di Melfi si salverà per effetto delle innovazioni tecnologiche promesse dal Gruppo, ma i livelli occupazionali sprofonderanno.

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