Autonomia differenziata seppellirà tutti e i nuovi poveri del nord patiranno come quelli del sud

Il complesso di inferiorità dei meridionali verso il nord è diventato il complesso degli italiani, in specie settentrionali, verso il nord Europa

C’è una questione sul tavolo del governo che è dirimente per il futuro del Paese nei prossimi 50 anni ma che non riesce a coinvolgere le coscienze e l’interesse delle persone ed è l’autonomia differenziata. Eppure nel disegno di legge Calderoli gli accordi Stato Regione vengono sottratti alla potestà del parlamento, quasi come se si trattasse di un fatto privato. I LEP sono solo propaganda perché, supponendo che si superino le ambiguità nel definirli, non c’è alcuna garanzia che vengano finanziati. In più gli accordi sottoscritti diventano immutabili, per cui se ci dovessimo accorgere di un errore non sarà più possibile modificare la norma.

Viene compromessa non solo l’Unità Nazionale, che, come l’Unione Europea, non è un valore in sé se non c’è una volontà universale di appartenere ad un’unica comunità politica e se non se ne riconoscono obblighi e diritti reciproci, ma vengono compromessi anche i diritti sociali spingendo ad una selvaggia privatizzazione di welfare e servizi pubblici. Perché, diciamoci la verità, non si è una unica comunità politica se i pendolari della Circumvesuviana non hanno gli stessi diritti e doveri dei pendolari delle Ferrovie Nord.

Bonaccini e i satrapi del Pd meridionale

Ma in questa fase, assodato il merito della riforma, mi interrogo su dove sia finita, su un tema così importante, la capacità di mobilitazione umana, culturale, sociale e organizzativa della sinistra. Mi chiedo perché mai intellettuali, stampa, dirigenza politica e soprattutto il Pd abbia abdicato al pensiero della destra liberista e a quello della destra secessionista.

Perché nel pantheon del disegno di legge c.d. spaccaitalia non c’è solo Calderoli e la lega di Bossi, Borghezio, Zaia e affini ma il salvatore della patria Giuliano Amato. Il commissario europeo Paolo Gentiloni, che a capo di un governo a fine mandato siglò i primi accordi con le regioni del Nord che già prevedevano la sottrazione degli accordi stessi alla potestà del parlamento C’è il salvatore della patria Mario Draghi che nel suo ultimo discorso al senato piagnucolava sul fatto che con la caduta del suo governo non avrebbe trovato approvazione il Ddl Gelmini sulla autonomia differenziata. C’è soprattutto la faccia di bronzo di Stefano Bonaccini, in prima fila tra le regioni del nord a chiedere l’autonomia differenziata, che ora sgomita al sud per chiedere i voti per diventare il segretario nazionale del Pd.

Voti che, sono certo, i satrapi locali del Pd, De Filippo De Luca e Emiliano, e tanti militanti sedicenti di sinistra del sud vigliaccamente e in cambio di miserevoli prospettive politiche individuali non credo gli facciano mancare.

Ma dove sono gli onorevoli del sud?

E non posso non ricordare che nella seduta della Commissione Bicamerale del 30 aprile 2015, presieduta da Giancarlo Giorgetti, quando si discuteva l’ammontare delle risorse da destinare al fondo di perequazione previsto dall’articolo 119 della costituzione, non era presente nessuno, e dico nessuno, dei deputati e senatori del sud che ne facevano parte. Prima o poi ne pubblicherò i nomi per chiedere conto da cittadino del loro operato.
In quella riunione Giorgetti, preoccupato che l’enorme ammontare di risorse necessarie per finanziare il fondo avrebbe evidenziato l’enorme squilibrio nella distribuzione della spesa pubblica a favore del Nord, chiedeva la segretazione degli atti ‘come nella commissione antimafia’.
E dove sono ora i deputati e senatori del sud? Muti, distratti e complici come da 160 anni.

Giudizi e pregiudizi sul Sud

E dobbiamo chiederci anche in quale brodo di coltura siano maturate le convinzioni che hanno portato a questo progetto scellerato. Alcune facilmente smontabili, come il presupposto che le regioni ricche paghino per tutte. I Conti Pubblici Territoriali, voluti da Carlo Azeglio Ciampi, mostrano già oggi che le regioni che hanno maggior Pil pro capite rispetto alla media nazionale hanno una spesa pubblica procapite superiore alla media nazionale con un coefficiente di correlazione di 0,79: elevatissimo. Cosa vogliono di più?
Altre affondano le proprie radici anche tra i meridionali in quello che l’immenso Carlo Levi definiva il ‘complesso di inferiorità’ dei meridionali rispetto al Nord.

Non c’è discussione sul sud, pubblica o privata, in cui questo complesso non emerga e ci renda muti. Non c’è alcuna discussione sul sud in cui qualcuno non si senta in diritto di trovare ragioni antropologiche in questo divario e in cui non tiri fuori Banflield e il familismo amorale. Il familismo amorale esiste? Sì, e questo giornale ne denuncia tutti i giorni l’esistenza e gli effetti. Ma è il familismo la causa del divario e della povertà del sud rispetto al nord o ne è la conseguenza? Da 160 anni, ben prima di Banfield, ci dicono che ne è la causa. Forse è ora di invertire logicamente causa ed effetto.

Non c’è discussione in cui qualcuno non ci chieda perché il Veneto, che era una delle regioni più povere di Italia, è diventata una tra le più ricche e il sud è rimasto povero. Forse occorrerebbe chiedersi invece perché, pur essendo alle spalle delle Alpi e ai suoi ricchi mercati oltre che contigua al ricco nord ovest, sia diventato ricco così tardi.

Le differenze antropologiche tra veneti e lucani. La vera domanda nascosta è: c’è una differenza antropologica tra i veneti e i lucani, per esempio? Sì, c’è. Quando i veneti avevano le pezze al sedere erano la patria del doroteismo, oggi che sono ricchi vogliono tenersi tutta la ricchezza e chiedono l’autonomia. I lucani potrebbero invece essere autonomi dal punto di vista energetico. A questo punto devono chiedere di trattenere tutta la tassazione sui profitti dell’estrazione di petrolio e gas e tutta la tassazione per l’energia prodotta, oltre che dai fossili, da eolico e fotovoltaico e vendere l’acqua a caro prezzo. Potrebbero così diventare ricchi al punto da offrire riscaldamento, luce e acqua gratis non solo ai residenti ma a tutti i ricchi pensionati del nord a patto che comprino o affittino una casa in uno dei tanti nostri spopolati borghi montani e ci risiedano almeno nei mesi invernali. Potrebbero persino finanziare cliniche di lusso per i propri abitanti e dare cure gratis, potrebbero essere il Qatar d’Italia. ‘Ragioniamoci sopra’ caro Luca Zaia.

Ma forse più che differenze tra veneti e lucani occorre parlare di differenze tra ricchi e poveri, giacché la ricchezza porta egoismo, specialmente quella dei parvenu, la povertà necessita di solidarietà e protezione sociale.

Facciamo il loro gioco?
E qui, occorre dire con chiarezza che spesso ci prestiamo al gioco della pubblicistica antimeridionale. Lo facciamo quando ci cimentiamo in dispute per definire il numero dei martiri per il brigantaggio oppure ci occupiamo di ristabilire le verità storiche sulla effettiva situazione del Regno delle Due Sicilie. Una trappola in cui ci infiliamo spesso, anche io. Non c’è storico, di destra o di sinistra del nord o del sud, che non concordi sul fatto che dall’Unità d’Italia ad oggi il divario Nord – Sud sia aumentato. Basta questo! Dal 6 settembre 1860 i Borbone non hanno più alcuna responsabilità di quello che è accaduto nella Penisola. Il divario iniziale era grande o piccolo non importa, quello che importa è che le classi dirigenti imprenditoriali, politiche, intellettuali del sud e del nord di destra e sinistra che hanno gestito il Paese con i Savoia, Mussolini, la prima e la seconda Repubblica hanno fatto peggio dei Borbone e ci consegnano un paese peggiore, in termini di divario, di quello che era prima. Punto, non c’è altro da dire.

E quindi forse dovremmo sovvertire il mantra storico ‘se parte il Nord parte il Paese’ perché non è mai stato così e forse dovremmo chiederci se non occorra ragionare al contrario: se parte il Sud si salva il Paese. E dobbiamo dirci che Banfield e la tiritera antropologica serve solo a giustificare che non abbiamo mai avuto, e non abbiamo, una vera classe dirigente nazionale, al sud come al nord, che si senta responsabile dell’intero Paese oltre che del proprio orticello territoriale ed esperienziale. Non esiste un economista o un intellettuale capace di affrontare i problemi del Paese in modo unitario e globale, determinare una strategia di sviluppo armonica e complessiva e ci si rifugia dietro il consunto pannicello caldo delle questioni antropologiche.

E dobbiamo anche dirci con franchezza che con l’autonomia differenziale, e per questa china, prima o poi qualcuno porrà il tema della ‘secessione dei poveri’, come strumento di sopravvivenza e sicuri che in tal caso l’Unione Europea sarà meno matrigna dello Stato sedicente unitario.
Ed è assordante il silenzio del Presidente della Repubblica, ed è enorme la responsabilità che si sta prendendo questo governo di destra nello spaccare in via definitiva e senza possibilità di appello questo Paese. Eppure le potenzialità del sud ci sono e sono enormi, ma finché copriremo con la foglia di fico del tema antropologico le nostre inadeguatezze di classe dirigente nazionale non avremo neanche la curiosità intellettuale di esplorarle.

La nemesi storica
Quello che vedo è che il complesso di inferiorità dei meridionali verso il nord è diventato il complesso degli italiani, in specie settentrionali, verso il nord Europa. Quello che vedo è che oggi non solo i laureati del sud emigrano verso altri paesi europei e sempre meno verso il nord Italia, ma anche i laureati del nord cercano la propria strada all’estero. Possiamo anche pensare, per pigrizia intellettuale e invece di cambiare paradigma, che questo derivi dal sud e dalle sue questioni antropologiche ma l’autonomia differenziata seppellirà tutti e i nuovi poveri del nord patiranno come quelli del sud. www.pietrodesarlo.it