Matera, 21 settembre 1943: fu vera gloria?

Lo storico Caserta fornisce fatti, circostanze e argomenti che decostruiscono il mito

Dalla Cronaca alla Storia. Il 21 settembre a Matera, è un saggio del prof. Giovanni Caserta che tutti dovrebbero leggere per capire, finalmente e definitivamente, cosa accadde nella città su quei fatti dolorosi e sanguinari del 1943 che tanto interesse hanno suscitato nella storiografia locale. Caserta è uno storico materano, memoria vivente della Basilicata per età e competenza. Si è cimentato con un compito arduo che solo gli storici dotati di determinazione e di coraggio sono in grado di affrontare: quello di decostruire l’autorappresentazione di una comunità. Di sfatare il mito fondativo che la nutre, riportando alla luce la verità dei fatti.

Nel leggere il saggio si coglie nitidamente questo intento. Il mestiere dello storico richiede pazienza, rigore soprattutto quando la ricerca della verità dei fatti su cui si intende far luce mette in discussione una lunghissima tradizione di celebrazioni. Giovanni Caserta smonta un pezzo dopo l’altro il mito pervicacemente costruito negli anni che descrive ed esalta l’eroismo dei materani nell’insorgere contro i nazi-fascisti e di averli cacciati via dalla città prima dell’arrivo dell’esercito alleato.

Va dato atto a Giovanni Caserta di aver rimesso la storia con i piedi per terra, laddove alcuni suoi concittadini, intellettuali e politici innanzitutto, l’hanno maldestramente capovolta.

Il quadro storico prima di quel 21 settembre viene raccontato così da Caserta: “Il 25 luglio 1943, era caduto il fascismo e al posto di Mussolini, come capo del governo italiano, era stato chiamato il maresciallo Badoglio. [..] La parola d’ordine del governo Badoglio fu, come è noto “La guerra continua”, con cui si vollero rassicurare i tedeschi circa la lealtà italiana […] Dal 25 luglio e fino all’8 settembre […] si vissero giorni di solo apparente intesa fra i due eserciti e governi, che ormai si accingevano a seguire vie diverse e, sospettosi, si spiavano reciprocamente”. […] Badoglio scelse la via della ambiguità e del temporeggiamento, cioè della prudenza”. Pertanto, un “clima di grande tensione si respirava fra militari italiani e militari tedeschi dopo l’8 settembre. Si guardavano con reciproco sospetto”[…] I soldati e militari italiani, in particolare, non avevano ordini precisi: dovevano inventarsi una condotta lì per lì. È quanto dire che erano allo sbando.”

Ricordare il clima di quei giorni drammatici è molto importante per contestualizzare, e per capire, cosa accadde realmente a Matera. In particolare, serve a capire perché la giornata del 21 settembre 1943, “celebrata in pubblici consessi e in forma retorica come esempio di lotta antifascista”, se collocata in quel contesto appare in tutt’altra luce: “non (fu) una insurrezione, e nemmeno una rivolta, ma solo un tragico incidente di guerra”.

Giovanni Caserta formula questo giudizio avvalendosi di molteplici fonti, scritte e orali, e anche di testimonianze dirette. La sua ricostruzione è puntuale sul piano storico-cronologico, e anche molto ben argomentata sul piano logico.

Partiamo dai fatti, dal racconto dei due episodi che diedero inizio a quelle due ore concitate nella vie della città: “La scintilla, del tutto occasionale, fu data dalla uccisione, nella gioielleria Caione e Colella, di due tedeschi, andati lì sicuramente per comperare e, secondo una ipotesi molto verosimile, semplicemente per liberarsi della carta moneta italiana che, lontano dall’Italia, non sarebbe servita a nulla. Si voleva portare oro, spendibile dappertutto. Purtroppo, il clima di tensione e di paura, soprattutto da parte dei due tedeschi, accerchiati da una decina di soldati, carabinieri e poliziotti italiani, determinò una condizione per cui si arrivò a sparare da parte dei nostri militari…A questo punto non si capì più nulla”. La testimonianza della Caione è affidabile e credibile: a lei si sono rivolti i due soldati tedeschi, Karl Reigler e Olen Gent Kupwess, una volta entrati intorno alle ore 16-16,15 nella sua gioielleria, sita in via San Biagio, al n. 22. Senza minacciarla o intimidirla. Lo dice lei, a più riprese. E lo sottoscrive in un verbale: non erano lì per svaligiare la gioielleria, ma solo per acquistare qualche oggetto, probabilmente un anello.

L’uccisione dei due tedeschi, sorprese e turbò i militari autori del fatto, tanto che si preoccuparono di nascondere immediatamente i corpi dei due uccisi e scappare. Purtroppo, proprio in quel momento, per via San Biagio, passava una motocarrozzetta tedesca, che notò e registrò l’evento. La situazione, allora, precipitò…Ogni cittadino era ormai un nemico”.

Pochi minuti dopo l’uccisione dei due tedeschi, avvenne un altro episodio che contribuì a far scoppiare “la scintilla”. Ne fu protagonista un anonimo cittadino materano, Emanuele Manicone, che, entrato in una bottega di barbiere dove era intento a farsi la barba un ufficiale tedesco, dopo aver cercato inutilmente di sparargli, “lo colpisce con una sciabola o con un coltello, mentre quello teneva le mani in alto in segno di resa e si dichiarava prigioniero”. Un atto che di eroico ha ben poco. Un atto che non piacque “al vigile urbano Francesco Lapacciana e a Donato Cetera, autista della Provincia, che, con atto di estrema umanità, o con grande senso di responsabilità, anziché lasciare il ferito a morire dissanguato, si affrettarono a portarlo al vicino ospedale, a circa centocinquanta metri di distanza. Fu lì curato e guarito”. Quell’ufficiale “non serbò rancore. Anzi, ritornò a Matera per rivedere la bottega e per ringraziare i soccorritori”. Questi i ricordi di Nicola Campanaro. Quello che qui conta sottolineare è che “l’atto di Emanuele Manicone, abbastanza inaspettato e scioccante anche per i materani presenti, convinse i tedeschi a temere di chiunque. La paura, mista all’odio e al desiderio di cieca vendetta, ormai dilagava dappertutto. I tedeschi scorrazzavano per le poche strade della città del piano, allora poco estesa, forse alla ricerca di altri ostaggi con cui coprirsi le spalle e la fuga, certamente per compiere gli ultimi atti di sabotaggio, o, più semplicemente, per seminare il terrore, creare il vuoto e fuggire senza altre perdite”.

I materani, “sorpresi dal precipitare degli eventi, in uno stato di confusione essi pure cercarono, come poterono, di organizzare la difesa”. Alcuni armati di accetta, altri di fucile da caccia: tutti gli episodi di guerriglia contro i tedeschi si consumarono in quelle due ore. Una guerriglia cui non prese parte certamente un protagonista: “La città del piano…, quella che da secoli, dall’alto, gestiva il potere economico, politico e sociale, e che si considerava mente pensante e guida della città, fu assente”. Per dare il giusto significato alla realtà storica e agli accadimenti, occorre aggiungere anche questo tassello. Caserta continua riprendendo la posizione di Nitti, sottotenente dell’esercito, che, su questo importante aspetto, ha ricordato, così come hanno fanno altri, “che famiglie intere di “signori” e “galantuomini”, scesero nei Sassi e si nascosero nelle grotte e nel fondo delle stalle, mescolandosi agli spregiati cafoni e prendendo reale contatto, forse per la prima volta nella loro vita, con “la miseria dei cavernicoli”. Questo non è un dettaglio di poco conto, sia sul piano del giudizio storico-politico, su cui tornerò dopo, sia sotto il profilo, direi, della valutazione delle ragioni squisitamente militari delle azioni compiute. Caserta, infatti, alla luce di quanto ricostruito sostiene che “in simile situazione poteva non succedere nulla. Poteva accadere, cioè, che i tedeschi, senza alcuna resistenza da parte di alcuno, se ne andassero pacificamente. […] Nessuno se ne sarebbe meravigliato, perché avevano fatto e avrebbero fatto così altrove, e così avevano fatto con gli operai delle ferrovie Calabro-lucane”.

Accadde invece che il clima di terrore che si stava vivendo, e per coprire la loro fuga, i tedeschi fecero saltare in aria il Palazzo della Milizia e la società elettrica, provocando la morte di 21 ostaggi.

L’autore riconosce certo che “i tragici fatti del 21 settembre 1943 furono una esperienza scioccante per la comunità materana che, inaspettatamente, la storia porta i nemici in casa e le sparatorie per le strade”. Caserta spiega così “perché quella giornata, che fa da spartiacque anche nella vita della città, sia rimasta al centro dell’attenzione della storiografia locale”.

Dopo una prima commemorazione del 1944, a un anno di distanza, seguiranno anni di silenzio e di disattenzione interrotti solo grazie alla pubblicazione di un articolo di Carlo Levi, Tre ore a Matera, su “L’illustrazione italiana” nel dicembre 1952. Questa è la svolta decisiva. Sia per la sede della pubblicazione, sia per il nome dell’autore: “quel lungo articolo, quasi racconto, servì a proporre l’evento del 21 settembre 1943 all’attenzione nazionale e fece uscire dal riserbo quanti, a livello locale, erano ancora restii a parlare. Sulla spinta del Levi, infatti, il prof. Francesco Paolo Nitti pubblicava il breve saggio-ricordo Matera, 21 settembre 1943, uscito per la prima volta sulla rivista “Il lavoro”, maggio 1954

Francesco Paolo Nitti, sottotenente presso il Comando sottozona Pi (Protezione impianti) e Dap (Difesa anti paracadutisti) fu testimone oculare “ma non neutrale” di quei fatti. Nel suo breve saggio il Nitti affermò che “lo scritto di Levi era forse suggestivo, ma “inesattoe in parteinventatonell’aver voluto definire in termini di “rivolta contadina” quegli accadimenti. Non di rivolta contadina si era, dunque, trattato, ma di qualcosa di più”. Accadde così che il racconto del Nitti diventò il testo ufficiale della strage del 21 settembre a Matera, assunto a documento indiscusso, in virtù del quale la città avrebbe avuto la medaglia d’argento al valore militare nel 1969: dopo 26 anni dai fatti e dopo che la richiesta era stata respinta nell’immediato dopoguerra dalla Commissione parlamentare appositamente istituita. Non tutti, anche allora, la pensavano allo stesso modo, ricorda Caserta. Durante le celebrazioni furono espresse, infatti, posizioni diverse, talvolta apertamente critiche, come quella del prof. Raffaele Giura Longo, che sottolineò che a Matera non era accaduto nulla di paragonabile alla lotta partigiana svoltasi in altre regioni d’Italia. E le stesse forze politiche si mossero in ordine sparso. Nel ’69, con la medaglia d’argento, si è pertanto certificato un episodio nei fatti ambiguo, che ha, però, aperto la strada alle ripetute richieste della medaglia d’oro al valor civile, richieste sempre fortemente appoggiate dalla politica. Senza che vi fossero state significative novità sul piano storiografico, accadde allora che il mito venisse consacrato e pubblicamente legittimato nella manifestazione ufficiale del 21 settembre 1969 alla presenza del ministro della Difesa l’onorevole Gui e dell’ onorevole Emilio Colombo.

Un mito intorno a cui la comunità materana si sarebbe raccolta, e in cui si sarebbe riconosciuta nei decenni a venire, traendo motivo di orgoglio e dignità. Ma fu vera gloria?

Descritti i fatti, è doveroso porsi delle domande. La prima: quei fatti giustificano l’assegnazione della medaglia d’argento al valor militare alla città di Matera? Possono essere, quegli accadimenti, configurati come un’insurrezione di popolo, o furono, piuttosto qualcosa d’altro? Qualche osservatore insinuò fin da allora dei dubbi, che l’autore riporta, ma evidentemente non bastarono, questi dubbi, a decostruire una tesi che non è sopravvissuta solo in ambito storiografico, ma ha dato vita a una tradizione, celebrata solennemente dalle autorità. Un terreno scivoloso, che, però, Giovanni Caserta percorre con fermezza e con stile.

Vediamo innanzitutto qual è la sua tesi. Quali sono i principali argomenti/fatti che l’autore ricompone in un quadro complessivo di senso?

La domanda cruciale è la seguente: quegli accadimenti possono essere definiti nei termini di un’insurrezione antifascista? Anche se vanno tenuti in conto, i dati relativi ai morti – 21 tra militari e civili – e alla durata degli scontri – poco meno di 2 ore? – non bastano tuttavia a ridimensionare e a ridefinire la portata e il significato degli eventi. La differenza fondamentale, soprattutto se messa a confronto con altre esperienze (con le Quattro Giornate di Napoli, in particolare), consiste nel fatto che: non si è trattato di un’insurrezione, ma di un “incidente”; la città di Matera non era antifascista né vi erano nuclei di antifascisti.

Matera era, invece, convintamente fascista, diversamente, ad esempio, dalla città di Potenza, dove attività e gruppi di antifascismo militante sono stati documentati. Lo storico Caserta fornisce fatti, circostanze e argomenti che, insieme, nella loro concatenazione, decostruiscono il mito.

Che cosa distingue un’insurrezione da un incidente? Un elemento decisivo è l’organizzazione/pianificazione dell’azione insurrezionale. Non esiste insurrezione che non sia preparata a tavolino, da un centro di comando, per decidere tempi – quando insorgere –luoghi – dove insorgere – risorse da impiegare – quali armi e mezzi – obiettivi – contro chi o cosa indirizzare l’attacco. L’insurrezione è tale solo se contempla- e mette in gioco – disciplina militare e razionalità organizzativa.

Caserta dimostra che nulla di tutto questo è presente in quello che, a questo punto del tutto legittimamente, definisce un incidente durato poco meno di 2 ore: l’uccisione di due tedeschi nella gioielleria, il tentativo, fallito, di occultarne i cadaveri, e la ritorsione, a quel punto inevitabile, dei tedeschi. Di che pianificazione si può parlare, allora, vista la sequenza dei fatti? C’è un’aggravante, a volerla dire tutta: l’uccisione dei due soldati non solo fu inutile – non erano in quel momento una minaccia per nessuno visto che, con gli Alleati alle porte, erano anche in procinto di lasciare la città – ma drammaticamente controproducente: le azioni di ritorsione – e i morti che provocarono – non ci sarebbero state senza quelle uccisioni. La scintilla incendiò una miccia che provocò morte e dolore, senza che ve ne fosse alcun motivo.

Strettamente connesso a questo punto vi è l’altro, politicamente anche più significativo: Matera non era e non era mai stata antifascista, come tante altre città meridionali, soprattutto di provincia. Caserta scrive: “Aveva buoni motivi, anzi, per dirsi fascista […] Matera fruì dei vantaggi di essere ridiventata [nel periodo fascista] finalmente capoluogo di provincia”, coronando un sogno. Non vi è, in queste parole e in questo giudizio, nessun intento di colpevolizzazione. La struttura sociale della comunità materana era composta per il 90% da contadini. E molti di questi contadini vivevano nei Sassi, in “condizioni inumane e vergognose”. Luoghi dove talvolta i notabili si recavano per andare a far visita ai loro braccianti, per allontanarsene il prima possibile. Accanto ai contadini, vi era, poi, una parte – dirigenti, funzionari del Comune e della Provincia, e di altri uffici della città –tutta di provata e dichiarata fede fascista. La restante parte – i commercianti, gli artigiani e gli impiegati – era altrettanto organica al fascismo. Infine, i pochi intellettuali presenti si guardarono bene dal prendere posizione. Non c’è dunque da stupirsi che Matera fosse fascista. Fatta su ciò chiarezza, viene meno l’altro pilastro su cui il mito ha potuto essere eretto e durare nel tempo.

Su questi due punti cardine del resto lo stesso Nitti era d’accordo, come riporta, virgolettando le sue parole, Giovanni Caserta. Pubblicato nel 2008, il suo lavoro è proseguito negli anni grazie a ulteriori indagini di archivio e a puntuali precisazioni analitiche che hanno visto la luce in articoli apparsi su quotidiani locali o presentati sul corso di interviste televisive. Un lavoro accurato che ha rimesso la storia con i piedi per terra. Gliene va dato atto. Resta da capire, e da interrogarsi, sulle ragioni dell’aver ignorato il saggio di Caserta, nonostante più volte e ripetutamente negli anni abbia invitato a fermarsi e a riflettere su ciò che è davvero accaduto in quel fatidico giorno del 21 settembre del 1943: “nessuno dei caduti a Matera cadde per aver imbracciato un fucile contro i tedeschi (tranne, forse, il finanziere Rutigliano). Insomma, i caduti di Matera sono caduti di guerra non della Resistenza”.

Restano da chiarire i motivi per cui il mito non solo abbia resistito alla decostruzione effettuata ma si sia addirittura rinvigorito con l’assegnazione della medaglia d’oro al voler civile nel 2016: 73 anni dopo i fatti! Su queste ragioni profonde tornerò in un successivo contributo. Perché fare chiarezza non significa affatto profanare la memoria delle vittime della strage nazista. Al contrario, significa restituire loro la dignità di vittime innocenti di guerra. Restituire quella dignità che il capovolgimento storico e le celebrazioni postume hanno impedito, accogliendo e sostenendo la proposta che Giovanni Caserta fa a conclusione del suo lungo saggio: istituire il 21 settembre come “giornata della pace e dell’Europa unita”. *Graziella Salvatore, sociologa

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