Bardi e Latronico chiedono al Governo la schiavizzazione energetica della Basilicata

No Triv: "In nome dell’autonomia differenziata"

Scrivendo in questi giorni un’amorevole letterina al suo compagno di partito, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Pichetto Fratin, protetto dalla consueta maschera di bronzo, il “governatore/generale” lucano Bardi ha tirato fuori un nuovo asso dalla manica di prestigiatore energetico. Dopo essersi ovviamente auto osannato nell’impegno primario fin qui profuso “nel perseguimento dell’obiettivo della transizione energetica”, in vista di un imminente Consiglio dei Ministri in cui si discuterà del decreto-legge sulle semplificazioni in tema di Pnrr, chiede che “una quota dell’energia prodotta da impianti connessi alle fonti energetiche rinnovabili, insistenti sul territorio lucano, possa essere adeguatamente riconosciuta alla Basilicata, con politiche di compensazione ambientale, così come avviene per quelle derivanti dalle estrazioni delle concessioni minerarie, risorse che hanno poi garantito l’erogazione del “gas gratis a tutti i lucani”.

L’obiettivo dichiarato è applicare la medesima “filosofia” anche all’energia elettrica (e non solo, è facile immaginare, stando al carniere sperimentale di Eni & C…). Dopo che il “modello Bardi” ha riscosso grande successo nel rosario elettorale delle perle meloniane, i vertici regionali lucani passano ora all’incasso, anche in vista dell’investitura di cruciale snodo di hub energetico conferito alla Regione dalla retorica del “nuovo piano Mattei” (con pace all’anima sua), che sarebbe più onesto denominare “nuovo piano Descalzi”.

Viene da chiedere: cosa sono gli impianti connessi alle fonti energetiche rinnovabili? Forse Bardi si riferiva semplicemente agli impianti (esistenti e futuri) di produzione da rinnovabili tout court?

La citata “filosofia” ispiratrice delle politiche di compensazione ambientale richieste, in analogia con “quelle derivanti dalle estrazioni delle concessioni minerarie”, una volta calata giù dall’empireo della speculazione metafisica, si ridurrebbe quindi agli automatismi delle royalties?

Se così fosse, si tratterebbe di una proposta “forte”, che presupporrebbe specifici adeguamenti normativi, di certo forieri di plausibili impugnazioni presso la Corte Costituzionale. Che 30 anni di governi regionali abbiano fatto del regime estrattivo di idrocarburi liquidi e gassosi il perno delle politiche di subordinazione della Basilicata alle mire fiscali in funzione anti recessiva dei governi centrali, è tristemente risaputo. Il fatto che qui si giochi al raddoppio, vuol dire annullare definitivamente la funzione consultiva e partecipativa dei territori, schiacciando il territorio lucano, nella divisione produttiva regionale, al ruolo di hub energetico nella strategia dell’hub nazionale.

Recitando la parte in commedia, ci viene in soccorso il solerte assessore regionale all’Ambiente ed Energia Cosimo Latronico, che loda “l’iniziativa del presidente Bardi”, in quanto “si inserisce nel dibattito in corso sull’autonomia, evidenziando quanto sia fondamentale – attraverso una proficua interlocuzione con il governo centrale – tentare di restituire ai cittadini una parte delle risorse energetiche prelevate sul territorio”.

I dati statistici ci dicono che già dal 2017 la Basilicata rasenta, con l’87% di energia prodotta da rinnovabili (FER), la potenziale autonomia energetica. Ma dove finisce l’energia prodotta sul suolo lucano (rinnovabile, s’intende…)? La gran parte prende la strada del Nord-Est, sommandosi a quella pugliese. In concreto, nei palazzi romani è in cantiere la definizione normativa di “una procedura abilitativa semplificata per la realizzazione di impianti fotovoltaici di potenza fino a 50 MW, e si prevede un impegno a cedere al Gestore dei servizi energetici, per almeno 15 anni, l’energia prodotta dagli impianti.” Come programmazione di un piano economico industriale non è male!

Qui si svela lo squallore di un pezzo di metodologie operative di scambio della natura stessa del progetto di “autonomia differenziata”, che facendo leva sugli appetiti da piccoli principati incentrati sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione, mette in campo in realtà, per le regioni a statuto ordinario, la possibile attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, limitatamente a determinate materie e seguendo uno specifico procedimento. Si tratta delle materie di potestà legislativa “concorrente” Stato/Regione, come rubricate nel terzo comma dell’articolo 117, Titolo V della Costituzione.

Tra le altre, nel caso di specie, la materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, che a seguito di impugnazione di provvedimenti regionali da parte dello Stato, ha visto sempre soccombere la Regione Basilicata in sede di Corte Costituzionale. Ricordiamo al proposito che il d.lgs. n. 199 del 2021 individua i fondamentali aspetti normativi della transizione energetica; che in virtù di tale assetto, le scelte riguardanti il quantitativo di energia rinnovabile prodotta dalle singole Regioni ed i criteri di localizzazione degli impianti devono seguire una strategia nazionale, in grado di distribuire gli oneri derivanti dalla transizione energetica tra le diverse Regioni, secondo una strategia coerente con gli infrazionabili interessi unitari sottesi a un settore nevralgico per lo sviluppo ambientale ed economico del Paese.

Tali previsioni, da integrarsi con i futuri (e tardivi) decreti ministeriali, delineano i principi fondamentali che le Regioni sono tenute a rispettare. Nel settore delle energie rinnovabili, ai decreti ministeriali spetta infatti «il completamento della normativa primaria» (Corte cost., sent. n. 106 del 2020; sent. n. 86 del 2019). Indicando puntuali modalità attuative della legge statale, le previsioni contenute in simili atti hanno natura inderogabile e sono da applicare in modo uniforme in tutto il territorio nazionale (Corte cost., sentt. nn. 106 del 2020, 286 e 86 del 2019, con riferimento al d.m. 10 settembre 2010, recante «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili»).

Non a caso, il decreto legislativo ha stabilito che solo a seguito dell’adozione dei d.m. indicati dall’art. 20, comma 1 del d.lgs. n. 199 del 2020, le Regioni debbano individuare con legge, entro centottanta giorni e in conformità ai principi e criteri stabiliti dai d.m., le aree idonee. Nell’esercizio delle proprie competenze, lo Stato ha dunque delineato un articolato quadro normativo che le Regioni sono chiamate a rispettare ed implementare (a meno di deroghe pattizie di natura bilaterale).

Come si vede, la partita in atto tra Bardi e governo centrale ci dice che non solo di elemosina si tratta. Al fine di contrastare manovre surrettizie che potrebbero consumarsi in spregio del vigente dettato costituzionale in nome di una pericolosa autonomia differenziata, usata come un ariete contro gli infrazionabili interessi unitari della Repubblica; onde evitare che un presidente di Regione possa trasformarsi in autoreferenziale capo condomino, invitiamo tutte le forze politiche, sindacali, culturali, a ragione preoccupate per il carattere eversivo di un progetto di frantumazione dei diritti di cittadinanza, a vigilare senza distrazioni sulle sorti del Bene Comune, senza escludere eventuale ricorso alla Suprema Corte ed attivando una capillare ed incisiva battaglia politica e sociale. Coordinamento No Triv Basilicata