Lo squadrismo digitale

“La punta di diamante della letteratura lucana” ci ha dato prova della sua magnificenza critico-linguistica

Molti utenti dei social network, animati da livore, confondono la libertà di espressione con il dovere di disinformare la propria comunità digitale. Nelle piazze o nei bar di paese, l’invettiva che mi è stata segnalata sarebbe stata rapidamente derubricata e dimenticata. Ma sui social le parole, ancor più quelle non vere e calunniose, restano e operano sotto traccia nella coscienza degli utenti. Ed è per questa ragione che quel che accade sui social ci riguarda tutti. Non si può far finta di nulla.

Del cappellismo provinciale abbiamo già discusso sulle pagine di questo giornale quando il massimo esponente di questo movimento livoroso, definito dai suoi pari “la punta di diamante della letteratura lucana” (cit.) ci ha dato prova della sua magnificenza critico-linguistica.

Ultima in ordine di tempo è l’invettiva del suo massimo esponente contro il professore di Storia del pensiero politico dell’Università di Torino Angelo d’Orsi che, ospite del programma televisivo Quarta Repubblica, è chiamato ad analizzare il movimento anarchico alla luce della rinnovata attenzione mediatica sul caso Cospito. Il giorno dopo aver guardato la puntata, il cappellista posta sui suoi profili Facebook e Twitter la foto del professore con la seguente didascalia: “guardatelo bene, questo vecchio odioso arnese comunista. da quello che ha risposto iersera a Capezzone, durante Quarta Repubblica, rompere la testa a uno studente di destra non va poi così male. insomma l’abietto “uccidete un fascista non è reato” de na vorta! è il prof Angelo D’Orsi; e nessuno lo caccerà dall’università per questo. ma perché invitarlo in tivvù, mssié Nicola Porro?”

Bisogna fare un respiro profondo per non perdere l’equilibrio davanti a questa parole oscene.

Non so cosa spinga uno scrittore a usare quei toni denigratori, ormai ho smesso di domandarmi il perché lo fa, ma proprio non riesco a fare finta di nulla. Periodicamente il cappelista ha bisogno di trovarsi un nemico immaginario e comincia a colpirlo senza preoccuparsi di avere argomenti a sostegno. Sceglie di agire da squadrista digitale: ha addirittura pubblicato la foto del bersaglio prescelto perché lo si possa ben riconoscere, come fosse un ricercato, e gli attribuisce affermazioni mai pronunciate in spregio a qualsiasi codice culturale e rispetto della verità. Basta rivedere la trasmissione per capire, verificare autonomamente che non corrisponde al vero l’esternazione riportata dal diamantino della cultura lucana, il quale si indigna e tagga il conduttore del programma per chiedergli spiegazioni.

Quel che mi interessa è mettere a nudo le tecniche argomentative del livore, cercando di smascherare gli errori logici di ragionamento che si celano dietro la frizzante retorica che intossica le regole dei confronti dialettici. Il cappellista si serve di una serie di argomentazioni fallaci – dal latino fallere, ingannare – per persuadere e orientare l’opinione di chi lo legge. Tecniche manipolatorie, insomma, che è importante conoscere per bonificare noi stessi e il dibattito pubblico, conducendo discussioni corrette sul web e nella nostra vita privata.

“La punta di diamante della letteratura lucana” utilizza due fallacie argomentative in quattro righe. La prima è una combinazione della fallacia ad personam e della fallacia ad ridiculum (“questo vecchio odioso arnese comunista”), che si verifica quando un individuo A mette in ridicolo un individuo B contestandone non gli argomenti, ma ridicolizzando l’interlocutore. È una tecnica assai comune ed utilizzata nel linguaggio pubblico, portata al suo estremo dalle tristi ed escandescenti urla che quotidianamente ci capita di ascoltare in tivù. È una tecnica facile da individuare con la quale l’autore si sforza di ridurre la credibilità dell’interlocutore (in questo caso immaginario) ridicolizzandone la condotta, senza portare argomenti contro la tesi in sé, in questo caso arrivando a scrivere la sua personale proiezione preconcetta.

La seconda è assai più insidiosa e porta il lettore che non ha il tempo di verificare da sé a pensare che il prof. abbia auspicato davvero atti di violenza nei confronti degli studenti di destra: “da quello che ha risposto iersera a Capezzone, durante Quarta Repubblica, rompere la testa a uno studente di destra non va poi così male”. In questo caso, l’argomento è del tutto inventato, ai limiti della denuncia per diffamazione. I lettori più attenti possono verificare cliccando qui (a partire da 1:08:07) che nel discorso del prof. d’Orsi non c’è la benché minima traccia delle accuse rivoltegli nel post.

Il cappellista chiama in causa anche Porro, il conduttore di Quarta Repubblica, che non gli risponde, ma lo fa un giornalista della redazione del programma che nel suo profilo Facebook dichiara di essere “lucano fino al midollo” e, dalle sue risposte allo scrittore, sembra confermare le false dichiarazioni di Cappelli, arrivando a scrivere “Caro Gaetano, perché invitarlo? Perché noi siamo liberali e crediamo nel confronto e nel dialogo anche con chi arriva a tali provocazioni. Loro un po’ meno …”. Ma questo giornalista, mi domando, avrà visto la trasmissione che contribuisce a realizzare?

Angelo d’Orsi è uno storico serio e di fama internazionale, suo è il neologismo rovescismo, fase suprema del più noto revisionismo storico. La fama del professore non rischia di essere oscurata da questo post, e non ha certo bisogno della mia difesa e da vero studioso qual è sa quanto sia importante la formazione culturale, con buona pace dei livorosi cappellisti lucani e provinciali che sono sicuri di conoscere la Storia dopo aver consultato una pagina di Wikipedia.

Un tempo Potenza era chiamata “Città della cultura” e in quella stagione fortunata il prof. d’Orsi fu invitato più volte ad intervenire durante i convegni organizzati in città, insieme al già sindaco Vito Santarsiero. Mentre sto scrivendo questo articolo, il prof. d’Orsi sta tenendo una conferenza/seminario alla Sorbona di Parigi su un argomento cruciale per chi come lui è un grande studioso di Gramsci: la necessità di istruirsi, perché “il privilegio dell’ignoranza” appartiene ai borghesi, ai ricchi, ai potenti. Chissà se sarà disposto a fare una lezione di storia e di stile nella città di Potenza. Qualcuno è disposto ad invitarlo?

Cappelli
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