Ecomafie. Quella sporca energia pulita

In che modo un cartello mafioso tra ‘ndrangheta, istituzioni e imprese ha coinvolto la Basilicata?

In questa inchiesta raccontiamo del  cartello di cosche e imprenditori che contava su reti di connivenze istituzionali e che non operava solo in Calabria. La “realtà criminale” emerge negli “esiti delle indagini condotte dai Carabinieri Forestali di Matera”, i quali avevano accertato che le pubbliche amministrazioni materane autorizzavano tagli e potature su alberi e terreni di proprietà pubblica, consentendo anche quando non ve ne era la legittimità amministrativa, l’intervento di ditte boschive che cippavano sul posto il legname al fine di conferirlo alle centrali calabresi. Una vicenda sulla quale in Basilicata bisognerebbe fare più chiarezza.

“DOBBIAMO MANGIARE TUTTI QUANTI”

“Se questi qua, non sia mai, cacciano davvero gli incentivi… abbiamo finito di ‘spachiare’ tutti quanti”. Così nel 2018 alcuni imprenditori commentano le proposte parlamentari d’eliminare gli incentivi sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Per capire la “pacchia” in gioco, dobbiamo tornare al 2014, quando Francesco Oliverio, ex capo della “Locale” di ‘ndrangheta di Belvedere Spinello, ricostruisce la “spregiudicata attività di deforestazione” e l’infiltrazione mafiosa nel circuito produttivo della “biomassa forestale per gli impianti di energia alternativa”. Lo scorso ottobre il Procuratore Nicola Gratteri dichiara che s’accaparravano tagli boschivi e facevano acquistare ai soci biomasse farcite di spazzatura, catrame, cemento, copertoni.

Si parla di un mondo di investimenti pianificati dal 2012 (alcuni collaboratori hanno parlato di interferenze nelle aste boschive dal 2011), quando l’antimafia intercetta il boss Nicolino Grande Aracri che spiegava quel business così redditizio da non poter essere gestito da una sola ‘Ndrina. Siamo una murra… ho messo nel mezzo… Crotonesi… Mesorachesi… Cutresi… siamo tutti noi… dobbiamo guadagnare tutti quanti… dobbiamo mangiare tutti quanti. Vi era anche un interesse internazionale, confermato da appunti, con i prezzi del cippato importato dalla Russia, tramite imprenditori che il boss aveva ricevuto in casa. Nel 2009 un ex consulente di Biomasse Italia racconta di interessi enormi per la centrale di Laino Borgo (e non solo), e che per le materie prime le società si erano servite di legna presa tra Calabria e Basilicata, ma presto “per mancanza di risorse sul territorio” s’erano approvvigionate all’estero, Nord e Sud America, Indonesia, “dove si deforesta”.

IL SISTEMA

E mentre tutti devono mangiare, solo l’Indonesia, stando a stime di Global Forest Watch, tra 2002 e 2020 ha perso 9,75 milioni di ettari di foresta primaria, il 10% circa del totale. Ma questo non importa, gli affari invece devono andare avanti. E infatti nel 2013 a Strongoli viene sottoscritto un Contratto Quadro tra dodici imprese (clicca qui) della filiera di approvvigionamento agro-energetica, tre delle quali in mano alla famiglia Serravalle finita nell’inchiesta di Gratteri e due a operatori elettrici della filiera, Biomasse Italia Spa e Biomasse Crotone Spa, allora, e per poco, ancora in mano alla famiglia Marcegaglia. Quando la Procura chiude le indagini scrive che “al fine di gestire l’intero ciclo produttivo e trarre vantaggi economici da incentivi pubblici consentendo conferimenti di rifiuti e relativo smaltimento”, la Serravalle Energy Srl dei fratelli Serravalle (Carmine e Domenico col 25% a testa), la Serravalle Legnami Srl (40%), e la Azienda Agricola Boschiva Serravalle (10%), acquisivano la Centrale di Cutro. Quando le ditte dei Serravalle arrivavano alla centrale ci pensavano dirigenti e tecnici a omettere controlli, redigendo false certificazioni attestanti regolarità circa le produttività dei cantieri forestali. Ma non solo per le ditte dei Serravalle funzionava così.

LA REGOLA DEL RADDOPPIO 

Anche per le imprese della famiglia Spadafora, che secondo un collaboratore in questo business era il “punto di riferimento delle cosche per ciò che concerne le utilizzazioni boschive“, c’era il dirigente acquisti Fuel delle centrali a biomassa di Crotone e Strongoli a omettere controlli. In questo affare, dove mangiano tutti, ovviamente la procura documenta i tagli abusivi. Come quelli delle aziende degli Spadafora in una località di San Giovanni in Fiore. Più di 15.000 piante abbattute grazie a una rete di connivenze con il personale preposto ai controlli, anche personale delle istituzioni.

Dal 2013 parte di tale legname viene cippato e conferito alla centrale a biomassa di Laino Borgo, successivamente ad altre centrali calabresi. Per la procura il quantitativo conferito si raddoppiava presentando la stessa documentazione in centrali diverse, utilizzando all’occorrenza materiale proveniente da tagli furtivi, o comunque non autorizzati e quindi non conformi. Del resto, che quegli “impianti che sopravvivono solo se hanno contributi dallo Stato” come ricordava l’ex consulente di Biomasse Italia, fossero un ottimo affare lo si sapeva almeno dal 2009, c’erano  garanzie politiche dietro la filiera agro-energetica.

E LA BASILICATA? 

Questo cartello di cosche e imprenditori che contava su reti di connivenze istituzionali, non operava solo in Calabria. La “realtà criminale” emerge negli “esiti delle indagini condotte dai Carabinieri Forestali di Matera”, i quali avevano accertato che le pubbliche amministrazioni materane autorizzavano tagli e potature su alberi e terreni di proprietà pubblica, consentendo anche quando non ve ne era la legittimità amministrativa, l’intervento di ditte boschive che cippavano sul posto il legname al fine di conferirlo alle centrali calabresi.

“Le amministrazioni comunali interessate a tale fenomeno – c’è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare – certificavano un interesse pubblico negli affidamenti e nelle loro determine di affidamento, consentendo a costo zero potature e disboscamenti di aree boschive o fluviali ritenendole necessarie alla collettività. Le ditte, pertanto, con la scusa di fornire un servizio a titolo gratuito per la collettività tagliavano e potavano quanto più potevano, cippando immediatamente (anche quando era normativamente proibito) tutto il legname che veniva conferito abusivamente (poiché non tracciato o comunque non conforme) alle centrali a biomassa calabresi”. Si scrive che nella provincia di Matera operavano periodicamente imprese riconducibili agli Spadafora per cippare e trasportare in Calabria legname per le centrali di Biomasse Italia Spa di Strongoli, Crotone, e la centrale di Enel produzione Spa di Laino Borgo.

LAND ART MAFIOSA? 

Gli Spadafora, stando a quanto sostenuto dalla Procura, hanno smaltito migliaia di tonnellate di materiale, proveniente dalla Basilicata, nelle centrali calabresi, facendolo passare come materiale preso da tagli autorizzati e operati in territorio calabrese. Le indagini s’erano concentrate su alcune gare di appalto da cui sono emersi i collegamenti con le aziende boschive calabresi e i conferimenti alle centrali a biomassa. Si tratta dell’intervento di “ripristino officiosità idraulica del Fiume Basento – nei Comuni di Bernalda e Pisticci”, e del “ripristino dell’officiosità del Fiume Agri”, i cui lavori hanno coinvolto i Comuni di Policoro, Scanzano Jonico, Tursi e Montalbano Jonico. Nel 2015 attraverso la Nuova Boschiva Sas che offrì persino un “rimborso forfettario” di quattromila euro per il materiale raccolto, gli Spadafora firmavano una Convenzione con la Provincia di Matera (clicca qui), prendendo in mano per quell’anno “la raccolta della biomassa nei cantieri dei Progetti Vie Blu, Ivam e Green River“. Quest’ultimo finanziato dal 2013 anche da Provincia di Matera e Regione Basilicata per 500mila euro per la manutenzione di alvei e sponde fluviali (clicca qui).E probabilmente sarebbe in mano loro uno di questi interventi sul fiume Basento nei pressi del Comune di Bernalda. Più che di manutenzione si sarebbe trattato di altro, come è chiaro dal confronto delle immagini satellitari dell’area nel 2015 e 2016 (foto1). Certo è che per via degli Spadafora di biomassa ne è partita dalla Basilicata.

QUANTI COMUNI LUCANI HANNO AVUTO A CHE FARE CON GLI SPADAFORA?

Oltre all’affidamento della “raccolta biomassa per i Progetti Vie Blu, Ivam e Greenriver”, alla ditta degli Spadafora si sono affidati lavori in quanti Comuni? Per esempio nel 2016 il Comune di Bernalda gli affida l’abbattimento di 74 pini ritenuti pericolosi (foto2), intervento per cui diverse associazioni avevano cercato di far capire che non solo fosse inutile, ma persino distruttivo d’un habitat per una specie protetta. A fine dicembre 2020 la F.lli Spadafora Srl risultava nell’Elenco nazionale dei contratti quadro (clicca qui) ancora tra i fornitori delle centrali di Biomassa Italia Spa (sita a Strongoli), e Biomassa Crotone Spa, con un contratto partito nell’aprile 2014 per 20 mila tonnellate l’anno reperite solo in Calabria. Sappiamo che così non è andata per gli Spadafora, come risulta dalla Via dei tagli selvaggi documentata dalle indagini in Basilicata. Del resto dall’inchiesta dell’Antimafia calabrese emerge un fiume di ditte che operano “per il tramite degli Spadafora”, molte delle quali si procuravano “materiale legnoso in Basilicata frutto di sfalci, potature e tagli illeciti non conformi”.

Foto 1

inchiesta biomasse
Foto 2
inchiesta biomasse
Delibera abbattimento alberi Bernalda
delibera

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