La storia bandita, la Grancia e l’autonomia differenziata

"La storia del Brigantaggio, dei nostri morti ed eroi, è la sola dove i contadini abbiano combattuto per i contadini"

Le sole guerre che tocchino il loro cuore sono quelle che essi hanno combattuto per difendersi contro quella civiltà, contro la Storia, e gli Stati e la Teocrazia e gli Eserciti. Sono le guerre combattute sotto i loro neri stendardi senza ordine militare, senz’arte e senza speranza: guerre infelici e destinate sempre ad essere perdute; feroci e disperate e incomprensibili agli storici. I contadini di Gagliano non si appassionavano alla conquista dell’Abissinia, non si ricordavano più della guerra mondiale e non parlavano dei suoi morti: ma una guerra era in cima ai cuori di tutti, e su tutte le bocche trasformata già in leggenda, in fiaba in racconto epico, in mito: il brigantaggio.”

Il 25 e 26 di questo mese a Potenza ci sono stati i casting per ‘La storia bandita’ che riaprirà gli spettacoli a giugno nello scenario spettacolare del Parco della Grancia di Brindisi di Montagna. È grazie alla tenacia di Nicola Manfredelli, presidente consorzio ETI e che più di tutti ha voluto questa riapertura, che ancora una volta ci appassioneremo alle vicende di una guerra ancora oggi in cima ai cuori di tutti i lucani, come scriveva l’immenso Carlo Levi.

La storia del Brigantaggio, dei nostri morti e eroi, è la sola dove i contadini abbiano combattuto per i contadini e che a ‘scrittori salariati’ (A. Gramsci) devono il loro nome di Briganti.  Una guerra disperata, una rivolta disumana e parimenti senza speranza che nasce dall’ennesimo tradimento e dall’ennesimo straniero che nelle terre di Basilicata è arrivato e come tutti ha agito: ‘Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo’ (C. Levi).

Neanche Garibaldo, come lo chiamavano i contadini immaginandolo brigante anch’esso, e che quelle terre usurpate, ancora retaggio dei diritti feudali, aveva promesso ai contadini e che in Basilicata neanche passò, né sparò un colpo di schioppo perché gli Albini, i Racioppi, i D’Errico, insieme a quelli dei comitati cavouriani, gli avevano già consegnato la prodittatura lucana.

Però l’Eroe dei Due Mondi ci provò a mantenere le promesse. A Rogliano il 31 agosto 1860 emanò un editto: “gli abitanti poveri di Cosenza e Casali esercitino gratuitamente gli usi di pascolo e di semina nelle terre demaniali della Sila. E ciò provvisoriamente sino a definitiva disposizione” e a guardia dell’editto nominò prodittatore della Calabria Citeriore Donato Morelli, che solo cinque giorni dopo lo stravolse e annullò di fatto con un nuovo editto: “ll conceduto esercizio degli usi civici non pregiudicherà il diritto che hanno i proprietari di far valere le loro ragioni avverso le ordinanze de’ passati commissari”. Evidentemente la componente latifondista di Morelli prevalse su quella liberale e anche allora la politica faceva il contrario di quello che prometteva.

E poi? E poi il 7 novembre 1860 Garibaldi consegnò Napoli e il Mezzogiorno a Vittorio Emanuele II, si ritirò a Caprera e qualche giorno dopo Cavour sciolse l’esercito meridionale e con esso tutte le speranze di riscatto dei contadini del Sud. Troppo poco durarono le promesse di Garibaldi.

Forse per tutto questo risultarono incomprensibili ai piemontesi i motivi di quella rivolta, su cui si riversarono le speranze dei Borbone e dei murattiani di tornare sul trono di Napoli. Ancora più incomprensibile perché il ceppo dei feudatari e dei latifondisti, che avevano impedito la modernizzazione del Regno con i Borbone, ora era passata armi e bagagli ai Savoia e fatto blocco con i proprietari terrieri e la nascente borghesia industriale del nord fino all’esito del fascismo. O forse era fin troppo chiaro che si trattava di una rivolta di classe e proprio per questo andava contrastata anche con i mezzi più feroci al sud con Cialdini e poi anche al nord con Bava Beccaris. Forse i poveri e le loro rivolte erano più pericolosi di murattiani e borbonici.

Eppure è proprio in questa lotta che nasce quello che Levi definisce uno ‘sconsolato complesso di inferiorità’ dei meridionali.

L’Unità tra il Piemonte e la Lombardia era facile da propagandare con una retorica adeguata di supporto, perché la Lombardia era sotto il tacco dello straniero ed era facile giurare: ‘Non fia che quest’onda/ Scorra più tra due rive straniere’.

Ma nel Regno delle Due Sicilie dove era lo straniero? E quindi la retorica doveva trovare nuove vie per giustificare l’invasione. La propaganda, supportata dagli inglesi, per propri spiccioli interessi, con lettere e corrispondenze come quelle di Lord Gladstone, dipingeva la monarchia Borbone come il male assoluto che opprimeva in un regime di terrore il popolo. E una volta liberato il Sud dai Borbone perché mai questi contadini si trasformavano in briganti?

E quindi al seguito delle truppe del regno di Sardegna, guidate dal ‘macellaio d’Italia’ Enrico Cialdini fu assoldato Cesare Lombroso, teorico dell’antropologia criminale.

Questo signore a cui i piemontesi, della pubblica università statale, hanno dedicato un museo, tagliava le teste ai briganti e ne misurava i lobi, le arcate e tutte le distanze craniche. Concluse che i briganti fossero per conformazione portati a delinquere. Tesi rafforzata dai fotografi che al seguito dell’esercito denudavano i briganti morti, li sporcavano con terra e fango e li fotografavano nelle condizioni peggiori possibili. Persino al generale Borjes fu riservato questo trattamento, facendo sdegnare le pur benevole cancellerie europee costringendo i Savoia a riesumare la salma e dare degna sepoltura. Queste teorie si sono rivelate infondate ma a quanto pare il Lombroso ha meritato comunque un museo, anche se sul sito web del museo stesso, con meschina ipocrisia tutta piemontese, si legge: ‘Il nuovo allestimento vuole fornire al visitatore gli strumenti concettuali per comprendere come e perché questo personaggio così controverso formulò la teoria dell’atavismo criminale e quali furono gli errori di metodo scientifico che lo portarono a fondare una scienza poi risultata errata’. A quando un museo riservato a Mengele magari a Berlino? Teorie errate, come tante e proprio perché errate consegnate all’oblio o al pubblico ludibrio. Lombroso sbagliava? Si, ma intanto facciamole vedere queste teste mozze, lordate e stravolte dal dolore e dall’orrore. Giusto per ricordare ai terroni cosa sono e che la macchina della pubblicistica antimeridionale è ancora in moto.

Infatti la mala stampa riservata ai Borbone e ai briganti si estese a tutti i meridionali, anche a dispetto di quei deputati che appena si parlava di problemi del sud nel neo parlamento urlavano: ‘quelli son briganti! Qui siamo tutti italiani?’

E questa mala stampa dura ancora oggi e ai meridionali vengono attribuiti tutti i difetti e i guai di questa repubblica e costituiscono il presupposto propagandistico dell’ennesima rapina con lo scellerato progetto antiunitario dell’Autonomia Differenziata.

Ho passato 34 anni della mia vita lavorativa a Milano, posso assicurare che nessuno in Piemonte, Lombardia, Veneto o in qualsiasi altra regione del nord dall’uomo della strada al politico più rappresentativo e nessuno del ceto intellettuale e imprenditoriale si vergogna nel difendere gli interessi del proprio territorio, anche a scapito delle altre parti del Paese. Basta vedere le dichiarazioni di Sala, Gori, Toti sulle pretese di spendere al nord i pochi soldi del PNRR del Sud. Sai che novità!

È invece sotto gli occhi di tutti l’acquiescenza, in specie dei politici, dei meridionali nei confronti degli interessi del nord quasi come a considerare una vergogna difendere i propri. E io non posso fare a meno di chiedermi ‘quando finirà questo avvilente, più che sconsolato, complesso di inferiorità?

Tutto questo è per me la Grancia. È la nostra rivolta contro l’ingiustizia, è il nostro desiderio di riscatto mai sopito, è il nostro poema epico che canta la nostra ‘ira funesta’ con i Crocco, i Ninco Nanco i Monaco invece di Achille, Ettore e Enea. Sono i nostri partigiani sconfitti dalla storia che è sempre spietata con i vinti. È la storia delle nostre donne guerriere come Michelina De Cesari, Arcangela Cotugno e tante altre. Sono la nostra Angelica, Bradamante, Olimpia e alla Grancia possiamo sentirci Orlando Furioso o Innamorato e cantare: ‘Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci impreseperché alla Grancia per una volta i buoni siamo noi. In attesa del nostro riscatto possiamo sognare e chiederci: ‘e se avessero vinto i briganti?’.

Ma il sogno dura un attimo perché sappiamo che quella dei briganti è solo la nostra: ‘cupa, disperata e nera epopea’ (C. Levi) ma è la nostra ed è nei nostri cuori.

Pietro de Sarlo