Caso Elisa Claps, l’omertà e le responsabilità della Chiesa
Non è tardi per rinnegare, non è tardi per redimersi. Se non volete cedere alle leggi dello Stato laico, rispettate le leggi del vostro Dio. Parlate
E’ evidente che il popolo dei social, in maggioranza, non ha gli strumenti per affrontare un dibattito sui contenuti. Ci si scaglia contro le persone anziché argomentare intorno alle opinioni delle persone. Prevalgono piccoli spiriti di vendetta, insinuazioni e insulti. Peccato. L’articolo “Caro Ulderico Pesce, non è così che si cerca la verità su Elisa Claps”, pubblicato il 21 settembre scorso, non attacca l’attore lucano, ma lo critica nella misura in cui egli solleva una questione, quella della serigrafia di Maurizio Restivo, che a nostro avviso non aiuta a fare chiarezza sulla tragica vicenda di Elisa. Si può essere d’accordo o no, ma questo non giustifica insulti, pettegolezzi e cattiverie sia nei confronti di Pesce sia nei confronti di questo giornale o dell’autore dell’articolo.
Detto questo, una delle parole più usate nelle centinaia di commenti a quell’articolo è “omertà”. Ebbene, la nostra riflessione sull’omertà riferita al caso Claps è in questo approfondimento che richiama per certi lati la responsabilità della Chiesa cattolica. Un approfondimento sul tema che oggi riteniamo necessario.
Che cos’è l’omertà?
L’omertà, per alcuni, sarebbe parte intima della nostra indole. Avremmo un’attitudine a farci i fatti nostri, una mentalità chiusa dalla paura, accerchiata dal dovere di pensare a se stessi e alla propria famiglia. Insomma, l’omertà sarebbe un nostro problema antropologico, così come la povertà, la sottomissione al potere, compreso il potere mafioso. Perciò la nostra omertà sarebbe un “silenzio di condivisione” e non solo di paura.
Dobbiamo al contrario ipotizzare che il silenzio e la paura crescono quando la giustizia non funziona, quando le istituzioni si rendono complici dei malavitosi o quando la corruzione dilaga senza che mai un corrotto vada in galera. Il silenzio e la paura crescono quando la mafiosità è costume dentro le istituzioni che dovrebbero tutelare i cittadini e la legalità. Quando la politica è Potere fatto a sistema e agisce con arroganza e con la violenza del ricatto. Anche l’impunità causa il silenzio e diffonde la paura.
Non sempre l’omertà è “silenzio di condivisione”, spesso è legittima difesa dalle ritorsioni che le istituzioni non sono in grado di prevenire e contrastare. Vi è dunque una forma di “tacere per paura”, determinata spesso dal timore di una qualunque vendetta o dalla mancanza di fiducia nelle istituzioni che dovrebbero tutelare la legalità, la sicurezza, la giustizia.
Nel caso della vicenda di Elisa Claps, se analizziamo la storia non solo giudiziaria, con tutte le complicità, le coperture, le menzogne, i depistaggi che l’hanno circondata, emergono diversi tipi di reazione pubblica nella sfera dell’omertà: omertà come “silenzio di condivisione”; omertà come forma di “tacere per paura” (legittima difesa); omertà che prevale nel conflitto di coscienza (mentire o tacere, non è un reato ma una colpa, un peccato). Diamo ormai per certo che ci sia stata una forma di solidarietà tra consociati in diverse sfere del potere (politico, religioso, giudiziario) finalizzata alla copertura di condotte “delittuose”, compreso il silenzio su circostanze che avrebbero aiutato le autorità nelle indagini. Lasciamo stare l’indifferenza e il provincialismo che per molto tempo hanno caratterizzato l’approccio dell’opinione pubblica potentina alla vicenda. Quello che non è stato analizzato a sufficienza è il comportamento e l’atteggiamento del clero locale e di alcuni fedeli che si sono trovati a confrontarsi per 30 anni con quella forma di omertà che abbiamo appena definito colpa o peccato. Quest’ultimo tipo di omertà sembra dunque avere prevalso nei contesti più prossimi alla chiesa, alla religione, al clero locale.
“Tacere le circostanze utili alla ricerca della verità non è un reato, ma un peccato”
Questa affermazione apre il fronte del rapporto tra morale e regole religiose e morale laica, tra devozione religiosa e impegno civile, tra adesione religiosa e rispetto delle leggi dello Stato.
I potentini soprattutto e i lucani in generale vivono in una terra cattolicissima, la storia della Chiesa locale è storia incorporata con le vicende della società. E’ antica l’idea per cui è la salvezza individuale che conta e non la tutela dei beni pubblici. Condivido con Isaia Sales (2019): “Molti dei nostri concetti di onestà, moralità, giustizia, sono stati elaborati e determinati dalla chiesa. E non si è ancora del tutto elaborata una concezione laica e condivisa di onestà, moralità e giustizia non religiosa.”
Per cui si può essere onesti anche contraddicendo le leggi dello Stato in presenza di una giustificazione religiosa. Perciò onestà e moralità non sempre coincidono con legalità e rispetto delle istituzioni laiche e tutela dei beni comuni.
Negli ambienti della chiesa della Trinità, luogo dell’assassinio di Elisa, per i fedeli più devoti, e a maggior ragione per il clero, il “peccato civile” è quasi sconosciuto, perché non esiste un legame tra la trasgressione delle norme giuridiche che regolano la società laica, civile, e i peccati sanzionati dalla Chiesa. Permane una scissione tra regole religiose e regole statuali. Non rubare, non uccidere, non ingannare il prossimo, non mentire, non coprire autori di delitti, sono peccati che non richiedono atti concreti riparatori nei confronti della società e delle vittime. È l’autorità religiosa ad avere il potere di liberarci dal peso dei peccati – non reati – commessi. La colpa e la responsabilità non sono mai verso gli altri, verso la società, verso lo Stato, ma sono colpa verso Dio. E il peccato deve essere riparato nei confronti di Dio non delle persone vittime del reato.
È la confessione lo strumento che consente di archiviare dentro se stessi il tormento del peccato e di ricongiungersi con la pace interiore. Bisogna dare conto al Signore non allo Stato. È sufficiente il pentimento interiore per espiare la colpa. La confessione perciò, spesso percepita e concepita dai fedeli come riparazione del peccato nei confronti della Chiesa e di Dio, deresponsabilizza le persone nei confronti della società. Un tempo bastava una donazione, un’elemosina a favore della Chiesa per espiare i propri peccati.
Il perdono cattolico, la clemenza, assumono quindi un carattere asociale. Il reato – peccato – nel momento in cui diventa una questione di salvezza individuale, nel rapporto privato tra il peccatore e Dio, mediato e negoziato nel confessionale, o anche nella preghiera, esclude qualsiasi recupero del danno arrecato alla società.
L’omertà non viene trattata come un reato, ma al massimo come peccato verso Dio. La confessione risolve immediatamente il problema, senza dare alcun conto, della propria condotta, alla società e allo Stato. Una delle ragioni per cui alcuni, se non molti, nell’ambiente religioso ed ecclesiastico, hanno mantenuto e continuano a mantenere un atteggiamento omertoso senza avere alcun problema con la coscienza, è questa: l’espiazione del peccato attraverso la confessione e la preghiera.
Chi sa parli
“Per la religione cristiana il perdono consiste nell’assoluzione dalle colpe che Dio accorda quando il fedele riconosce, confessa e rinnega il suo peccato”. Dunque, affinché ci sia l’assoluzione occorre rinnegare il peccato. Nel momento in cui lo si rinnega, non può essere reiterato. Se dopo l’assoluzione per via confessionale continui a tacere fatti che possono favorire l’autorità giudiziaria nelle indagini o la comunità nella ricerca della verità, permanendo il peccato, tradisci la confessione e quindi Dio. Tutti coloro che in confessione, preti, vescovi e fedeli, hanno dichiarato fatti e circostanze taciute, lo sanno che continuano a peccare? Magari sanno che continuano a commettere un reato. Tuttavia a spiegargli che perseguono nel peccato dovrebbero essere gli amministratori delle anime. Non è tardi per rinnegare, non è tardi per redimersi. Se non volete cedere alle leggi dello Stato laico, rispettate le leggi del vostro Dio. Parlate.