La Potenza dell’autoassoluzione

10 settembre 2023 | 17:32
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La Potenza dell’autoassoluzione
La Santissima Trinità di Potenza

Provateci voi a stare seduti dalla parte del torto per un tempo infinito

La città capoluogo più alta d’Italia, dai suoi 819 metri sorveglia, osserva, scruta tutto, ma non riesce ancora a guardarsi dentro, non riesce a fare i conti con il proprio passato. È una città sotto assedio.

Elisa Claps è scomparsa più di un quarto di secolo fa, avevo solo qualche anno più di lei, mio nipote non era ancora nato e quando, dopo 17 anni dalla sua morte, fu ritrovato il corpo nel sottotetto della chiesa Santissima Trinità, mio figlio aveva quattro anni. Tre generazioni sono passate da quei fatti. Mi viene il capogiro a mettere in fila questi lunghissimi trent’anni. La memoria non va in prescrizione, così come il dolore ha bisogno di essere elaborato affinché ci lasci per sempre.

“Dove nessuno guarda”, il podcast di Pablo Trincia, ha il merito di aver risvegliato l’indignazione sopita, quel dolore rimosso. Con la sua voce ci ha accompagnato in un viaggio della memoria personale e collettiva. Un lungo viaggio dentro noi stessi, il potere della parola: questa è stata la forza di Trincia. Ci ha guidato in quel sottotetto della chiesa, parlandoci sottovoce: un lungo racconto in cui ricostruisce la scena del crimine, cuce i puzzle di questi ultimi trent’anni sul piano giudiziario, religioso e sociale. È come se Trincia ci avesse preso per mano e ci dicesse: non abbiate paura, la verità rende liberi. Tutti hanno ascoltato quella voce, anche quelli che non vogliono ricordare, anche quelli che usano il silenzio come protezione, come difesa.

La famiglia Claps ha rifiutato il silenzio. Fin da subito, si è ribellata a quel sistema provinciale e ha reso pubblico il proprio dolore: trasformando l’angoscia, lo sgomento, la solitudine in denuncia, indignazione, coraggio. Insieme a Federica Sciarelli e a “Chi l’ha visto”, i soli ad occuparsi del caso nel 1993, hanno cercato Elisa dappertutto.
Una lunga traversata nel deserto, una vita intera. Nessuno di noi potrà mai capire fino in fondo quanto dolore ha vissuto e gestito la famiglia di Elisa in questi trent’anni. Perché per capirlo davvero bisogna aver indossato i loro panni, vissuto ogni giorno, ogni ora di questi lunghissimi anni. Gildo Claps è un uomo straordinario, ha portato sulle sue spalle un peso enorme, un dolore che ha trasformato in una battaglia culturale.

Io me le ricordo quelle frasi a mezza bocca, quel puntare il dito contro la famiglia, contro mamma Filomena. Non voglio nemmeno ripeterle, tutte quelle oscene parole.
Provateci voi a stare seduti dalla parte del torto per un tempo infinito. Chi avrebbe resistito così tanto?

La città si è sentita ostaggio di una famiglia intera, mal sopportando le continue e ripetute accuse dei Claps. Una comunità che fa finta di non vedere, di non credere, di non indagare. Che si volta dall’altra parte, sminuendo l’accaduto come fosse affare privato, solo di famiglia, appunto. Quello che è accaduto ci riguarda invece tutti, nessuno escluso.

Non penso che tutta la città sia stata omertosa. Molto spesso quelli che parlano non vengono presi sul serio, non vengono ascoltati. Quelli che parlano, che denunciano, vengono isolati, ignorati, molto spesso anche denunciati. Il caso Claps è una vicenda paradigmatica di una città intera.

Proviamo a rovesciare il ragionamento: è la famiglia Restivo ad aver preso in ostaggio una città intera procrastinando la soluzione del caso con la complicità di pochi ma facendone portare le conseguenze ad una intera comunità. Andava fermato prima, non lasciato libero di seminare violenza e morte. Danilo Restivo è stato giudicato colpevole da due sistemi giudiziari: inglese e italiano.

Danilo Restivo si è preso gioco della città e, mentre i fratelli vanno a casa sua per chiedergli conto dell’incontro con Elisa, qualcun altro ha preparato il sepolcro osceno che ha tenuto prigioniero il corpo di Elisa per 17 anni. Un incantesimo che si è rotto solo dopo la dipartita del sovrano indiscusso di quelle mura, don Mimì Sabia.

Molti dei reati collaterali sono andati prescritti, ma la memoria, insisto, non può andare in prescrizione. La verità su cosa è accaduto dopo il femminicidio di Elisa va richiesta a gran voce.

L’ultimo posto dove è stata vista è stato l’unico posto dove non è stata cercata. Questa è la questione che continua a tenere prigioniera una città intera. La chiesa della Santissima Trinità deve dare risposte: quella riapertura furtiva è stata una scelta scellerata, con la chiesa che si autoassolve, deresponsabilizzandosi, dando prova di essere dissociata dalla realtà.

Il giornalista Tobias Jones, nel suo libro “Sangue sull’altare” ci ricorda: “Con incredibile mancanza di tatto, la diocesi di Potenza aveva chiesto di costituirsi parte civile nel processo contro Danilo Restivo, quasi a significare che fosse essa stessa parte danneggiata. Il giudice, Elisabetta Boccassini, aveva respinto la richiesta, con la motivazione che la chiesa della Santissima Trinità «non era stata diligente nel controllo e nella gestione dello spazio».”

Riaprendo quella chiesa, che è diventata nel tempo simbolo di un sistema potente di potenti, si è resa visibile la frattura nella città. Sono anni che la comunità potentina è spaccata tra chi è a favore della riapertura e chi è contro, la via pretoria social ha aperto il dibattito da tempo.
Ora è stata riaperta, sottotono, quasi di nascosto. Quel portone è spalancato. Si entra per curiosità, per pregare, per fare i selfie. Abbiamo visto di tutto in questi giorni.

Aprire prima dell’assedio mediatico è stata una scelta strategica, una sfida alla città, un autogol prevedibile che non è stato previsto, pensavano di farla franca, insieme al monarca assoluto di quelle mura che continua a governare quella chiesa con la lapide che gli è stata dedicata a peritura memoria. Il deus guarda e dispone: ora come allora.

Potenza, la città regione, continua a dire che la verità non esiste ma ci sono solo le versioni della verità: ognuno ha la propria. Dalle pagine di un giornale locale c’è chi fa la vittima e sembra, da quel che scrive, essere il portavoce di uno status quo che si lamenta dell’assedio, che fa la vittima, parlando confusamente di colpa, di perdono. Con un linguaggio da sacrestia, di autoassoluzione, rilancia le oscene accuse contro Gildo. Basta, ora dovete fermarvi.

Articolo Albano

La società civile di Potenza esiste e continuerà a chiedere la verità vera, insieme a mamma Filomena e a Gildo, a tutti coloro che l’hanno ostacola, deviata, occultata. Bisogna prendere posizione, manifestare solidarietà e vicinanza alla famiglia Claps, Martedì 12 settembre, nel trentennale dalla scomparsa di Elisa, alle 10:30 insieme a Ulderico Pesce in via Mazzini 69,  passo dopo passo verso la verità.
Arrendetevi, la memoria è sovversiva. *Graziella Salvatore, sociologa

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