A Matera il “primo omicidio d’impresa in Italia per mano delle lobby bancarie”
Mi chiamo Giovanni Marcosano e sono un imprenditore. O meglio, lo ero.” La storia di un giovane impresario distrutto da un sistema perverso
Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta dell’imprenditore materano, Giovanni Marcosano
Pregiatissima redazione
Condivido con voi una lettera aperta che ho scritto per raccontare un caso tanto assurdo quanto devastante che mi ha visto protagonista: il primo omicidio di azienda in Italia per mano delle lobby bancarie. Spero vivamente che riuscirete a dedicare del tempo alla lettura della mia storia che, in nome della giustizia e di chi non ha avuto la forza di resistere a soprusi di questo tipo, ritengo meriti di essere portata a conoscenza dell’opinione pubblica.
La città in cui sono nato non è solo quella che ormai siamo abituati a vedere sui giornali di tutto il mondo, al cinema o in televisione.
Matera, purtroppo, è anche la città del primo “aziendicidio”, ovvero omicidio d’impresa, d’Italia ed è per questo che oggi ho deciso di raccontare pubblicamente l’incubo nel quale sono piombato da dieci anni a questa parte.
Mi chiamo Giovanni Marcosano e sono un imprenditore. O meglio, lo ero.
Nel 2005, dopo diversi anni di esperienza lavorativa nel settore edile maturata nell’azienda familiare, all’età di soli 25 anni, decisi di avviare la mia azienda – la Marcosano srl – che aveva come attività lo sviluppo immobiliare e costruzioni, raggiungendo con determinazione e un pizzico di lungimiranza risultati brillanti tra Matera e la Sardegna.
Ho sempre scelto di muovermi con risorse economiche private, anche grazie a contatti con investitori importanti ai quali però, una volta maturata una certa robustezza finanziaria, non ho più potuto assicurare le stesse condizioni contrattuali.
A seguito di un ulteriore sviluppo delle attività, nel 2012 proposi a mio padre di far confluire la sua azienda di costruzioni nella mia, assicurandogli il 40% delle quote e facendomi carico di un mutuo che aveva contratto con un istituto di credito cittadino, volturandolo alle stesse condizioni.
Si tratta di un’operazione piuttosto comune, a meno che il creditore non manifesti espressamente il suo diniego.
E così fu nel nostro caso. La banca dapprima rigettò la richiesta di subentro, poi revocò il fido concesso a mio padre, intimandogli di rientrare dalle passività entro e non oltre 7 giorni senza giustificazione.
Fu in quel momento che ebbe inizio un calvario del quale ancora oggi sono protagonista: improvvisamente, e senza ragionevoli motivi ed in assenza di rapporti contrattuali, la banca scelse di segnalare in Centrale Rischi della Banca d’Italia una posizione di sofferenza a carico della Marcosano srl, per quello che era e rimaneva un debito di mio padre. Subito dopo questa segnalazione, nasce il mio calvario!
Tutte e dico tutte le banche con cui lavorava la mia società cominciarono a chiedere il rientro immediato degli affidamenti concessi (la società godeva di fidi per circa 6,5 milioni di euro) e a negare la concessione di mutui già in avanzata fase istruttoria o addirittura deliberati. Quell’istituto di credito, nonostante i reclami da me presentati alla Banca d’Italia rappresentando l’accaduto, pur avvertito del danno che tale segnalazione avrebbe comportato alla società e alle importanti operazioni immobiliari in corso, documentando quanto più possibile, purtroppo, continuò a segnalare in Centrale Rischi una inesistente sofferenza a mio carico anche nei successivi anni 2015 e 2016 e fino a tutt’oggi. Nel frattempo la mia società aveva cantieri già aperti e dovette rinunciare a macro-iniziative economiche a Matera e nel comune di Golfo Aranci in Sardegna.
La mia solidità imprenditoriale, raggiunta grazie ad enormi sacrifici, si sgretolò dalla sera alla mattina, facendomi sprofondare nello sconforto prima, nella depressione e nella malattia poi. Un tasto premuto sulla tastiera di un computer da un direttore di banca, tra l’altro andato in pensione qualche settimana dopo, distrusse la mia immagine di self-made-man di successo, il mio lavoro, la mia vita da imprenditore e tutte le famiglie che lavoravano per la mia azienda, facendomi apparire come un truffatore persino agli occhi di mio padre e della mia famiglia.
Cercai di attutire il colpo svendendo parte degli immobili realizzati e aspettai ad intraprendere le vie legali nei confronti della banca. Quando mi notificarono il decreto ingiuntivo di tale debito, feci opposizione e avanzai richiesta di risarcimento danni per circa 56.000.000 di euro, tramite lo Studio Legale Ripoli. Fino a quel momento ero ancora in piedi, ma ferito. Purtroppo avevano deciso di farmi fallire e così fu.
Nel 2017 il Tribunale di Matera dichiarò il fallimento della società nominando un curatore fallimentare che prese il mio posto. Preciso che la società fallita aveva negli anni precedenti acquisito le quote di due società immobiliari aventi per oggetto la costruzione di un villaggio turistico di circa 200 abitazioni in corso di realizzazione, controllate al 100% e da me amministrate. Qui un altro calvario: ricevo un decreto ingiuntivo e richiesta di fallimento da parte del curatore della società Marcosano srl, vale a dire dalla proprietà stessa, per un credito inesistente, ovvero un conferimento di futuro aumento di capitale sociale per di più vincolato fino alla fine della costruzione dell’iniziativa edilizia in corso. Il giudice dichiara il fallimento, nonostante la documentazione attestante il credito non certo ed esigibile. Adesso cosa succede?
La causa contro la Banca viene sospesa e rimessa a ruolo. Ormai mi avevano tolto la libertà di decidere cosa era meglio fare per le mie aziende.
Faccio richiesta ai curatori di presentare istanza ai giudici delegati per il proseguimento della causa motivando i contenuti. La società fallita Marcosano srl viene autorizzata dal giudice, invece il curatore della controllata Vi.RES. srl decise in autonomia di non proseguire la causa nei confronti della banca, senza motivo e discostandosi dalla decisione della società Marcosano srl che la controllava – ripeto – al 100%. Così una delle tre società attrici nel giudizio fu estromessa dal giudizio e dall’eventuale risarcimento danni già proposto. Finalmente, nel 2017, Il giudizio proseguì solo per due società su tre e, dopo un lunghissimo percorso giudiziario, nel 2021 il Tribunale di Matera ha dichiarato l’illegittimità della segnalazione in Centrale Rischi a carico della mia società e nel settembre del 2023 ha riconosciuto un danno parziale, di circa 5 milioni di euro rispetto ai € 30.000.000 circa accertati dal tecnico nominato dal Tribunale (C.T.U.), in favore della curatela fallimentare, somma insufficiente a consentire il ritorno in bonis delle società perché il passivo del fallimento è di non molto superiore.
Appare palese e chiaro che qualcosa bolla in pentola!
Al danno si è aggiunta la beffa, nonostante in sentenza il fallimento delle società sia stato accertato e ricollegato direttamente all’illegittima segnalazione eseguita in malafede dall’istituto bancario, perché il consulente tecnico nominato dal Tribunale di Matera (C.T.U.), infatti, dopo ben 3 integrazioni richieste dal giudice, ha accertato e quantificato il danno subito in euro 29.388.353,00 a fronte della somma di euro 56.107.000,00 richiesta dalla curatela. Devo precisare che il consulente di ufficio aveva riscontrato negli atti processuali i titoli che autorizzavano le iniziative edili, gli atti di svendita del patrimonio immobiliare ai quali ero stato costretto per portare a termine i cantieri in essere, e lo stesso consulente della banca ne dava atto in una riunione congiunta al mio consulente e al CTU, non formulando alcuna osservazione alla consulenza tecnica di ufficio.
Sulla base di quanto stabilito dal CTU, e stante l’assenza finale di osservazioni da parte del consulente della banca, mi chiedo: Perché il giudice del Tribunale di Matera ha ridotto così drasticamente l’importo del risarcimento danno accertato dal suo consulente? Perché ha chiesto una perizia tecnica per poi agire senza tenerne conto? Perché non ha accertato nessun danno alle società controllate, pur facendo parte del giudizio con apposita richiesta autonoma di danno? Perché, se ha accertato “l’omicidio d’impresa”, non mi ha riconosciuto il diritto sacrosanto di ripartire come imprenditore? Perché, il giudice afferma il contrario di quanto accertato dalla C.T.U. sulle macro operazioni, dopo che esiste un verbale depositato agli atti nel quale si attesta la presenza dei titoli edilizi? Perché adottare dei criteri illogici che vanno contro i principi contabili che studiamo nelle scuole superiori e università? Come si fa a quantificare a forfait in soli 20.000 euro il danno d’immagine, dopo che hanno ucciso un’azienda che fatturava decine di milioni di euro, quantificato dal consulente nominato dal Tribunale in 9.600.000 euro circa?
Queste domande oggi si aggiungono a tutte le altre a cui ancora non ho trovato risposta, tra cui la più importante: Perché il direttore della banca ha segnalato la società senza un titolo contrattuale? Come può un direttore di banca, consapevole sin dall’inizio dell’assenza di un rapporto contrattuale con la Marcosano srl, segnalare in Centrale Rischi una posizione di sofferenza? Tutti gli operatori economici conoscono bene l’importanza della Centrale Rischi della Banca d’Italia e dei regolamenti interbancari, soprattutto chi è a capo di una filiale bancaria e dovrebbe essere garantista.
Non posso pensare ad un errore commesso in buona fede, perché un direttore di banca sa benissimo che per iscrivere un imprenditore in Centrale Rischi deve esserci alla base un rapporto contrattuale. Nel caso di specie, il direttore sapeva benissimo gli effetti che tale segnalazione avrebbe provocato all’interno del sistema economico. Quindi era consapevole che in quel momento avrebbe ucciso un’azienda e un giovane imprenditore, con l’intento di far fallire il gruppo imprenditoriale, così come è successo.
Intanto, giorno dopo giorno, io perdo sempre più fiducia nella giustizia, anche perché il ricorso in appello può avvenire solo su iniziativa dell’istituto di credito in questione, che ha tutto l’interesse affinché ciò non accada, o del curatore fallimentare incaricato, a ciò autorizzato dal giudice delegato del fallimento. Non basta avermi tolto azienda, dignita’ e immagine, vogliono togliermi anche la liberta’ di decidere del mio futuro e del diritto sacro di rialzarmi e ripartire!
Come si può accettare tutto questo? E, soprattutto, come possiamo pensare di avere fiducia nella giustizia se poi il nostro futuro è in mano ad un sistema giudiziario basato su giudici monocratici che decidono le nostre sorti e che, di fronte ai fatti, trovano sempre il modo di accontentare tutti tranne le persone che non fanno parte del loro sistema.
Sono stato annientato da una banca ma per loro sfortuna non sono morto. Nonostante in più occasioni abbia pensato seriamente di farla finita e sono vivo grazie all’amore di mia moglie e delle mie figlie. Ed è questa forza che mi spinge ancora OGGI a combattere, nel nome della giustizia, della libera impresa, di tutti coloro che, a differenza mia, non hanno avuto altra scelta se non quella di togliersi la vita e soprattutto per il futuro dei nostri figli.
Non so se riuscirò a rialzarmi come imprenditore ma di certo ci sono riuscito come uomo, anche grazie alla dignità che mi ha sempre contraddistinto, ma proprio per questo, dopo l’ennesimo affronto della giustizia, vi chiedo di aiutarmi a fare luce su questa storia macabra, ed è necessario che tutti gli italiani, sappiano quanto devastante possa essere il potere delle lobby bancarie e che purtroppo Matera non si distingue soltanto per primati positivi. Giovanni Marcosano