Tra le viti del Vulture è caccia al grappolo. Filari spogli e ‘amaro’ Aglianico
Dopo la débâcle del 2023, non sta andando meglio quest’anno. “Colpa della siccità e della grandine”
Più che ‘Sfida del Torchio’ è caccia al grappolo, tra i lunghi filari di uva Aglianico, nel Vulture. Tra Rionero in Vulture e Barile, ad esempio, da sempre tempio del nettare che matura alle falde del Vulcano. Già, perché un tempo, negli anni ’70, si chiamava in gergo vino ‘Rionero’, quello che partiva dalla stazione (omonima) verso il centro nord, per aggiustare e tagliare gli altri nettari allora considerati più pregiati. Poi è diventato pregiato l’Aglianico, vero fiore all’occhiello. Ma ora lasciamo i sogni di gloria e veniamo al presente.
Dopo la débâcle dello scorso anno dovuta alla peronospora, ma non solo, quest’anno ci ha pensato la siccità a turbare i sogni dei viticoltori. Nulla hanno potuto zolfo, verderame, calce, lunghi e meticolosi trattamenti prima e durante l’estate. Già un mese fa era chiaro cosa fosse accaduto. L’assenza di acqua ha fatto seccare il prodotto sulle viti già segnate dalla ‘malattia’ dello scorso anno. E poi, in alcuni casi, c’è stata anche la grandine, a dare il colpo di grazia. E così veniamo ad oggi. Sì, proprio oggi. Nella vigna si sente solo il ronzio di qualche timida vespa, ma l’odore dell’uva si indovina appena. Le poche cassette sono mezze vuote, un decimo di raccolto rispetto all’età dell’oro, quando era un piacere raccogliere, contare le cassette, poi pigiare, e dopo qualche settimana, previa misurazione, torchiare. Resta davvero poco, se non l’amaro in bocca di chi ci ha rimesso in termini di trattamenti e di ‘passione da motozappa’, e si trova a non poter festeggiare e banchettare neanche il giorno della vendemmia. Niente baccalà e sorsi di vino tra chi raccoglie, almeno in questa fascia del Vulture.
Arrivano timidi segnali dall’altro tempio dell’Aglianico, tra Venosa e Maschito. Ma è un ruggito che non consola. È difficile persino trovare uva, neanche a pagarla più o meno profumatamente, ci dicono. C’è un silenzio inquietante tra le viti, e nei sentieri di campagna. Questo è il dato empirico, ci sarà tempo per fare analisi statistiche più accurate, ma ciò che l’occhio vede non sarà la statistica a smentirlo. A meno che qualcuno non si serva di uva proveniente da altri territori. Ma questa è un’altra storia. In attesa dei dati ufficiali della vendemmia (del Vulture) a chi crede che sia un complotto, che sia un elogio del pessimismo, bisognerebbe fare ascoltare questo flebile ronzio di vespe nelle vigne. Flebile perché l’uva è poca, anzi, pochissima. E persino vespe e api non ci perdono troppo tempo. Tra le invettive di chi sperava di raccogliere e se ne torna a casa a mani quasi vuote, meglio riporre ogni speranza nell’annata che sarà. “Tra un po’ l’Aglianico si dovrà piantare tra gli Appennini e le Alpi”, ironizza, molto risentito, un raccoglitore storico di questo nettare tanto amato. E oggi, più che mai, ‘desiderato’. Le viti dell’Aglianico