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“I fessi parlano tre giorni”

29 maggio 2025 | 13:04
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“I fessi parlano tre giorni”
Immagine generata con l'IA

Prima o poi la verità viene a galla e gli ipocriti vanno a fondo. Non si può galleggiare per sempre

Da queste parti se esprimi pubblicamente un’opinione, un pensiero, un giudizio critico su un qualunque argomento, che magari coinvolge anche persone, è facile farsi nemici. Dico sul serio, nemici, invece di interlocutori. Non c’è la predisposizione all’ascolto e al confronto tra persone civili: tra interlocutori, appunto. No. L’atteggiamento più diffuso è un altro: “me la segno al dito”. Ora, che cosa c’è da segnare lo sa soltanto l’ipocrita che vive nei nascondigli del coraggio che non ha. Affrontare l’interlocutore direttamente provando a confutare tesi, opinioni, giudizi, non dovrebbe essere una questione di coraggio, ma di intelligenza e direi di civiltà. Il dialogo è uno scambio immateriale che arricchisce tutti gli interlocutori e non impoverisce nessuno.

E invece? Accade che il dialogo intimorisce, molti scappano dal confronto, si nascondono dall’altro, e nello stesso tempo esprimono giudizi privati sulle tue opinioni. E se quelle opinioni, quelle critiche creano imbarazzo in qualcuno, perché magari svelano qualche verità nascosta o disturbano convenienze consolidate, tu diventi un nemico. Sei un giornalaio, un populista, eccetera eccetera. Eppure è semplice: se non sei d’accordo con l’opinione dell’altro esprimi la tua liberamente argomentandola. L’insulto non è un argomento e il ricorso alla querela appare spesso come un capriccio infantile: “adesso ti faccio vedere io”. E fammi vedere, fammi vedere la tua opinione, i tuoi argomenti, le tue ragioni: magari cambio la mia di opinione. Macché.

Fuggire dal confronto e ignorare le domande è uno sport tipico di certi politici, o imprenditori, o dirigenti pubblici esercitato a danno dei giornalisti e quindi dell’opinione pubblica. Un’opinione, un pensiero critico, quando non si condividono andrebbero confutati, sottoposti ad argomentazioni alternative e magari rovesciati con cognizioni di causa. E invece? Da queste parti le opinioni e le critiche si processano in tribunale. Un andazzo che ricorda altri tempi.

Certo, le opinioni devono essere in qualche modo fondate, nel senso che, almeno, devono correlarsi a fatti che le informano. Fatti che autorizzano commenti e interpretazioni certamente confutabili, ma sempre rispettabili.

Il problema è che nessuno risponde alle domande, figuriamoci se si mettono lì ad argomentare sulle opinioni o ad ascoltare le critiche. La politica, o meglio alcuni politici e dirigenti, si autocelebrano continuamente, anche sui giornali. Loro se la cantano e loro se la suonano, ma a pagare la ‘Siae’ sono i cittadini.

La regola d’oro dei politici ipocriti è il silenzio. Non replicare, non contraddire. Semplicemente ignorare. In tal modo sperano che l’opinione scomoda si prescriva in pochi giorni, che le domande scomode finiscano nel dimenticatoio ben presto e che le critiche rimbalzino su muri di gomma. Così la gente non saprà mai se quel politico o dirigente siano una specie di mafioso o se quella specie di mafioso sia un politico o un dirigente. Il loro motto è: “i fessi parlano tre giorni e poi tutto finisce.” E qui si sbagliano. Se “i fessi” parlano senza mai fermarsi, prima o poi la verità viene a galla e gli ipocriti vanno a fondo. Non si può galleggiare per sempre.

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