Piccoli Comuni, il ‘suicidio assistito’ imposto dal Governo
Nella nuova strategia per le aree interne Meloni ha deciso chi deve vivere e chi deve morire
“Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, 45 con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita.”
E’ scritto nel “Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI), approvato nel marzo scorso, ma passato troppo in sordina. Dunque, il Piano distingue le aree interne in 4 fasce-obiettivi: aree in cui è possibile un’inversione di tendenza relativamente alla popolazione; aree in cui è possibile un’inversione di tendenza relativamente alle nascite; aree in cui è possibile un contenimento della riduzione delle nascite (da diminuzione accentuata a moderata); aree in cui è possibile soltanto l’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile. Queste ultime “hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita.”
In Basilicata, sembra di capire, sono due le aree inserite nel Piano e per le quali è previsto un finanziamento complessivo di 8 milioni di euro, e sono: il Medio-Agri, con i Comuni di Armento, Castelsaraceno, Gallicchio, Missanello, Roccanova, San Chirico Raparo, San Martino D’Agri, Sant’Arcangelo; il Medio Basento con i Comuni di Calciano, Ferrandina, Garaguso, Grassano, Irsina, Pomarico, Salandra, Tricarico. Queste aree sono inserite nella programmazione 2021-2027. Nella scorsa programmazione, 2014-2020, c’erano anche Alto Bradano, Marmo Platano, Mercure, Alto Sinni e Val Sarmento. Dall’impianto strategico del Governo pare che queste ultime tre aree siano destinate all’obiettivo 4: “hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita.” Vale a dire è inutile insistere, siete destinati a scomparire. La distinzione più netta che fa il Governo è tra territori che potrebbero farcela e territori destinati al completo declino. Questi ultimi, è scritto nel Piano, “hanno una struttura demografica, compromessa, con popolazione in forte declino e basse prospettive di sviluppo”. Cosa significa? Riporto quanto scritto da Alfonso Scarano su il Fatto Quotidiano di oggi, 30 giugno: “significa che non si investirà più per trattenere giovani o attrarne di nuovi, che non si costruiranno più servizi in quei luoghi, che si pianificherà una dignitosa decadenza…si pianificherà un welfare del tramonto che fornisca badanti e medicine, ma non opportunità, né speranza”.
Condivido Scarano anche quando scrive che le aree interne, i piccoli Comuni, sono l’Italia profonda. Quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici. Oggi destinati ad una “diagnosi di malattia terminale”. E’ inutile, forse, ribadire che le aree interne tutte rappresentano una grande opportunità per l’intero Paese. Tant’è che, al contrario dell’Italia, altri Paesi europei applicano strategie completamente opposte: investimenti massicci per il rilancio dei piccoli Comuni e delle aree interne.
Torniamo alla Basilicata. Non so altrove, ma qui le responsabilità delle condizioni attuali delle aree interne sono diffuse e politicamente caratterizzate. I Gal sono sempre stati centri di spesa senza resa. Un fallimento politico colpevole. Se diamo un’occhiata alla Strategia aree interne 2014-2020, scopriamo che ad oggi sono stati conclusi 27 progetti su 100, i progetti ancora in corso (nel 2025) sono 54; i progetti non avviati sono 17 su 100 e solo il 3% dei progetti è stati liquidato. A parte la discutibile qualità, questi progetti non sembra abbiano innescato importanti processi di sviluppo. Anzi, nei Comuni in cui sono state avviate iniziative anche significative e interessanti la popolazione registra in 10 anni un calo verticale e costante. Penso ad Aliano, a Castelmezzano, Pietrapertosa, ma il fenomeno riguarda quasi la totalità dei Comuni piccoli e grandi. Anche nelle aree cosiddette produttive con gli insediamenti Stellantis, Eni, Total, la popolazione cala in modo significativo, costante e verticale. Sappiamo che le variabili concorrenti al fenomeno dello spopolamento sono molte e complesse. Tuttavia il dato generale certo è che a fronte di risorse, centinaia di milioni, impiegate per invertire la tendenza, il risultato, almeno qui in Basilicata, è deludente, anzi drammatico. Ora, il Governo applica un principio “realistico” che però è assolutamente sbagliato. Per dirla ancora con Alfonso Scarano si tratta di un messaggio devastante alle periferie del Paese: non contate più, siete una zavorra. Ora, ripeto, non basta indignarsi occorre capire gli errori non solo politici che hanno ridotto il Paese e i paesi nelle condizioni che conosciamo.
E torno a dire che senza fusioni tra Comuni, senza investimenti seri nelle infrastrutture, nella mobilità, nei servizi, nell’istruzione, nella sanità, nella cultura, l’unica cosa che ci rimane sono le chiacchiere. Non basta creare occupazione, bisogna seminare affidabilità nei territori. Onestà dei politici e perseguimento dell’interesse generale nella politica. Occorre una classe dirigente all’altezza delle sfide. Nuove aggregazioni istituzionali locali, centri di servizi equidistanti dai centri periferici, investimenti nella viabilità interna, nell’agricoltura e nelle tecnologie avanzate. E per quanto riguarda lo Stato, si lavori seriamente all’applicazione sostanziale dell’art. 3 della Costituzione.
Dal mio osservatorio in Basilicata, noto che siamo in presenza di decine di attori economici, politici e cosiddetti operatori culturali, sempre gli stessi, che in questi anni si sono comportati come semplici riscossori di risorse pubblichegrazie a circuiti amicali e familistici. Soldi spesi nell’improvvisazione, nella estemporaneità, in progetti improbabili e spesso inutili. Ecco, rovesciare questo andazzo è il primo passo per costruire qualcosa di serio. Non voglio assolutamente che, solo per fare un esempio, Aliano finisca per essere un paese destinatario del “suicidio assistito” dal Governo. Tuttavia molto dipende da chi amministra quel paese e dai suoi abitanti. E vale per molti Comuni, specie laddove arrivano milioni di euro per 200 abitanti in tutto. Piccole feudi. E molto dipende da chi amministra la Regione e dai suoi dirigenti.
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