Le aree interne: non il “problema” ma la “soluzione”
Feste e mega eventi, mostre, sagre, convegni e festival non bastano a contrastare lo spopolamento e tanto meno a incentivare la rivitalizzazione dei luoghi
Ci interroghiamo inutilmente sul destino dei piccoli centri delle aree interne che, pur conservando testimonianze importanti di un illustre passato, con il trascorrere del tempo, l’evolversi delle aspettative, il modificarsi dei bisogni stanno sperimentando fenomeni di spopolamento e di abbandono come mai prima era accaduto. Qualcosa di diverso dalle grandi emigrazioni degli anni ‘50/‘60 quando si registrò una partenza significativa di mano d’opera generica, da impegnare nei paesi europei per la ricostruzione post bellica, o dei fenomeni di inurbamento verso grandi città del nord.
Si trattava allora di allontanamenti temporanei, per lo più in Svizzera e in Germania, di uno o pochi componenti il nucleo familiare orientati a rientrare una volta risolta la difficoltà, e realizzato l’investimento della vita nel paese di origine, con l’acquisto o la costruzione di una casa di proprietà.
I congiunti restavano a presidiare il territorio, i figli frequentavano le scuole, senza la velleità di ricercare località più confortevoli dove trasferirsi.
In maniera più o meno consapevole rimaneva ferma l’orgogliosa convinzione che nessun luogo avrebbe potuto eguagliare in bellezza, cultura, cibo e
tradizioni l’amato paese di origine.
A partire dalla fine degli anni 70 del secolo scorso, per effetto delle restrizioni operate dagli stessi Paesi che in precedenza avevano accolto gli immigrati, la tipologia delle partenze muta sostanzialmente. Gli operai, non più richiesti, rientrano nei luoghi di origine. Di contro si manifesta il nuovo inquietante fenomeno rappresentato dalla partenza della gioventù più formata e preparata alla volta di luoghi e Paesi più accoglienti.
A causa dell’innalzamento del livello di istruzione, della capillare diffusione dei media e poi con l’avvento dei social, le diverse periferie, e soprattutto le giovani generazioni, hanno potuto confrontarsi con nuove e più moderne maniere di stare al mondo. Hanno familiarizzato con stili di vita più attenti a riconoscere e valorizzare le nuove competenze e le più evolute necessità da soddisfare. Non solo un tetto e la sicurezza di un pasto, ma l’opportunità di realizzarsi socialmente, professionalmente oltre che economicamente, evitando un destino già scritto e limitante, asservito a regole e tradizioni ritenute ormai superate e anacronistiche, hanno reso urgente spostarsi e guardare altrove per affermarsi.
Sono meccanismi che si replicano ormai ovunque e coinvolgono le piccole comunità del nord e del sud del mondo, dove diventa sempre più critico e inappagante il modello di vita locale imposto da contingenze geopolitiche, cambiamenti climatici o dalle mancate scelte e dalle errate politiche agite.
E mentre il fenomeno dell’abbandono cresce, i diversi decisori, ritengono inopportuno e “improduttivo” investire in presidi innovativi e risolutivi per
soddisfare, con decoro e umanità, le reali esigenze di quanti ancora si ostinano, o sono per età costretti, a rimanere nei luoghi scarsamente abitati,
dimenticati dal mondo e spesso dagli stessi disattenti amministratori. Questi, per porre rimedio a isolamento, abbandono e crescente povertà non si attivano per reperire gli opportuni e dedicati finanziamenti e tutte quelle risorse che il PNRR, i fondi europei di Coesione Territoriale e le misure
destinate alla aree interne dalla Strategia Nazionale, consentono di richiedere ed utilizzare. Omettendo di investire in maniera strutturale a favore delle persone che li abitano e dei luoghi da valorizzare e da mettere in sicurezza, si è affermata la moda di delegare all’operoso impegno di benemerite associazioni locali l’oneroso compito di promuovere il territorio.
Si allestiscono periodicamente feste e mega eventi, mostre, sagre, convegni e festival sui più disparati argomenti al fine di catturare visitatori e sollecitare l’interessamento dei media per far conoscere e pubblicizzare le risorse e le tradizioni dei territori. A tutto beneficio dei convenuti, si impegnano e investono importanti risorse umane (volontari) e spesso consistenti mezzi economici, per rendere accattivante e piacevole un tanto fugace, quanto scarsamente ricorrente, ritorno di emigrati e turisti al paese. Questi, consumata l’esperienza ringraziano per l’accoglienza, si
commuovono per i ricordi, le tradizioni rievocate e l’attenzione loro riservata e se ne ritornano nei loro luoghi di vita, consapevoli che il mondo e il progresso siano altrove. Il loro passaggio poco aggiunge alla desolante quotidianità e alle oggettive difficoltà di quanti vivono queste periferie, sguarnite dei più necessari presidi di civiltà e soffocati dalle inefficienze e dalle carenze di servizi essenziali e finanche vitali.
È chiaro che tali semplici azioni di marketing, messe in campo, non bastano a contrastare lo spopolamento e tanto meno a incentivare la rivitalizzazione dei luoghi. Queste lodevoli iniziative, seppure pregevolmente effettuate con tutto l’impegno e la passione che solo i volontari – abituati a spendersi davvero e disinteressatamente per il bene e la felicità di tutti – sono in grado di realizzare, si dimostrano tristemente insufficienti per salvare i nostri paesi. È risaputo e dimostrato che i territori prosperano, migliorano e progrediscono se si investe per accresce il benessere e la salute della gente che li abita e li vive quotidianamente.
Le persone fanno le comunità, non le case vuote e le strade deserte, movimentate, solo occasionalmente, da eventi a volte artificialmente, altre
elegantemente e sfarzosamente allestiti. Avere a cuore il benessere e il destino delle persone non può inoltre coincidere o risolversi con la trasformazione, dei piccoli centri delle aree interne, in villaggi turistici con tanto di animatori, aperitivi, giostre e tavolate infinite di giorno e di notte.
Come i sociologi, i demografi e gli urbanisti più volte hanno sottolineato, sarebbe necessario cominciare a ripensare i numerosi nostri paesi come
“luoghi dell’investimento affettivo e non solo economico”, bisognerebbe mettere al centro di ogni intervento di ripopolamento, di riqualificazione e di
attrazione una idea di comunità che sia soprattutto un “progetto di vita” condiviso e appagante per i residenti. Una visione, costruita intorno ai soggetti in carne e ossa che già abitano questi luoghi e che in tali contesti vorrebbero vivere onestamente e dignitosamente, senza vedere negati i fondamentali diritti, i presidi vitali e i comfort che, un ambiente moderno e civile, dovrebbe assicurare sempre a tutti. Al contrario, continuiamo ad assistere attoniti alle reiterate e odiose disattenzioni a danno di chi rimane, che non merita tutte quelle cure che invece, dispendiosamente, riconosciamo a ospiti occasionali, a personalità blasonate o politicanti in perenne campagna elettorale. Per loro, come da tradizione e con inappuntabile ossequio, riserviamo il servizio buono, il pranzo della domenica e il bagno di rappresentanza. Noi, come di consueto, ci accontentiamo delle modeste stanze della servitù, dei luoghi dimessi dal mobilio logoro e dai tessuti lisi, e con malinconica tristezza ci facciamo bastare il plauso ricevuto, il grazie e la pacca sulle spalle dell’occasionale ospite o dell’impettito politico di passaggio.
Ma se tutte quelle risorse messe in campo per consentire comparsate e passerelle, fossero diversamente utilizzate, se si attivassero gli opportuni
percorsi di governo del territorio con i fondi e i finanziamenti certamente disponibili a questo scopo ma purtroppo inspiegabilmente ignorati; se si
realizzassero tutte quelle politiche virtuose per ribaltare un destino di arretratezza e di doloroso abbandono, per assicurare e ampliare servizi a
favore di una più appagante qualità di vita dei residenti, donne e uomini, giovani e anziani, fragili e in salute; se si ponesse attenzione alla cura delle
persone e alla tutela dei luoghi, finanziando serie politiche sociali e ambientali, avremmo salvato noi stessi e reso unico e sicuramente attrattivo il
nostro territorio, per quanti volessero sceglierlo, visitarlo o trasferirsi per abitarlo con continuità. Se finalmente le questioni relative allo spopolamento, all’invecchiamento della popolazione, alla carenza di servizi essenziali, all’emigrazione giovanile entrassero a far parte dell’agenda della politica locale, e se, con fermezza, si considerasse come necessaria la presa in carico di temi così urgenti, avremmo fatto il primo passo per ricercare coralmente le possibili soluzioni.
In sintesi, basterebbe che tutti coloro che sono stati eletti al governo dei luoghi, si adoperassero puntualmente per “dirigere”, e realizzare i necessari
programmi di gestione del territorio invece di perseguire lo scopo, meno nobile, di “durare” e resistere il più a lungo possibile al potere, si restituirebbe
speranza, vita e dignità a cittadini, da troppo tempo, trascurati e sfavoriti. Politiche così orientate, rappresenterebbero un esempio virtuoso per le
comunità da salvare e una buona pratica da replicare per attrarre nuovi residenti, e ridimensionare così le risapute gravi criticità dovute all’eccessivo
sovraffollamento dei gradi centri urbani. Rappresenterebbero un vincente e fattivo contributo volto a invertire il flusso delle emigrazioni in direzione delle aree più interne e periferiche. Una sorta di redistribuzione delle persone che, scegliendo di spostarsi in ambienti meno intasati, vedrebbero comunque garantiti adeguati e civili standard abitativi, di salute e di vita. Ciò a dimostrazione che i piccoli centri potrebbero rappresentare “la
soluzione” delle difficoltà che affliggono le grandi aggregazioni urbane e “non il rognoso problema” da attenzionare e malamente risolvere.
Servirebbe una convinta e chiara inversione di lettura delle urgenze, per potenziare le capacità amministrative e riconoscere le criticità complessive,
che chiami a raccolta le coscienze tutte, la società civile, gli esperti e gli studiosi dei fenomeni urbanistici, demografici e sociali. Abbiamo bisogno di classi dirigenti che sentano forte la responsabilità del loro mandato e che si spendano con determinazione e convinzione a favore delle comunità locali. Purtroppo, le evidenti negligenze nei confronti delle necessità vere da considerare e soddisfare, insieme all’imperdonabile sprezzo per chiunque solleciti azioni, investimenti e condotte risolutive a favore delle persone e dei luoghi, non solo non aiutano ma rappresentano il freno di ogni innovazione di ogni possibile soluzione. *Teresa Delle Donne (Sociologa)