La Basilicata tra poteri pubblici, politica e cultura della mafiosità
Libere riflessioni intorno all’inchiesta “affidopoli lucana” del collega giornalista Leo Amato
L’ottimo lavoro del collega Leo Amato sul Quotidiano del Sud- l’Altra Voce, ci porta a riflettere sul pessimo clima che si respira nella politica, nelle istituzioni e in qualche modo nella società lucana. Le nostre investigazioni giornalistiche di questi anni fanno da sfondo alle circostanze emerse nelle ultime settimane negli articoli di Amato nell’inchiesta “affidopoli lucana”. A proposito di affidamenti e di intrecci societari, ci siamo sgolati a ripetizione con semplici domande: Chi fattura a chi? Chi paga a chi? E chi paga, come paga? Domande legittime nel quadro della descrizione di un circuito di società e agenzie di stampa tra loro connesse in un sistema labirintico. Abbiamo documentato fatti e circostanze, inconfutabili nella forma e nella sostanza, da cui emerge il continuo tentativo di inquinare l’informazione e di coinvolgere politica e istituzioni in un abbraccio di potere a danno della democrazia e della legalità.
Eppure, abbiamo assistito a un fenomeno preoccupante. Di fronte allo svelamento dell’opacità del circuito mediatico, editoriale e imprenditoriale oggetto delle nostre inchieste la politica ha continuato a far finta di niente. Esponenti di ogni schieramento hanno affollato e usato i mezzi di “informazione” di quel circuito. Hanno messo a disposizione di quel circuito la loro immagine, le loro opinioni, la loro propaganda. Pensando di usare la macchina e invece è la macchina che usa loro. Santa vanità nell’inutile visibilità.
Addirittura esponenti politici hanno prestato la loro immagine, il loro peso, per promuovere quel circuito. Non dimenticheremo mai gli spot di Vito Bardia favore di una testata “giornalistica” al centro del labirinto dell’opacità informativa. Incredibile. Nel corso del tempo altri esponenti politici si sono prestati e, in alcuni casi precipitati a elogiare le gesta del capostipite di quel circuito. I cittadini più avveduti hanno espresso la loro incredulità: come è possibile che gran parte del mondo politico e delle istituzioni si lasci coinvolgere in espressioni di amicizia, anche spinte, nei confronti di una famiglia di discussi imprenditori? Pensiamo alle interviste spot nel quadro del famoso Gran Galà della comunicazione. Interviste con cui politici e dirigenti di enti pubblici, hanno glorificato un sistema mediatico il cui quadro di anomalie e di opacità avevamo già descritto abbondantemente senza essere smentiti. Siete costretti? Siete convinti? Siete complici? Perché lo fate? Ecco, la politica ha foraggiato di simboli di potere quel sistema. Lo ha sostenuto, favorito, “coperto”. Se con le nostre inchieste abbiamo fornito un quadro descrittivo e documentato di un mondo opaco, gli ultimi articoli di Leo Amato forniscono episodi e circostanze che sembrano essere la conseguenza di quella opacità. Di fronte alle rivelazioni del Quotidiano del Sud nessuna reazione convincente da parte degli esponenti politici e delle istituzioni che si sono fatti abbracciare e hanno abbracciato quel circuito politico-amministrativo, mediatico e imprenditoriale oggi di nuovo sotto i riflettori.
Premiati e premianti
Il direttore generale dell’Arpab, premiato al Gran Galà, è oggi chiamato in causa per alcuni affidamenti a strane associazioni. Il sindaco di Potenza, anch’egli protagonista in quella kermesse, oggi è sotto la lente di chi vuol vederci chiaro circa l’affidamento di lavori edilialla società calabrese della famiglia dell’organizzatore del Gran Galà e già dipendente delle società riconducibili al club Postiglione. Il presidente del Parco dell’Appennino, già dipendente del club, già direttore della testata televisiva dei Postiglione, già tuttofare al Gran Galà, deve rispondere di alcuni affidamenti anomali ad associazioni e società riconducibili allo stesso club. E vale anche per Acquedotto Lucano. Bardi deve rispondere per le stesse anomalie. Questi ed altri erano tutti in abito da cerimonia a premiare o ad essere premiati o semplicemente seduti ai tavoli della cena, al Gran Galà. Questi ed altri erano tutti lì a rilasciare interviste per celebrare la magnificenza del club. Sono coincidenze? Persino il nuovo vescovo di Potenza nel dicembre scorso fa visita alla “redazione” dei media del club.
Alla corte dell’imprenditore delle “frottole” ci sono passati quasi tutti: deputati, senatori, consiglieri regionali, dirigenti pubblici, magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, sindaci. E quasi tutti, in qualche modo e in misura diversa, hanno contribuito a nutrire un sistema labirintico di società e associazioni finalizzate alla raccolta di pubblicità, di incarichi, di affidamenti. Centinaia di migliaia di euro, solo negli ultimi 10 mesi. Qui trovate i link alle interviste rilasciate da molti esponenti della cosiddetta classe dirigente lucana.
Perché?
Alle domande che abbiamo fatto in questi quasi 4 anni di inchieste sul mondo labirintico del club Postiglione, ne aggiungiamo un’altra direttamente ai politici e ai dirigenti pubblici coinvolti: Perché? Perché affidate lavori e forniture ad associazioni fantasma con dirigenti irreperibili o inconsapevoli, con conti correnti esteri e dalle capacità tecniche improbabili? Perché intervenite solo a valle di un’inchiesta giornalistica? A tutti gli altri esponenti politici e delle istituzioni rivogliamo altre domande. Perché avete sentito il bisogno di esprimere amicizia e parole di elogi nei confronti di Postiglione e il suo club?Che cosa vi ha spinti a farlo? Perché continuate a farlo?
Il danno sociale e democratico
Qui non poniamo questioni penali, ma politiche e culturali. Sull’esistenza di eventuali reati sarà, se vorrà, la magistratura a fare le dovute verifiche. Possiamo solo ipotizzare che non si tratterebbe di un lavoro faticoso e complicato. Ad ogni modo le criticità della tenuta legale del sistema sociale, politico ed economico della Basilicata sono più ampie, vanno oltre questa vicenda degli affidamenti svelata dal Quotidiano. Molti angoli di questa regione, abitati da povertà, opportunità, soldi, carriere, contributi e finanziamenti pubblici, sono infiltrati da interessi illegittimi e privatistici, da una cultura della mafiosità che si espande a vista d’occhio per chi la vuol vedere. E’ un territorio che perde di vista il senso della giustizia sociale, della legalità, del destino comune. Tuttavia, gli episodi legati alla vicenda “affidopoli” sono emblematici di una cultura della mafiosità: scambio di convenienze, occultamento delle evidenze, uso privato della cosa pubblica. Parliamo dell’insieme di valori, pensieri e comportamenti devianti, tra cui il senso di appartenenza a un gruppo e la trasformazione dei diritti in favori basata sul peso del potere. Parliamo di “modalità d’azione opache, ambigue e clientelari che si infiltrano nella pubblica amministrazione, anche senza che vi sia direttamente un reato penale visibile, ma che riproducono la logica mafiosa. Questo ‘metodo’ è stato definito da studiosi e magistrati come ‘mafiosizzazione del potere pubblico’. Metodo che non riguarda soltanto il caso specifico di “affidopoli”, ma le decine di casi denunciati dalla stampa e dalle Associazioni a tutela della legalità, Libera in prima fila. Nando Dalla Chiesa lo definisce “un metodo che privilegia la fedeltà personale alla competenza, l’obbedienza al merito, la chiusura al controllo.”
E dunque parliamo di “gestione clientelare di appalti, assunzioni e fondi; appalti assegnati senza trasparenza o con bandi ‘ritagliati su misura’; assunzioni e promozioni in cambio di fedeltà politica o personale; uso discrezionale dei fondi pubblici per creare consenso o legittimare poteri locali; impiegati pubblici che si voltano dall’altra parte per convenienza o paura; tecnici comunali che avallano pratiche irregolari per non entrare in contrasto con i vertici. Questa è mafiosità e non serve che ci siano clan mafiosi. E’ sufficiente che ci sia un sistema di potere che controlla l’accesso a risorse, diritti, opportunità e che chi si oppone venga isolato, delegittimato o escluso.” E’ tutto questo che ci preoccupa, perché gli episodi di mafiosità sono ormai frequenti e appaiono sempre più legati tra loro. La politica ha grandi responsabilità ma, a scorrere i fatti, non sembra la eserciti con serietà e determinazione.


