Logo

Quel cartello elettorale che chiamano “campo largo”

22 ottobre 2025 | 15:24
Share0
Quel cartello elettorale che chiamano “campo largo”

Esiste un’incompatibilità reciproca tra fasce significative di elettorato del Pd e del M5S

Possiamo anche fare finta che il campo largo funzioni per qualcosa di più che un cartello elettorale ma, in realtà, non è così. Sono finiti i tempi in cui le segreterie di partito determinavano le alleanze e gli elettori seguivano. Le ultime elezioni evidenziano che c’è invece una incompatibilità reciproca tra fasce significative di elettorato del PD e del M5S.

Dobbiamo contentarci, chissà per quanto tempo, del cartello. È sufficiente non per vincere ma almeno per contenere la destra meloniana. Infatti anche con il pessimo risultato elettorale del 2022 con un cartello con PD, M5S e AVS, ma anche con la semplice desistenza, la destra non avrebbe avuto la maggioranza assoluta al senato.

Le origini dell’incompatibilità

Ma senza interrogarci sulle ragioni profonde di questi elettori, che le hanno per definizione, difficilmente si troveranno rimedi vincenti, in specie in un Paese strutturalmente di destra e la cui produttività è affidata a piccole e medie imprese allergiche a tassazioni e regole.

Il M5S nasce come movimento antagonista al sistema che aveva governato la seconda Repubblica per più di un trentennio. Un sistema basato sulla conservazione del potere dei ceti confindustriali e finanziari con le sue ramificazioni nelle stampa cosiddetta libera e invece funzionale al mantenimento dello statu quo.

Il perno di questo sistema è stato il PD. A seguito della svolta imposta dai tempi e da Occhetto che trasformò il PCI nel PDS e non avendo il Partito Popolare, nato dalle ceneri della DC, autorevolezza sufficiente per guidare la politica italiana, come spiegato da Cirino Pomicino il PDS si pose subito come garante di quel sistema ‘capitalistico’ che il PCI aveva combattuto dal secondo dopoguerra.

Con il crollo del muro di Berlino, che ha determinato anche il crollo del climax culturale che reggeva il PCI, il capitalismo non ha avuto più alcun contrasto. La classe operaia non meritava più il Paradiso e la più spietata interpretazione del liberismo ha favorito la concentrazione della ricchezza in mano a pochi senza alcun freno né morale né sociale portandoci a una situazione più simile al medioevo che a quella che viene spacciata per modernità cancellando lo stesso concetto di stato sociale.

A firmare la fidejussione quel che restava della DC, poi PPI, che in alleanza con i DS vinse con Prodi le elezioni e, dopo varie spaccature, la Margherita che nel 2007 si fuse con i DS diventando il PD.

Una alleanza nata per la gestione del potere, non per cambiare la società, che ha messo insieme la capacità organizzativa del vecchio PCI con quella di fare clientela della DC. Il Partito Regione di Bubbico, Folino e De Filippo nasce da questo.

Le politiche liberiste e guerrafondaie del PD

Con Prodi si produce la visione che avrebbe portato il Paese al declino: cancellazione di investimenti strutturali e pubblici specialmente al Sud e svendita del Patrimonio dello Stato al fine di entrare in Europa addomesticando con azioni una tantum il raggiungimento dei parametri previsti per entrare nell’Euro. La UE, con Prodi commissario, diventa un protettorato franco-tedesco abbandonando l’ambizioso progetto di Ventotene della Europa dei popoli asservendola alle priorità tedesche con l’accettazione di un tasso di cambio svantaggioso per l’Italia. La spietata ideologia liberista con slogan come ‘non esiste un pasto gratis’, che se approfonditi diventano pura crudeltà fine a se stessa come visto in Grecia, producono l’abbandono del Mezzogiorno, delle classi sociali più disagiate e la concentrazione della sfida competitiva del Paese al Nord.

Sempre a Prodi è dovuto l’allargamento a Est dell’Europa, importando nella UE non solo una competizione scorretta alle manifatture nostrane lasciando a gran parte di questi paesi la moneta nazionale, ancora oggi 8 paesi dell’est UE non hanno l’Euro, ma anche le loro rivalità tribali, Polonia e Ucraina tra loro e con l’ex URSS, e la voglia di vendetta dei paesi slavi, sempre nei confronti dell’ex URRS, che li aveva dominati, e non deve essere stata una passeggiata di salute, per 40 anni.

Il vortice della guerra tra Russia e Ucraina sta trascinando anche l’Europa occidentale in una crisi economica irreversibile.

Contestualmente la deriva culturale della sinistra raggiunse il parossismo quando D’Alema definì la Lega Nord una costola della sinistra e strinse il patto delle sardine con Bossi. All’epoca la Lega promuoveva la lira del nord e quella del sud, la secessione della Padania, l’organizzazione dello Stato su basi etniche oltre a urlare “ammazza un terrone risparmia un milione”. Se dobbiamo dirci la verità l’idea della autonomia differenziata è figlia anche dell’idea del PD che il Sud andava abbandonato per concentrare tutti gli sforzi sul Nord già in difficoltà. Non è vero? Basta leggere il libro ‘Perché il Sud è rimasto indietro di Emanuele Felice ex responsabile economico del PD per rendersene conto.

L’ultima perla è stata la lettera Draghi – Trichet del 5 agosto 2011 in cui si intimava al Parlamento italiano di approvare un insieme di misure economiche per risanare le finanze pubbliche. Un attacco fatto dalle istituzioni europee al parlamentarismo e alla democrazia avvallato dal PD di Bersani e dal presidente Napolitano togliendo al popolo ogni sovranità e potere decisionale.

Delenda M5S

L’attacco al M5S fatto in nome del MES non era null’altro che la volontà di togliere ogni residuo di autonomia decisionale al Parlamento e alle rappresentanze elettive e democratiche sottoponendo la politica economica a élite burocratiche europee prive delle conseguenze derivanti dalle responsabilità politiche.

Questo in Europa e in Italia ha prodotto una perdita complessiva di competitività invece di migliorarla, come strombazzato da Draghi e i suoi epigoni. L’assenza dello Stato come motore degli investimenti specialmente nei campi più innovativi in Europa e Italia si è tradotto nel sorpasso tecnologico di Cina e India specialmente nel campo della protezione ambientale su cui i cinesi investono multipli del PIL italiano.

La conseguenza è che la Prima repubblica lasciò una Italia che produceva il 5% del PIL mondiale, ora il 2, e l’Europa è passata dal 28% al 15%.

In politica estera la debolezza economica e strutturale del vecchio continente ha determinato una sudditanza verso gli USA senza precedenti. I pochi leader europei che hanno sfilato nelle terze file dietro a Trump in Egitto, spettatori inutili se non a fare la claque, sono la misura più evidente della perdita non solo di leadership ma di dignità europea. Il Craxi di Sigonella oggi sarebbe irriso come putiniano, populista o sovranista dall’Europa e dai media. La Nazione più che comunità di destino è oggi una comunità di servi.

La responsabilità di tutto questo in Italia ha nomi e cognomi. Da Prodi a Mattarella, da Letta a Bersani, da D’Alema a D’Amato, da Franceschini a Gentiloni, da Fassino a Guerini oltre a Renzi a cui sono seguiti un insieme di segretari di cui è difficile persino ricordare il nome.

Il Popolo sovrano a tutto ciò aveva decretato nel 2018 la fine, con l’ondata di voti al M5S e alla Lega. La Lega in qualche modo era già parte del sistema ma il M5S è stato letto dal PD e dai suoi leader come usurpatore del proprio consenso popolare. Una anomalia da cancellare con ogni mezzo.

Il Quirinale non ha mai riconosciuto come legittima la vittoria del M5S e come conseguenza delle distruttive politiche economiche di stampo liberista, ma come causa della contestazione e delegittimazione delle classi politiche governative. Una miccia da depotenziare in ogni modo. Un logoramento quotidiano grazie anche alla stampa che senza ombra di dubbio possiamo definire di regime. Quindi le polemiche, uniche in Europa, sul MES, strumento delegittimato politicamente e considerato tossico da tutti gli stati europei, e la necessità di demolire l’immagine di un Conte Due che aveva gestito la pandemia con un piano vaccinale tra i migliori in Europa, più di Francia e Germania, e che aveva ottenuto i soldi del PNRR.

Quindi il governo Draghi, ennesimo tradimento della Costituzione che assegna ogni potere al popolo, con l’unico scopo di tornare alle politiche economiche classiste garantite ora dal Governo Meloni. Infatti Letta, Matterella e Renzi dovrebbero spiegare se per insipienza o per volontà hanno fatto in modo da presentarsi alle elezioni senza neanche un accordo di desistenza con il M5S che credevano scomparisse grazie al tradimento di Grillo prima e Di Maio dopo. Il successo elettorale di allora del M5S non fu letto come conseguenza di politiche economiche fallimentari, ma come capriccio di un elettorato immaturo.

Un capitolo a parte necessiterebbe la politica guerrafondaia europea e del Colle, in primis, e della ignavia nei confronti del Genocidio in atto a Gaza.

L’astensionismo

La maggioranza degli italiani è contro questo stato di cose ma non trova una sponda utile e credibili. A votare sono solo gli elettori militarizzati di PD e destra.

Non gli elettori del M5S che quando vedono il PD ancora sotto l’egida culturale di Prodi e della vecchia Margherita non si fidano. Non aiuta nemmeno il fatto che il PD sia il partito di Mattarella, che ne limita nei fatti l’azione politica.

Dal lato opposto l’elettorato del PD, o quel che resta, vedono come il fumo negli occhi il M5S che considerano ancora un usurpatore che non capisce come la politica più che a servire il popolo serve a educarlo e manipolarlo al servizio dei soliti noti. Sacrifici per salvare la finanza, le banche e i mercati. Per far comprare a Colannino TIM con debiti pagati dalla stessa TIM o a garantire ai Benetton la rendita di Autostrade. Peccato che il popolo bue non capisca la grandezza del disegno!

Tutto questo è difficile da rimuovere e da superare.

Un poco per l’ostinazione dei vecchi, vecchi è la parola giusta, che invece di scrivere le proprie memorie ancora dominano la scena e vogliono condizionare il futuro delle nuove generazioni imponendo il fardello di guerre e di ingiustizia sociale. Parlo, oltre che di Mattarella di Prodi, Bersani, Amato, Gentiloni, Franceschini, Fassino, o gli improponibili Picierno, Gualmini, Moretti, Gori, Annunziata. Insomma grandi e piccoli vecchi per età o per precoce consunzione politica.

Un poco per la incapacità del M5S di selezionare la propria classe politica, a partire dal livello locale chiudendosi nei propri riti e nell’affidarsi solo all’uomo del destino: Giuseppe Conte.

A oggi c’è poco o nulla in comune tra il PD e il M5S. Non la politica economica, una volta al governo il PD ricomincerebbe con la litania del MES e della sudditanza in Europa a tedeschi e francesi. Non in politica estera con una posizione in Ucraina del PD più guerrafondaia di quella di Meloni e altrettanto tiepida su Gaza. Troppo poco per scomodarsi e andare a votare!

Quindi cambiare il governo Meloni con uno del PD all’elettorato pare inutile perché Meloni sta continuando la politica economica ed estera di Draghi e del PD, e forse persino con maggiori capacità. Né pare che la dirigenza attuale del M5S sia in grado di assumere una egemonia politica e culturale nel campo largo.

La via d’uscita

Ci sarebbe una unica via. L’apertura di tavoli di ‘visione’ a livello locale e nazionale per capire il futuro da costruire e su questo selezionare la propria classe dirigente: nuova, giovane e non compromessa con il passato e quindi credibile e su un progetto sociale ed economico nuovo e da costruire insieme in alternativa al deprimente riproporsi delle stesse ricette.

Ma non avverrà nulla perché la politica non accetta niente che vada di là del tweet o dalla dichiarazione di giornata. E poi i Saturno della politica italiana si sentono immortali e più indispensabili di Cesare o Bonaparte di cui l’umanità è stata comunque in grado di fare a meno.  I giovani come Elly non sembrano di riuscire a liberarsi dei propri Anchise e continuano a portali sul groppone, sfinendosi nell’impresa.

Quindi finché non provvederà la natura (perdonate ma quanno ce vo’ ce vo’), visto che a godersi la pur ricca pensione, proprio non ci pensano rimarremo così. Ci rivedremo tra venti anni a Meloni invecchiata e nuova grande vecchia della Nazione o, più probabilmente, di quel poco che ne rimarrà.

©Riproduzione riservata