La plastica e le multinazionali della sofferenza. Loro sono loro e noi non siamo un c…
Chi paga il prezzo delle presunte soluzioni?
Ogni soluzione genera nuovi problemi. È la Storia. La plastica ha risolto problemi soprattutto negli anni ’60 quando diventa insostituibile strumento della vita quotidiana. Irrompe nell’immaginario di milioni di persone, nelle cucine, nei salotti, nella moda e diventa simbolo di modernità. Poi arriva l’amara scoperta: la plastica inquina, la plastica fa male, la plastica bisogna eliminarla. Tassiamola. No. Sono a rischio decine di aziende, migliaia di posti di lavoro, miliardi di fatturato! Ogni soluzione genera nuovi problemi.
Potremmo dire la stessa cosa dell’eternit, di centinaia di farmaci, dei metodi adottati nelle cure psichiatriche, degli additivi chimici, del petrolio e così via. Scoperte scientifiche, innovazioni tecnologiche, mutamenti sociali, trasformazioni negli stili di vita e di consumo, nuovi bisogni. Da secoli l’umanità deve pagare il prezzo della cavia. Pensate ai farmaci. Le industrie hanno accumulato fior di quattrini su prodotti che si sono poi rivelati dannosi per la salute. Loro, le multinazionali dei medicinali, non hanno mai pagato per questi “incidenti o vuoti scientifici”. La gente, invece ci ha rimesso la pelle. E così con l’amianto, il petrolio, la plastica, i detersivi, i deodoranti, il cibo. Le masse di consumatori polli da batteria, bevendosi come sciroppo le pubblicità, si ammalano o muoiono.
Quando si scopre che la plastica fa male, occorrono molti anni se non decenni – come è accaduto con l’eternit e come accade col petrolio – prima che una soluzione alternativa diventi di massa e sia adottata dal sistema economico e produttivo. Perché nel frattempo “la scienza ha bisogno di tempo”, “le industrie non possono chiudere”, i “posti di lavoro si devono salvare”, e via dicendo. Chi ci guadagna? Sempre loro.
L’architettura sociale, economica e produttiva in cui siamo ingabbiati, ha la forma di un labirinto immenso, con tante vie di uscita, senza uscita. In questo labirinto si muove la storia dell’industrialismo, del totalitarismo lavoristico che sono corollari delle leggi del capitalismo. Anche le soluzioni politiche subiscono la stessa sorte labirintica perché incorporate nelle leggi del sistema. Tassare la plastica è una “soluzione” che contribuisce ad uscire da una delle stanze dell’inquinamento e delle cattive – in passato buone – abitudini dei consumatori. Tuttavia, non può essere considerata una soluzione poiché sprigiona una serie di problemi legati al mercato, al lavoro, alle imprese, all’economia. Vuoi imporre alla Arcelor Mittal soluzioni che non gradisce? Ecco che nascono problemi. La multinazionale molla e ti lascia con migliaia di lavoratori in mezzo alla strada. Le leggi del mercato sono spietate. Lo sapevate, vero? “Il Sud è in recessione, il gap con il Nord cresce”. Quante volte lo abbiamo sentito e quante soluzioni sono state ipotizzate e attuate in un secolo e mezzo? E’ sempre stato un via vai tra porte aperte in uscita senza uscita.
La tassa sulla plastica – così come altre ipotesi politiche su questioni vitali – si trasforma in una soluzione che è più costosa del problema. È così che funziona il labirinto. Devi aspettare che lor signori decidano di aprire quella stanza. E lo decideranno quando è pronta l’altra stanza nella quale potranno rilanciare il business con soluzioni che causeranno nuovi problemi. L’Ilva, Eni, Total, la val d’Agri, la val Basento, la Materit, la Nestlé, la Monsanto, le multinazionali farmaceutiche, vi ricordano qualcosa? Il potere economico e finanziario ha in mano la torcia della conoscenza: la spegne e l’accende quando gli pare. Ci hanno imbottito di schifezze per poi dirci che quelle schifezze fanno male. E ce lo dicono quando è pronta un’alternativa che si rivelerà a distanza di anni causa di un’altra schifezza. La vera rivoluzione è uscire dal labirinto. Fino ad allora dobbiamo rassegnarci, perché loro sono loro e noi non siamo un c…