Giornata mondiale della biodiversità: sos specie a rischio

22 maggio 2024 | 16:51
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Giornata mondiale della biodiversità: sos specie a rischio

Il punto di Legambiente con i dati del suo ultimo report

In Italia la biodiversità è sempre più rischio, minacciata soprattutto da crisi climatica, inquinamento, catture accidentali e azioni antropiche. A preoccupare, in particolare, è lo stato di salute di avifauna e anfibi, a cui Legambiente, dedica quest’anno uno speciale all’interno del suo report Biodiversità a rischio 2024. A pesare su questa fotografia, scattata dal report di Legambiente, sono anche i ritardi dell’Italia sia nell’istituire nuove aree protette e zone di tutela integrale al 2030 sia nel frenare le varie minacce a partire dal bycacth, ossia la cattura accidentale delle specie durante l’attività di pesca.

Per questo Legambiente torna a chiedere oggi una maggiore tutela della biodiversità, a partire da avifauna e anfibi preziosi termometri dello stato di salute di mare e zone umide, l’istituzione di più aree protette e più interventi in Italia e in Europa. Temi che rilancerà anche con il Natura Day-30% di territorio protetto entro il 2030 con una serie di iniziative dal 22 al 26 maggio lungo la Penisola per far riscoprire le bellezze naturalistiche e la biodiversità e chiedere più aree protette.

Il declino della biodiversità a livello mondiale galoppa a un ritmo senza precedenti nella storia dell’uomo ed è uno dei mag­giori problemi ambientali che l’umanità si trova ad affrontare anche se la gra­vità delle conseguenze di questo declino non sono ancora percepiti dal grande pubblico e dalla gran parte dei decisori politici. L’impatto antropico ha trasformato il 75% degli ambienti delle terre emerse e il 66% degli ecosistemi marini, messo a rischio almeno un milione di specie animali e vegetali, dopo averne cancellato per sempre un numero imprecisato. Que­sta perdita di biodiversità minaccia la stessa capacità degli ecosistemi planetari di fornire i servizi da cui l’umanità dipende. La salute e il benessere umano sono strettamente legati alla vitalità e alla resilienza dei sistemi naturali.

“Siamo il Paese più ricco di biodiversità nel continente europeo (conserviamo la metà delle specie vegetali e un terzo di tutte le specie animali) – dichiara Antonio Nicoletti responsabile nazionale Parchi e Aree Protette di Legambiente -ma questo patrimonio è messo seriamente a rischio. Per difenderlo dobbiamo seguire le indicazioni dell’Unione Europea che fin dall’approvazione nel 2020 della Strategia della UE per la biodiversità al 2030, ha definito gli obiettivi che ogni Paese dell’Unione deve raggiungere: creare nuove zone protette e tutelare il 30% della superficie terrestre e marina; prevedere una protezione più rigorosa degli ecosistemi garantendo il 10% del territorio a protezione integrale; ripristinare il 20% degli ecosistemi degradati entro il 2030 e aumentare i terreni agricoli utilizzati a biologico per migliorare la loro biodiversità; ridurre del 50% l’uso e la nocività dei pesticidi e ripristinare almeno 25.000 Km di fiumi a scorrimento libero; arrestare e invertire il declino degli impollinatori e piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030”

La Basilicata ancora conserva un vantaggio competitivo rispetto a molte regioni italiane in termini di elevata dotazione di capitale naturale. Per proteggere e valorizzare questo capitale, i Parchi e le aree protette sono lo strumento più importante, anzi essi dovrebbero essere il contesto progettuale ed istituzionale in grado di promuovere una nuova stagione di pianificazione dello sviluppo locale.

Tuttavia, le aree protette in Basilicata non fanno sistema e vivono una condizione di marginalità ed abbandono istituzionale. L’azione di depotenziamento politico ed economico, a livello nazionale come a livello locale, è in atto da anni e continua oggi intensamente. Oggi in Basilicata alla parola Parco, nel linguaggio comune come in quello istituzionale, si associa o il tema degli assetti organizzativi in crisi o quello dei danni cinghiali. Parlare sempre e solo di questo incrina sempre più il rapporto di fiducia tra popolazioni e parchi. L’eterno dibattito sugli assetti organizzativi dei Parchi è il segnale della loro marginalità politica. Come abbiamo potuto verificare anche recentemente, al Parco della Murgia Materana, dove la Regione Basilicata ha nominato un Presidente privo dei requisiti richiesti dallo stesso bando regionale di selezione. Un Parco questo che, come ha spiegato oggi Legambiente in una conferenza stampa, è sottorganico, pieno di strutture fatiscenti, con accessi a malapena controllati nei giorni festivi, centri visita e Chiese rupestri chiuse, aree archeologiche abbandonate. Una situazione quindi, che richiederebbe competenze molte elevate per invertire la rotta.

Ma anche ciò che sta succedendo al Parco Nazionale dell’Appennino Lucano è molto significativo. La nomina di un commissario straordinario è un segno di una pericolosa deriva nella gestione degli Enti Parchi e a cui guardiamo con molta preoccupazione. L’Ente Parco Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese veniva da presedenti gestioni che potremmo definire con un eufemismo disastrose, e sulle quali come associazione ci siamo più volte espressi denunciandone più volte anche le illegalità. A partire dalla nomina dell’ultimo Consiglio Direttivo, nel quale la Legambiente era rappresentata, era stato messo in campo un duro lavoro (ostacolato tra l’altro da una nomina tardiva di un Direttore a pieno titolo) per far sì che l’Ente potesse ricominciare a funzionare e per ricucire una profonda frattura con le istituzioni locali, il territorio e le comunità che lo abitano dovuta ad una totale mancanza di ascolto e condivisione. Con la designazione d’imperio (oltre che viziata da procedure non corrette) del commissario si interrompe bruscamente questo complesso lavoro di ricucitura per dinamiche istituzionali che facciamo fatica a comprendere e si rischia di ritornare alla percezione che esso sia solo un vincolo e non un’opportunità come dovrebbe essere invece per le aree protette.

Precarietà che purtroppo riguarda anche il Parco Nazionale del Pollino che da circa un anno attende la nomina di un presidente effettivo determinando instabilità nella gestione dell’Ente, instabilità che il Parco Nazionale più grande d’Italia non può permettersi.

Un vero peccato per una Regione come la Basilicata in cui le Aree protette rappresentano una risorsa immensa sul piano culturale ed economico per combattere lo spopolamento e creare sviluppo. “I parchi non sono solo enti pubblici- dichiara Antonio Lanorte Presidente di Legambiente Basilicata – ma rappresentano il migliore strumento per proiettare e promuovere la forza e l’identità dei territori, una delle poche carte da giocare per la sopravvivenza di tante piccole comunità. Ma devono essere Parchi attivi, funzionanti, efficaci, propositivi, in grado di agire all’interno di una logica di sistema e di rete”. Ci vuole quindi una strategia e una visione per le aree protette ispirata a una logica moderna di conservazione, sviluppo e valorizzazione delle risorse naturali. Siamo ben lontani da ciò.

“C’è bisogno di recuperare un protagonismo degli Enti Parco attraverso il rafforzamento delle strutture organizzative e della dotazione di strutture tecniche e scientifiche- continua Lanorte-ma serve anche un nuovo protagonismo dei Comuni che si trovano nei Parchi e nelle aree protette e delle comunità: cittadini che partecipino alla vita dei Parchi e in generale alla governance della biodiversità e siano agenti di cambiamento rispetto a tutte le opportunità che i Parchi possono rappresentare nell’ottica della transizione ecologica”

In Basilicata il 70% dei comuni al di sotto dei 5000 abitanti ha il proprio territorio, in tutto in parte, dentro Parchi o aree protette. Occuparsi di Parchi e aree protette significa, quindi, occuparsi di aree interne. Tuttavia la percentuale di aree protette interessa meno del 20% del territorio regionale. Pertanto, la Regione Basilicata, come indica l’Unione Europea, deve avere l’obiettivo di tutelare il 30% del suo territorio entro 2030 istituendo nuove aree protette marine e terrestri. A partire dall’Area Marina Protetta “Costa di Maratea” che è ancora in attesa che la Regione completi l’iter istitutivo e definisca con il Ministero dell’Ambiente la procedura aperta dal 2019. E Venerdì 24 maggio Legambiente nell’ambito di Natura Day farà un’iniziativa per ribadire la necessità dell’istituzione dell’AMP Costa di Maratea. Che è solo uno dei cantieri della transizione ecologica per la tutela della biodiversità, tra i quali possono essere inseriti il Parco della costa Ionica, che potrebbe comprendere il sistema dunale e l’area dei calanchi lucani, così come il Parco del fiume Ofanto. Riteniamo infine necessario che la Regione Basilicata organizzi una Conferenza regionale per le aree protette per fare il punto sullo stato dell’arte, condividere un percorso democratico e partecipato con gli amministratori, i territori e le comunità.