In Basilicata si sta perdendo il senso del giusto e della giustizia

23 maggio 2024 | 10:35
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In Basilicata si sta perdendo il senso del giusto e della giustizia

Prevale la confusione tra cultura della legalità e cultura del bene. Falcone e Borsellino hanno insegnato poco a chi non vuole imparare. Crescono curiose alleanze

Nella giornata del ricordo del sacrificio di Falcone, di Morvillo e dei ragazzi della scorta, riprendiamo un editoriale qui pubblicato lo scorso anno nello stesso giorno. E lo riprendiamo per aggiungere altri elementi di riflessione. Un’ aggiunta necessaria, oggi, perché da queste parti la sanzione sociale nei confronti degli ingiusti è praticamente scomparsa. E perché l’estetica del potere economico e politico diventa sempre più suggestiva e seducente grazie anche a coloro che si definiscono difensori della legalità e educatori alla legalità.

In questi giorni assistiamo qui in Basilicata, a Potenza, a una curiosa alleanza per la legalità. Un personaggio pubblico, discutibile sotto il profilo “del giusto” (iustum), con la sua Fondazione “benefica” organizza un Trofeo per promuove il rispetto delle regole e della legalità tra i giovani in memoria delle vittime di Capaci. A metterci la firma sotto la locandina, tra gli altri, un’associazione che da decenni si occupa di cultura della legalità. Questa confusione monta già da tempo, e in altre circostanze, tra istituzioni e  personaggi che le istituzioni dovrebbero tenere a distanza. Ma tant’è.

Questa storia della legalità e della cultura della legalità forse ha un po’ stancato. Troppo esposta a lunghi periodi di retorica inconcludente. Il vero nodo invece è il senso di giustizia, formare le coscienze al senso di giustizia potrebbe essere la strada che ci libera dal pantano della retorica sulla legalità e dalla prepotenza degli ingiusti. Andrebbe, invece, diffusa, la cultura della giustizia. Quale? Giustizia sociale, giustizia del bene, giustizia implicita nei valori della solidarietà, del rispetto dei diritti degli altri e che – ripetiamo – ci aiutano ad agire secondo bontà, verità e a rendere appunto giustizia.

Falcone e Borsellino amavano la giustizia, non solo nel senso scontato di rispetto della legge, ma nel significato profondo che la distingue dal male. La mafia è ingiusta perché compie azioni che nulla hanno a che fare con il bene, con il rispetto dei diritti degli altri. Perché rappresenta una cultura del male, perché è un sistema predatorio totalizzante, perché uccide, minaccia e si fa Stato. E’ una piovra che mette il sonnifero alla vita democratica. Questi due grandi magistrati nel loro lavoro sono stati spesso frenati, ostacolati, criticati dal sistema politico e giudiziario, grazie anche all’uso strumentale del principio di legalità. Falcone e Borsellino dovevano fermare l’ingiustizia mafiosa e l’ingiustizia dei poteri alleati con la mafia e aprire spazi enormi per l’affermazione della Giustizia, non solo quella giudiziaria, ma quella implicita nell’origine della parola latina iustum, che significa “giusto”. La loro intima passione, senza la quale non avrebbero fatto quello che hanno fatto, era quella di rendere giustizia, nel quadro di una virtù squisitamente sociale. Le norme, le procedure, le gerarchie di allora rappresentavano la legalità e quella legalità non sempre ha aiutato i due magistrati. Quella legalità nel tempo e grazie a loro è cambiata, perché la legalità è relativa. Il punto è che la nozione di giustizia è stata estromessa, almeno in teoria, dal campo della “scienza del diritto”. Si continua a non capire che esiste una questione della giustizia isolata, allontanata, dalla sfera giuridica.

La giustizia, rendere giustizia, essere giusti, lottare contro le ingiustizie piccole e grandi, combattere il male per affermare il bene, rispettare i diritti delle persone, sono questi i principi laici che andrebbero radicati in tutte le istituzioni politiche, giudiziarie, culturali, associative. E’ l’unico modo per ricordare degnamente Falcone e Borsellino, i ragazzi della scorta e tutti i morti per la giustizia. Chiunque abbia letto le storie, le biografie di questi uomini e donne, chiunque abbia ascoltato le loro parole nei momenti più drammatici, sa che non erano banalmente tutori e difensori della legalità, ma erano difensori e promotori di giustizia, erano dei giusti. Ecco, promuovere la cultura dei giusti, di coloro che agiscono per rendere giustizia, è prioritario in questi tempi di sonnambulismo sociale e di ipocrisia delle istituzioni e dell’associazionismo civico.