“Basta fare buchi: il futuro è rinnovabile!”

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    “È troppo rischioso continuare a fare buchi in un territorio instabile come quello lucano e italiano, c’è bisogno di un nuovo modello di sviluppo”. Maria Rita D’Orsogna, professore associato alla University of California, non ci sta e risponde in questo modo ai diktat del Governo e del Ministero dello Sviluppo Economico, che vorrebbero rilanciare la corsa al fossile sul suolo nazionale.

    La prof. D’Orsogna, personalità storica delle lotte anti-trivelle in Abruzzo, ha anche spedito una lettera al Ministro Corrado Passera: “Lei non e’ stato eletto da nessuno”- scrive la D’Orsogna- “e non può pensare di “risanare” l’Italia trivellando il bel paese in lungo ed in largo. Lei parla di questo paese come se qui non ci vivesse nessuno: metanodotti dall’Algeria, corridoio Sud dell’Adriatico, 4 rigassificatori, raddoppio delle estrazioni di idrocarburi. E la gente dove deve andare a vivere di grazia? Ci dica.

    Una personalità di spessore o, come direbbe qualcuno, un’eccellenza che abbiamo raggiunto telefonicamente per parlare di petrolio, Basilicata e sviluppo economico.

    Domanda banale che avrà sentito mille volte: quali sono i reali danni sulla salute connessi all’estrazione e alla raffinazione del petrolio?

    Beh.. i danni alla salute connessi all’estrazione del petrolio sono molteplici e sono a tutti i vari stati dell’opera estrattiva. Si parla sempre di idrogeno solforato perché questa è la sostanza più nota fra quelle che vengono emesse e perché ha una forte puzza di zolfo: l’H2S si trova spesso disciolto direttamente nel petrolio e viene “fuori” dal petrolio nei centri di desolforazione come quello di Viggiano. Questa sostanza provoca tutta una serie di problemi più o meno gravi al sistema respiratorio, circolatorio, alla pelle, problemi anche di apprendimento, di concentrazione. A dosi molto alte può provocare la morte immediata, mentre a dosi molto più basse e continuate nel tempo questi danni possono non essere tali, ma diventare permanenti. A Viggiano ci sono spesso fughe di H2S e con esse problemi alla vista, nausea e sensazioni di vomito fra gli abitanti della zona; qualche anno fa c’è stata una fuga abbastanza consistente dal centro oli e i lavoratori di altri stabilimenti lì intorno si sono tutti sentiti male, tanto che la maggior parte di loro sono stati ricoverati in ospedale.

    Non c’è, però, solo idrogeno solforato: nell’atmosfera viene emessa tutta una serie di sostanze che sono dannose almeno tanto quanto l’idrogeno solforato, solo che magari non sentendone la puzza, spesso non ci diamo peso. C’è, ad esempio, tutto il quartetto dei BTEX (Benzene, Toluene, Etilbenzene e Xilene), sostanze altamente cancerogene, in particolar modo per quanto riguarda il benzene.

    Qui in America tutte le ditte petrolifere sono obbligate per legge a prendere ogni tre mesi metà pagina sui giornali e a dichiarare che tutte le loro opere di estrazione, raffinazione, trasporto e stoccaggio causano problemi alla salute, tra cui possibilità tumorali, di modificazione del DNA e danni ai nascituri. Quindi se l’ENI operasse negli Stati Uniti e in particolare in California sarebbe costretta a tenere questa sorta di comunicato stampa e non avrebbe possibilità di nascondersi.

    Quindi la legislazione statunitense è più vincolante per le compagnie petrolifere?

    Ma non è la legislazione statunitense, è la scienza! Non è una cosa che si sa dall’altro ieri. C’è tutta una serie di studi fatti negli anni ’60,’70, ’80, in tutte le parti del mondo. In Gran Bretagna, ad esempio, è stato dimostrato che fra i bambini c’è maggior incidenza di asma e altre malattie respiratorie; in Ecuador chi vive vicino agli impianti petroliferi ha mutazioni genetiche nel proprio DNA; sono stati effettuati studi sulle raffinerie in Texas; addirittura piattaforme nel mare nel Nord, dove è stato mostrato come chi lavora sulla piattaforma ha più possibilità di sviluppare determinati tipi di tumori. La legislazione arriva dopo che sono stati fatti studi per 50 anni! L’evidenza non si può negare.

    In Basilicata invece spesso si nega.

    Ma sono 50 anni indietro! Non c’è bisogno di fare una sperimentazione sul popolo lucano, sono cose che già si sanno! Stare qui ancora a dire “non si sa”, “può darsi” non ha alcun senso: sono tutte storielle che lasciano il tempo che trovano, che non hanno nessuna validità dal punto di vista scientifico, considerato che in Basilicata la gente parla di aumenti di tumore nelle proprie famiglie (anche in base a quanto testimonia il Registro Tumori) e soprattutto considerata l’esperienza mondiale (come può essere che nel mondo ci sono tutti questi problemi e in Basilicata no?). Io sono stata a Viggiano a parlare con le famiglie: loro raccontano che l’aria è irrespirabile e spesso è difficile vivere. Insomma, quello che la gente dice va di pari passo con i risultati scientifici.

    Giustissimo dire “No” al petrolio, sacrosanto però deve essere trovare un’alternativa. Quale potrà essere, a suo avviso?

    Le alternative ci sono. Ovviamente sono una grande promotrice delle energie rinnovabili, del solare, del fotovoltaico, dell’eolico e di tutte le energie che lasciano minor impatto rispetto alle fonti fossili. Spesso mi dicono questo non è possibile, non ce n’è abbastanza, ecc. La mia risposta a tutto questo è che certo, se non si inizia mai, se non si comincia mai, mai s’arriverà al traguardo finale.

    La prova che un futuro senza idrocarburi è possibile ci viene dalla Germania; il 26 maggio, se non ricordo male, attorno a mezzogiorno per 3/4 ore la Germania ha coperto il proprio intero fabbisogno solo con le fonti solari. Era sabato, le fabbriche erano chiuse, ma il giorno prima hanno prodotto lo stesso ammonto di energia, per un totale del 33% del fabbisogno nazionale.

    Questo è un punto di partenza, una cosa che 10 anni fa non si sarebbe mai immaginata; basta fare buchi, concentriamo la nostra energia mentale verso le fonti alternative. Ogni giorno si sviluppano nuove tecnologie per raccogliere sempre più energia: parlo, ad esempio, del fotovoltaico concentrato, un pannello a forma di parabola che riesce a produrre molta più energia solare rispetto a un panello classico, così come c’è una grande spinta verso lo sviluppo di patine molto sottili che possano catturare l’energia solare e essere più facili da istallare sui vetri piuttosto che sui tetti.

    Ci sono tantissime proposte: qui nel sud della California la Shell ha aperto da poco 10 distributori a idrogeno. Sono tutti piccoli passi che però devono essere fatti. Questo si applica soprattutto all’Italia: non riusciremo mai a soddisfare il nostro patrimonio energetico con le fonti fossili che produciamo in Italia. La Basilicata è il più grande produttore europeo di petrolio e nonostante tutto questo copre al massimo uno scarso 6/7% del fabbisogno italiano di petrolio. Anche se massacriamo la Basilicata dovremo sempre continuare a importare petrolio dall’estero.

    Le compagnie petrolifere spesso si lamentano perché le fonti tradizionali sono messe in crisi dagli incentivi al fotovoltaico e alle rinnovabili. Dovrebbero, però, convertire le proprie strutture verso un tipo di sviluppo e di energia più sostenibile.

    È questo il futuro, che lo si voglia o no è qui che stiamo andando, perché i cambiamenti climatici continuano, perché non è possibile trivellare più di quanto non si è già trivellato. Se vogliamo sopravvivere in maniera sana, bisogna spingere verso le energie rinnovabili.

    L’intervista completa, in cui si parla anche di movimenti anti-petrolio, fracking e vicenda Ilva sarà pubblicata sul settimanale d’inchiesta Basilicata24, in edicola sabato 25 agosto.

     

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