In Basilicata il cambiamento è come il ballo del mattone: tutti si muovono senza spostarsi

E’ ora di creare un ampio consenso intorno a un progetto vero di trasformazione dentro una nuova ecologia della politica

Si parla molto di cambiamento senza indicare percorsi e traguardi comprensibili alla maggioranza dei cittadini. La Basilicata ha subito nel corso degli ultimi 60 anni trasformazioni, anche profonde, imposte dal “mondo di sopra”, da pressioni esogene e da poteri economici e politici nazionali e internazionali alleati con gli apparati locali di governo. Dunque c’è stato un cambiamento un processo inarrestabile di “alterazione” e modifica degli assetti materiali e immateriali che sono alla base della società, dell’economia, della politica in un dato periodo storico. Il cambiamento quindi è un processo di trasformazione, di modifica delle cose. Ed ha bisogno di una sua ecologia pulita e di un suo sistema vettoriale partecipato che da oltre 30 anni non esiste. A pagarne le spese “il mondo di sotto”.

Ora, possiamo affermare tranquillamente che il cambiamento esiste a prescindere: tutto cambia, tutto si trasforma, indipendentemente dalla nostra volontà. Il problema dunque è se gli attori sociali, singoli cittadini o associati, partecipino o meno ai processi di cambiamento, orientandoli, decidendone la direzione e gli obiettivi. Stabilendo così le forme e la sostanza di un destino collettivo.

In Basilicata questo non è accaduto, se non in alcuni segmenti della vita sociale, politica ed economica e in alcuni tratti della sua storia recente. Penso a Scanzano 2001. Tuttavia è accaduto anche, ma in forma passiva, nel senso di complicità inconsapevole, quando nasce il mito del petrolio uguale ricchezza e dell’industrializzazione selvaggia uguale lavoro e occupazione. La popolazione locale si è limitata a fornire il consenso a queste trasformazioni aggrappandosi a miti che ben presto si sono rivelati falsi. Penso agli insediamenti dell’industria chimica in Val Basento e a Tito, negli anni 60-70 e più recentemente l’automotive a Melfi, oltre che all’industria petrolifera. Interventi esterni e, per molti aspetti, estranei. Si pensi anche al fatto che per avere l’Università ci sia stato bisogno di un terremoto con tante vittime. Tutti questi accadimenti non hanno avuto a che fare con un disegno democratico e popolare di cambiamento consapevole. Né la politica né la società lucane si sono rese protagoniste di un progetto condiviso, partecipato di trasformazione della Basilicata verso condizioni di vita migliori per tutti i suoi cittadini e per la salvaguardia del suo patrimonio naturalistico. E questo perché i processi di cambiamento hanno bisogno di visione, di un’immaginazione progettuale di futuro. Non delle promesse per farsi eleggere.

Detto questo, bisogna stare attenti quando si parla di cambiamento, specie nel discorso politico. Vito Bardi e il suo centrodestra volevano il cambiamento: rispetto a chi a che cosa, per andare dove? Questo non è mai stato chiarito, anche perché quella prospettiva si reggeva sulla retorica. Tant’è che ci siamo trovati di fronte a provvedimenti palliativi (vedi bonus gas) e ad azioni semplicemente dimostrative (vedi l’approccio ai concorsi pubblici) o addirittura peggiorative (vedi sanità e spopolamento). Ci siamo trovati di fronte a un cambiamento sempre uguale a se stesso, un cambiamento che non cambia. Vale per Bardi e per i governi degli ultimi 30 anni. Possiamo invece parlare di piccoli passi (avanti e indietro) che hanno trasformato ben poco delle strutture economiche, sociali, culturali, politiche e amministrative di una Basilicata che resta immobile anche se in apparenza si muove. Esistono fenomeni, per esempio lo spopolamento, che non puoi invertire in un anno o cinque anni, ancor peggio se pensi di combatterli con la politica palliativa.

In questa campagna elettorale, ascoltando e leggendo i discorsi dei candidati a tutte le latitudini e longitudini delle forze in campo, si continua a giocare sulle parole “cambiamento” e “svolta”. A ben vedere, per costoro il cambiamento non è altro che un pensiero dicotomico che separa “destra e sinistra”, e viceversa, in un ipotetico campo tra peggio e meno peggio. Nella solita modalità, “togli tu che mi metto io”. Questa dinamica giocata anche all’interno delle stesse compagini tipo togli Bubbico e metti De Filippo, togli De Filippo e metti Pittella ha prodotto né più né meno gli stessi cambiamenti che ci ha lasciato Bardi: nulla o poco o peggio, a seconda delle sfere coinvolte. E questo accadrà nuovamente con Marrese o con Bardi bis o con chiunque altro.

I temi e le promesse contenuti nei discorsi propagandistici di queste settimane, hanno nulla a che fare con qualunque cambiamento che sia davvero profondo e radicale. Perché la Basilicata non ha bisogno di chi promette migliaia di posti di lavoro, o elicotteri, o trasporti gratis per gli studenti o l’abbattimento delle liste di attesa, eccetera. Le abbiamo sentite tante volte, ammesso che siano fondate. La Basilicata ha bisogno di trasformazioni radicali, rivoluzionarie. I rammendi, le pezze, i palliativi non funzionano. E per questo occorrono anni, tanti anni. Occorrono cittadini capaci e consapevoli che eleggano non uno ma tanti rappresentanti altrettanto capaci, intellettualmente onesti, coraggiosi, senza piccoli e grandi conflitti di interesse. Occorre un progetto controegemonico che miri a sovvertire quell’insieme di alleanze di potere e interessi annidati ovunque nella politica, nell’economia, nelle istituzioni. E questo non può accadere se si continua, direttamente o indirettamente, a fornire consenso a quelle alleanze, sempre vincenti, che siano a destra o a sinistra o trasversalmente costruite. È ora di creare un ampio consenso intorno a un progetto vero di trasformazione dentro una nuova ecologia della politica e del cambiamento. È possibile? Il dibattito è aperto, ne parliamo dopo le elezioni. Oggi l’ipotesi è che nulla potrà cambiare in assenza di uno shock astensionistico. Comprendo le ragioni di chi si recherà ai seggi, e mi auguro che quelle ragioni abbiano ragione, le rispetto. Semplicemente, questa volta, non le condivido. Al contrario delle regionali, andrò a votare alle comunali e alle europee. Auguri ai votanti e un abbraccio agli astensionisti consapevoli.