La Basilicata e i piedistalli di cartone

Il popolo dei ‘lucanici’ tra miseria e improbabile nobiltà

Le responsabilità delle condizioni della Basilicata che noi comuni mortali conosciamo bene, non sono soltanto della politica. È ovvio. Sono anche alcuni lucani, è ovvio. Anzi diremo di una certa tipologia di lucani: i lucanici. E chi sono i lucanici? Gli imprenditori che hanno fatto fortuna col cappello in mano davanti alle porte dei palazzi. Le mezze calzette che hanno fatto carriera senza alcun merito, ricorrendo esclusivamente alla capacità di essere mediocri e leccapiedi. Gli esponenti del ceto impiegatizio piccolo borghese di signorsì, che nella pubblica amministrazione hanno costruito finanche il futuro di plastica per i propri figli e nipoti, chinando la testa dinanzi ai piccoli imbrogli e alle “ragionevoli richieste” del politicante di turno. Lucanici sono coloro che hanno accettato di scambiare i diritti con le lenticchie, il voto con una misera promessa. Chi non ha la coscienza del limite e il senso dell’umiltà. Chi si costruisce biografie improbabili, curricula pergamenati e piedistalli di cartone. Troppa ufaneria in giro.

Passeggiando tra i social network, tra bacheche, locandine, giornali e giornaletti, scopriamo una Basilicata sovrappopolata da scrittori, giornalisti, poeti, statisti, economisti, teatranti, tutti esperti certificati dai galloni fatti in casa in ogni settore dello scibile umano. E ci chiediamo come mai, con cotanta scienza diffusa, con cotanta abbondanza di intellettuali, questa povera terra nostra sia così messa male. Negli ultimi tempi, soprattutto in periodo elettorale, notiamo un “rigurgito di orgoglio” da parte di taluni cosiddetti giornalisti e scrittori, o viceversa, i quali corrono in soccorso del Principe, come spesso è accaduto nella storia dall’Unità d’Italia in poi. Quelli più scaltri, e bisognosi di prebende, indossano i panni dell’intellettuale di alto bordo e scrivono, con apparenza critica, le lodi del Potente. Fateci caso, hanno un fare grottesco, forse perché quei panni svelano uno stile da paggetto. E si avventurano anche nel maldestro tentativo di confutare le argomentazioni di coloro i quali, pochi, fanno le pulci al Principe.

A questi paggetti, fanno da contorno ‘giornalisti’ e ‘scrittori’, o viceversa, i quali dopo una vita professionale trascorsa a passare le veline del Potere, si tengono alla larga dai temi caldi. Intorno a tutto questo ben di Dio di intelligenze, nascono “riviste”, pseudo giornali e giornaletti, blog e pagine social che provano, in cambio di qualche avanzo di giornata, ad accattivarsi il Principe. Tutti aspiranti cortigiani di una corte già affollata di donne e uomini che, per la loro nobile e sapiente mediocrità, frequentano, o aspirano a frequentare, le stanze del Principe e a partecipare ai banchetti. Però attenzione: i Prìncipi, o aspiranti tali, sono dappertutto a destra a sinistra sopra e sotto, mentre i princìpi non si capisce che fine abbiano fatto. La Basilicata, intanto, continua a crogiolarsi nelle sue miserie.

*La parola proviene dallo spagnolo ufano, orgoglioso, ufaneria significherebbe dunque orgoglio. In realtà significa anche vanitoso, ma non basta. Il termina ha assunto una estensione semantica pertinente con il senso dell’articolo. Eccessiva autostima di chi crede di sapere tutto e di saper fare tutto. Alta considerazione di se stessi. Ostentazione di meriti inesistenti e eccessiva considerazione delle apparenze. Il termine è anche in alcuni dialetti lucani. Il significato va da esagerato a uno che dice sciocchezze per farsi grande “quello è ufanarë.” Cosa di apparenza.

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Riadattamento di un articolo già pubblicato nel gennaio 2018 e firmato dallo stesso autore