L’Autonomia differenziata e la testa sotto la sabbia

16 settembre 2023 | 15:53
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L’Autonomia differenziata e la testa sotto la sabbia

Sempre più al Sud ci si rende conto di essere ‘cornuti e mazziati’: poca spesa pubblica, zero o quasi infrastrutture, visione sullo sviluppo nulla e in aggiunta sentirsi anche dire che … ‘sono terroni’

Il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno D’Italia, in sostituzione del Regno di Sardegna, e l’Italia, almeno in apparenza, fu unita … quasi tutta.

Credo che neanche la mitica casalinga di Voghera abbia mai pensato che solo il giorno prima fosse nata l’idea dell’Italia Unita. Chi ha letto qualche libro, e non si è formato solo su Tik Tok, sa invece benissimo quanto lontano nel tempo covasse sotto traccia l’anelito unitario. L’accelerazione finale iniziò con le guerre napoleoniche e, con un processo a volte discontinuo con incertezze di percorso e incoerenze di forme e sostanze, si arrivò 60 anni dopo all’Italia unita.

Un piccolo florilegio delle trame risorgimentali

Giusto per fare un piccolo florilegio delle trame risorgimentali ricordiamo la Repubblica Napoletana nel 1799, il parlamento delle Due Sicilie nel 1820 e ancora nel 1848, mentre, sempre nel 1848, Vittorio Emanuele II, succeduto al Re Tentenna Carlo Alberto, inviava i bersaglieri a Genova a sedare con sangue, stupri e terrore il governo autonomo cittadino proclamato dai mazziniani. Qui si posero le radici di uno Stato violento, che alla sete di giustizia sociale del brigantaggio rispose con gli stessi strumenti utilizzati a Genova, con una violenza a cui i Borbone non avevano neanche lontanamente pensato per sedare le varie rivolte sociali (Sulle basi sociali del brigantaggio vedi i Quaderni dal carcere. A. Gramsci). Stato che nacque portando in sé l’origine del fascismo, nato dalla saldatura tra gli interessi del Nord borghese e industriale e quelli del latifondo al Sud e che vide protagonista la violenza, come sistema per risolvere i conflitti sociali, non solo a Genova ma anche a Pietrarsa nel 1863 e a Milano nel 1898 con Bava Beccaris. C’è stato persino un momento in cui si pensava che i Borbone, e il Regno delle Due Sicilie, potessero essere gli unificatori del Bel Paese, tanto che Giuseppe Verdi scrisse l’inno La Patria in favore di Re Ferdinando II. Sotto traccia i comitati, la massoneria, e tante piccole e grandi iniziative che sfuggivano ai radar della maggioranza della popolazione.

Oggi è all’ordine del giorno della politica l’Autonomia Differenziata.

Se ne parla ipocritamente senza riconoscere il brodo di coltura in cui questa riforma è nata e prospera. Mi riferisco a quanto accadde con la Lega Nord tra i prati di Pontida, i riti dell’ampolla tra il Moncenisio e la Laguna Veneta, i giochi celtico padani a suon cazzotti in faccia e tiri alla fune ritmati da slogan come: “ammazza un terrone risparmia un milione” o “Forza Etna” e altre amenità del genere. Certo tra il ‘Tanko’ a piazza San Marco e qualche malversazione come quelle che costrinse il Trota, figlio di Umberto Bossi, alle dimissioni da consigliere regionale lombardo, e il fallimento della Banca Padana non tutto ha funzionato per il meglio ma gli autori di queste prodezze, complice anche certa sinistra alla Bonaccini, continuano da 40 anni a coltivare un disegno secessionista dove ‘ognuno è padrone a casa propria’ e dove finalmente si potrà realizzare il ‘canale d’Africa’ che separa il Sud dal nord Italia e dove i coccodrilli mangiano i terroni che cercano di attraversarlo.

La selezione della classe dirigente

Tutto questo senza tema del ridicolo e senza che la società civile e il ceto intellettuale e dirigente del Paese reagisse. Anzi, il responsabile economico protempore del PD, Emanuele Felice, mandava nel 2013 alle stampe un libro dal titolo impegnativo, Perché il Sud è rimasto indietro, dove si mettevano insieme i più triti luoghi comuni sulla natura antropologica del divario e si invitavano i ‘terroni’ a selezionare meglio la propria classe dirigente perché con tutti i guai che aveva il Nord o il Sud se la cavava da solo o amen. Che la classe dirigente politica del Sud non sia il massimo è vero, ma che sia peggio di quella del Nord è tutto da dimostrare. Oppure pensate sul serio che Occhiuto e Bardi siano peggio di Fontana, Formigoni o Zaia oppure che l’incolore Manfredi sia peggio del supponente Sala? Siamo seri!

I vasi di Pandora

Non so come finirà questa storia ma il progetto del DDL Calderoli ha scoperchiato troppi vasi di Pandora per cui al Sud ci si comincia a rendere conto che la narrazione delle cause antropologiche alla base del divario Nord Sud è la bufala meglio costruita degli ultimi 162 anni.

Per esempio, grazie ai Conti Pubblici Territoriali voluti da Carlo Azeglio Ciampi e che ripartiscono tra le regioni italiane oltre 1.000 miliardi di spesa pubblica corrente, ora sappiamo, dati 2020, che nella provincia autonoma di Bolzano lo stato spende   28.682 euro anno per abitante mentre in Campania solo 14.851 euro. Magari a qualcuno può iniziare a venire il sospetto che forse i motivi antropologici non possono da soli spiegare il differente tenore di vita tra i terroni campani e i nordici bolzanini che hanno impianti sciistici di avanguardia, al contrario dei loro amici austriaci.

Prendiamo poi le spese per le politiche sociali, pensioni servizi sociali eccetera, in Lombardia siamo a 8.003 euro anno pro capite in Campania a 5.491. I dipendenti delle istituzioni non profit, secondo Istat, sono, sempre nel 2020, 58 per ogni 10.000 abitanti in Lombardia mentre in Campania solo 39. Anche qui solo questioni antropologiche?

Potremmo poi passare alle infrastrutture fisiche e amministrative e via dicendo dove l’A.V. ferroviaria al Sud lascia il passo alle tradotte o al nulla e le autostrade a mulattiere, se va bene. Già, perché se al Nord si continuano a fare autostrade inutili come la Pedemontana o la BreBeMi al Sud manca ancora quel collegamento veloce tra lo Ionio e il Tirreno che invocavano già nel 1860 i padri risorgimentali Albini, D’Errico e Racioppi (Storia della Basilicata Cestaro – De Rosa). Collegamento finalmente progettato fino alla fase esecutiva della Lauria – Candela dopo 140 anni dall’Unità, ma cancellato a fine del secolo scorso dai governi Prodi e Berlusconi per entrare in Europa. Le ‘mazzate’ al Sud sono sempre bipartisan. A proposito mi farebbe piacere se qualche deputato o senatore del Sud facesse una piccola interrogazione parlamentare sulla gestione degli investimenti Intel, previsti a Catania e ora non si sa bene dove, di Giorgetti.

Secondo i Quaderni di Economia e Statistica della Università di Pisa del 2012 (quaderno 663 pag. 40) sulla situazione attuale del Sud c’entrano poco anche i Borbone. Fatto 100 il PIL medio pro capite italiano quello campano era nel 1871 a 107; oggi è a 65. In media il Sud ha perso in 162 anni oltre 20 punti mentre il Nord ne ha guadagnati una decina peggiorando così il divario di oltre 30 punti e se la logica alberga ancora in questo Paese questo significa che le classi dirigenti politiche e sociali che sono succedute ai Borbone hanno fatto peggio di loro per il Mezzogiorno.

Cornuti e mazziati

Insomma sempre più al Sud ci si rende conto di essere ‘cornuti e mazziati’: poca spesa pubblica, zero o quasi infrastrutture, visione sullo sviluppo nulla e in aggiunta sentirsi anche dire che … ‘sono terroni’.  Specialmente quando si dice che per garantire al Sud gli stessi Livelli Essenziali di Prestazione servono 100 miliardi anno che equivale a dire che sino ad ora i livelli essenziali di prestazione sono stati garantiti solo al Nord. Se poi andiamo al PNRR qualcuno inizia a fare i conti e, a ragione, afferma che mentre il governo dei Los Patriotas continua a cancellare opere al Sud se il Sud fosse nuovamente Stato Autonomo la quasi totalità dei fondi sarebbe destinata proprio al Sud, invece delle attuali elemosine.

La testa sotto la sabbia  

Ora possiamo fare finta che tutto questo non esista, che non ci siano chiacchiere e persone che riflettono sottotraccia su tutto questo e che la pazienza del Sud sia infinita e che per il Sud l’Unità d’Italia sia un valore assoluto. Io credo invece che nessuna persona, donna o uomo che sia, che senta di appartenere al ceto dirigente e intellettuale di questo Paese possa continuare a mettere la testa sotto la sabbia e non vedere il problema senza sentirsi corresponsabile della probabile fine di questo Paese.

Come un fiume carsico che scava la terra fino a provocare le voragini, così l’idea secessionista che da 40 anni dal Nord scava sotto traccia ora sta prendendo piede anche al Sud. Siamo a un bivio, reso ancora più drammatico dalla malsana idea di collegare la riforma della Autonomia Differenziata al presidenzialismo. Le due cose si tengono insieme solo con uno stato di polizia.

In ogni caso, senza pensare a esiti drammatici, il quadro istituzionale italiano ed europeo fornisce delle scappatoie utili a soluzioni compatibili con il quadro istituzionale italiano ed europeo. Se dovesse passare l’Autonomia Differenziata cosa può impedire alle regioni del Sud di unirsi in una unica Macroregione e chiedere l’autonomia differenziata su tutte le 23 materie previste? Una secessione di fatto? Di certo il Nord non potrà più parlare in Europa anche a nome del Sud. Come direbbe Luca Zaia: ragioniamoci sopra. Pietro De Sarlo