Fondi Europei: la Basilicata deve spendere ancora 565 milioni

"Cifre importanti che sommate a quelle dei Pon legalità e Inclusione possono, se utilizzate rapidamente e con efficacia, sostenere le attività produttive, il reddito e l’occupazione"

L’agenzia per la coesione territoriale ha diramato i dati relativi alla spesa certificata dei Fondi UE al 31 dicembre 2019 del programma 2014/20. L’Italia a fronte di una dotazione finanziari di 53.239 milioni ha certificato una spesa 15.187 milioni, restano da spendere 38.051. La Basilicata a fronte di una dotazione complessiva di 839 milioni,349,8 Fesr-215,2 Fse, ha certificato 200 per Fers e 74 per l’Fse per un totale di 274 milioni. Restano da utilizzare 564 milioni,349,8 Fers e 215 Fse.

Per la Regione Basilicata si tratta di cifre importanti che sommate a quelle dei programmi nazionali Pon legalità e inclusione possono, se utilizzate rapidamente e con efficacia, sostenere le attività produttive, il reddito e l’occupazione. Si tratta di fare presto mobilitando le parti sociali le amministrazioni locali, rafforzare la progettazione, l’assistenza tecnica.

I tempi per recuperare i ritardi, nonostante la Basilicata sia la prima regione nel Mezzogiorno per le percentuali di spesa, sono particolarmente brevi. Secondo la regola N+3 la certificazione finale deve avvenire entro tre anni dalla inclusione in bilancio quindi entro il 2023.

E’ paradossale che mentre si dibatte sulla Zes, che ha una posta finanziaria molto inferiore a quelle da spendere con i programmi comunitari, non si riesca ha garantire l’ attuazione e l’eventuale adeguamento delle misure programmate specialmente nell’ambito delle infrastrutture, dei servizi e della formazione professionale. Ecco la formazione professionale. Si tratta di un comparto praticamente fermo da alcuni anni, la spesa di 74 milioni per il Fse lo testimonia ampiamente.

Tutto questo comporta gravi danni per i disoccupati, le imprese, il sistema scolastico, che a suo volta utilizza pochissimo il Pon Istruzione anche per la carenza strutturale di adeguata assistenza tecnica.

Il blocco del sistema formativo, compresa quella continua, determina la crescita della disoccupazione: oltre trentamila iscritti ai Centri dell’Impiego sono in possesso di licenza elementare e media senza nessuna qualifica professionale mentre resta inevasa la domanda di lavoro di mestieri e lavoratori qualificati. Lo stesso vale per circa 30.000 diplomati e laureati privi di profilo professionale post diploma e laurea. Le attività formative per i diplomati sono praticamente inesistenti mentre l’offerta formativa post laurea dell’Università della Basilicata è al lumicino dopo la chiusura del Centro di Alta Formazione che ha privato anche i giovani, compresi i discendenti lucani, di opportunità formative per il rientro in regione.

Tutto questo mentre prevale il dibattito sulla fuga dei giovani dalla Basilicata, lo spopolamento, la depressione.

Forse è giunto il momento di recuperare, anche per aumentare la velocità della spesa dei fondi comunitari, il metodo della programmazione, pratica del tutto scomparsa e sostituita da interventi di rimessa e dalla sindrome degli interventi per lo sviluppo “culturale” nutrito da sagre, rievocazioni e la centralità del “Campanile”, interventi salvifici di fronte ad emergenze, a fronte della necessità di aggregare servizi comuni e di area oppure garantire l’attuazione dei progetti di zona come nel caso sei servizi sociali che registrano avanzamenti particolarmente bassi a seguito della carenza di personale e di utilizzi delle professioni necessarie.

Non è un caso che il Piano Strategico Regionale non sia pronto e nessuno conosce contenuti e proposte mentre il tempo passa e la situazione si aggrava. Le parti sociali preparano proposte, documenti, piani e rivendicano giustamente dialogo e confronti: prevale al momento l’auspicio mentre i tavoli di confronto sono sostituiti da polemiche di basso profilo e si allargano l’afasia e il sordomutismo istituzionale. Diventa cosi difficile creare altra occupazione, alzare il reddito, tutelare l’ambiente, fermare lo spopolamento.

In questo quadro vanno apprezzati gli esiti dell’anno di Matera Capitale Europea della Cultura e del rafforzamento di taluni interventi nel settore dell’automotive e dell’agro alimentale dove ha funzionato la ricerca applicata con nuovi processi produttivi, in parte finanziati dallo Stato e dalla Ue, che hanno permesso di conservare i mercati, produrre innovazione e creare lavoro.

Pietro Simonetti, Centro studi e ricerche economiche e sociali

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