Il caso Elisa Claps e la città senza (para)occhi

“Non era mai successo che questa città si fosse schierata contro chi occupa i piani superiori”

Non era mai successo che questa città si fosse schierata contro chi occupa i piani superiori. In genere sono sparuti coloro che lo fanno perché qui, come molte altre parti in cui la vita di uno è un po’ la vita di tutti, esporsi fino a manifestare in piazza addirittura contro Santa Madre Chiesa, beh, se non è epocale questa rivolta, ditemi voi cos’è.

Partiamo dal principio. Una città da sempre governata da due poteri chiaramente identificabili da cittadini che ne hanno assecondato i voleri, le visioni (quando ci sono state) e persino i capricci: la Chiesa e la politica. Il popolo potentino, più ancora di quello lucano, è sempre stato piuttosto indulgente verso l’esercizio delle due potestà, accettando per decenni supinamente che esse guidassero le scelte fondamentali della vita civica. Poi il velo si spezza con quello che, in tutta evidenza, deve essere stato un mero incidente di percorso: un ragazzo fuori di testa la fa fuori dal vaso e commette qualcosa che contribuisce a far inclinare un piano che, fino a quel momento, sembrava perfettamente intoccabile.

La famiglia Claps, una famiglia qualunque di questa città, gente che non ha mai avuto bisogno di chiedere nulla a nessuno, si è vista da un giorno all’altro privata dell’amore della propria figlia a causa di un imprevedibile, stramaledetto, incidente, e da quel momento quel piano inizia a subire qualche oscillazione. Sull’onda emotiva della sparizione di quella povera ragazza, e anni dopo, su quella del ritrovamento del cadavere, migliaia di cittadini iniziano a porsi delle domande, e in un posto come questo già farsi delle domande vuol dire insinuare qualcosa che per decenni nessuno aveva fatto: coltivare il seme del dubbio.

Gli anni passano senza che quelle domande sembrassero portare da nessuna parte, i dubbi vengono tacitati dall’elemento che più di tutti ha in sé il potere fondamentale dell’oblio: il tempo. Anche se tutto sembrava essere ricaduto nella consuetudine della routine, ecco che d’improvviso si riaccendono i riflettori sul caso: prima con un semplice podcast a cui nessuno aveva mai pensato: come può un semplice racconto audio (senza nemmeno l’ausilio delle immagini) smuovere tante coscienze? E invece lo ha fatto.

E dopo quel podcast ecco arrivare anche le immagini. Dirompenti, laceranti, implosive che pongono l’accento sulla questione personale ancor prima che su quella giudiziaria, e si sa che quando si toccano i nervi scoperti dell’anima, ciascuno – ma proprio ciascuno – si sente chiamato in causa.

Ecco così accadere l’imprevedibile: una accorata, sentita e partecipata contestazione all’organo che a queste latitudini nessuno mai aveva nemmeno lontanamente osato mettere in discussione. Nemmeno il bottoncino rosso cardinalizio ritrovato sul cadavere della povera ragazza aveva prodotto qualcosa di così roboante, contestatorio e di assoluta rottura con il passato. È un’autentica rivoluzione sociale, la gente sembra aver abbandonato la sua proverbiale tolleranza verso i piani alti, e scende in piazza a manifestare nel luogo religiosamente iconico della città, uno spiazzo ormai conosciuto in ogni parte del mondo: il largo della chiesa della Trinità. E da questo momento, da questa pubblica contestazione, si apre una spaccatura le cui conseguenze possono andare solo verso una direzione: una comunità che sta progressivamente togliendosi i paraocchi che l’hanno resa miope, e coglie il caso del giorno per diventare, per la prima volta nella sua storia, consapevole delle proprie scelte. Dino De Angelis, narrautore.