La domanda che nessuno fa: qual è la massima aspirazione di un uomo?

A proposito delle affermazioni della senatrice Mennuni sulla maternità: sembra una gara a chi suggerisce alle donne la risposta migliore riguardo a cosa debbano aspirare. Strano che nessuno o nessuna abbia risposte per gli uomini

Si, è vero, forse non se ne dovrebbe più parlare, se ne è parlato anche troppo, ma a volte non si riesce proprio a stare zitti! Una senatrice italiana, ormai, temo, nota ai più, Lavinia Mennuni, alcuni giorni fa ha dichiarato che “…La massima aspirazione di una donna deve essere la maternità…” aggiungendo che bisogna far di tutto perché diventi “cool”. La cosa ha suscitato indignazione e reazioni tra le donne e gli uomini della politica e non. Schlein, per esempio, citando una voce dell’area opposta a quella di Mennuni, ha detto al riguardo: “La massima aspirazione di una donna? Diventare Rita Levi Montalcini, non madre”.

Sembra una gara a chi suggerisce alle donne la risposta migliore riguardo a cosa debbano aspirare. Forse, la massima aspirazione di una donna dovrebbe essere sentirsi realizzata, indipendentemente dalla situazione, l’impiego, la collocazione nel mondo e nella società, insomma, la sua massima aspirazione deve essere perseguire ciò che lei desidera. Levi Montalcini non ha avuto aspirazioni migliori o peggiori rispetto ad un’altra donna che ha scelto di essere madre e di farlo a tempo pieno e viceversa, a patto che quello che entrambe hanno vissuto sia stato realmente frutto di una libera scelta. Inoltre, trovo assurdo e sminuente per la maternità stessa sentir dire che deve tornare “cool”, come se, la rinuncia a creare con un compagno una famiglia, dipendesse dal fatto che ciò sia più o meno di moda. Ma in un mondo in cui il punto di riferimento per maturare un pensiero (per così dire!), spesso, sono un certo tipo di blogger o alcuni discutibili social, tale affermazione trova, in fondo, una giusta collocazione. Se infatti la maggior parte di noi fosse ancora in grado di esprimere pensiero critico, queste tristi affermazioni non avrebbero alcuno spazio, non esisterebbero.

Invece di proporre un presunto modello unico a cui aspirare che dovrebbe andar bene per tutte le donne, alla faccia dell’unicità di ogni essere umano, ciò che andrebbe discusso è cosa fare per aiutare e sostenere concretamente le donne che desiderano un figlio e produrre risultati reali e sensati. Leggo, per esempio, che sono stati stanziati milioni per la creazione di asili gratuiti per le mamme che hanno già almeno due figli. Ma qualcuno ha realizzato che, a meno che non nascano dei gemelli, le donne devono prima affrontare il problema di gestire un figlio? Magari, per questo, e non potendosi permettere babysitter o asili privati, sono state costrette a rinunciare al proprio lavoro e, quindi allo stipendio, per gestire la quotidianità famigliare. Sarà giusto il caso di ricordare che molte donne maltrattate fisicamente e psicologicamente non denunciano ciò che subiscono soprattutto perché non hanno una loro autonomia economica.

Insomma, per riecheggiare le parole della nostra Costituzione il problema è rimuovere gli ostacoli alle scelte libere e responsabili: si creino opportunità, una genitorialità consapevole e i figli certamente verranno per chi li desidera. Si creino le condizioni per realizzarsi nel lavoro con pari opportunità e si avranno lavoratrici e lavoratori soddisfatti in grado di affrontare anche una responsabile genitorialità.

Un’altra contraddizione rispetto a quanto dichiarato in varie fasi da Mennuni riguarda quelle donne che, in perfetto accordo con la senatrice, ritengono la loro massima aspirazione diventare madre, ma che per ragioni fisiche non sono in grado di portare avanti una gravidanza e chiedono l’aiuto gratuito e generoso di una sorella o un’amica per una maternità surrogata. Questa scelta diventa, per Mennuni, un obbrobrio contro natura. Allora, proviamo a fare pace con il cervello: se la massima aspirazione di una donna è la maternità, perché non si deve far tutto ciò che è lecito perché quella donna la/si realizzi?
Su un tema analogo, alcuni anni fa, uscì un articolo di Camillo Langone su Libero, che titolava così: “Togliete i libri alle donne e torneranno a fare figli”. Non faccio valutazioni al riguardo e lascio liberi i lettori e le lettrici di sbizzarrirsi, ma sicuramente un’affermazione di questo tipo fa pendant, seppur in senso contrario, con quello che una ragazzina, che avrebbe dovuto avere come massima aspirazione, quello di diventare madre e moglie, diceva: “Un bambino, un insegnante una penna e un libro possono cambiare il mondo”. Questa ragazzina è Malala, premio Nobel per la pace che, per realizzare la sua massima aspirazione, che per lei è avere diritto allo studio, non ha fatto chiacchiere, ma ha messo in gioco la sua vita e per poco non l’ha persa.
Samir, condannata a morte per impiccagione pochi giorni fa in Iran per aver ucciso il marito. Forse avrebbe voluto studiare, ma la sua famiglia ha ritenuto che la sua massima aspirazione dovesse essere fare la madre e la moglie, poco contava a quale prezzo, non importava quante percosse e umiliazioni continue dovesse subire a partire da soli 15 anni. Samir era madre di tre figli aveva, quindi, raggiunto la sua massima aspirazione e, avendo dato al mondo più di due figli, aveva pagato il suo contributo alla società. Certo, Mennuni non aveva in mente queste situazioni estreme quando parlava, in Italia le donne possono ancora scegliere nella maggior parte dei casi, ma in un momento storico in cui migliaia di donne iraniane e non solo stanno rischiando la vita quotidianamente per i più importanti dei diritti, quello all’istruzione e soprattutto quello alla libertà individuale, non si può tollerare chiunque voglia arrogarsi il diritto di decidere quale sia la massima aspirazione di una donna.

La Cultura fa paura, donne e uomini che hanno tempo e vogliono formarsi in modo profondo e consapevole fanno paura. È forse per questo che lo Stato ha abbandonato l’Università asservendola alla politica locale? È forse per questo che la Scuola è sempre più nozionistica e costretta dentro programmi ministeriali sempre più essenziali?

Certo è che mancano, ogni giorno di più, soprattutto per i giovani, punti di riferimento autorevoli dal punto di vista culturale a cui volgere lo sguardo: da quando gli intellettuali, e gli umanisti in particolare, aiutavano lo sviluppo del pensiero critico, di tempo ne è passato! Le università assomigliano sempre più ad aziende, ognuno difende se stesso e il proprio spazio, non più la Cultura. Gli intellettuali tacciono o parlano troppo in trasmissioni televisive dove spesso soddisfano solo il loro narcisismo facendo passare senza alcuna reale opposizione situazioni e parole sempre più gravi.

Forse quello che sto scrivendo, questo mio pensare a voce alta, è solo un ripetere cose già scritte e pensate, ma in tutto il dibattito acceso che si è svolto in questi giorni sulle affermazioni di Mennuni nessuno ha posto una domanda essenziale, anche per una questione di parità, e, allora, vorrei farlo io: quale è la massima aspirazione di un uomo? Strano che nessuno o nessuna al riguardo abbia risposte. *Patrizia del Puente, docente dell’Unibas