Potenza vive da tempo una crisi progressiva tra le più profonde della storia

L'appello alle energie vive della città dell'ex consigliere comunale Liccione

Potenza vive da tempo una crisi progressiva tra le più profonde della sua lunga storia: disconosciuta come capoluogo, privata di importanti presidi pubblici, sociali ed economici, svilita a luogo d’uso di servizi indispensabili, impoverita da scelte politiche pubbliche mirate a depotenziarne il ruolo e la funzione, silenziata a causa della sostanziale falcidia dei suoi rappresentanti.

Settori vitali della città sono in ginocchio, funzioni essenziali sono trascurate.

Tutti i poli di eccellenza che dovrebbero costituire le principali ragioni della centralità di Potenza rispetto alla regione ed al mezzogiorno in generale vivono difficoltà sistemiche:

il polo sanitario ed il suo epicentro del S.Carlo, il sistema scolastico, l’università, il reticolo commerciale ed industriale, il sistema delle professioni liberali, l’imprenditoria specie dei settori tradizionali, il terziario, i servizi.

Tutto ciò che è vitale e fa di Potenza una città dinamica è travolto da una crisi che le istituzioni e gli enti riflettono ed amplificano ovunque.

La Regione, come è noto, è ad oggi quasi esclusivamente un dei più grandi datori di lavoro con sede in città.

Toccate con mano le difficoltà dell’innovare facendo, l’ultimo ed inedito governo comunale restituisce una immagine un po’ sbiadita, un suono quasi impercettibile ai suoi cittadini: un moto fatto di piccoli passi il cui dipanarsi abbiamo seguito con cura, senza però percepirne in fondo il tratto sistemico, il progetto d’insieme, la visione, al netto della scelta dirompente del dissesto.

In vero, il più potente contenuto dell’attuale consiglio è semplicemente la sua composizione, frutto di uno slancio generoso di ribellione dei cittadini al vecchio potere dei partiti e dei professionisti della politica in favore di volti in prevalenza nuovi, giovani e per ciò stesso latori di un messaggio di discontinuità e di uno slancio ideale da valorizzare in sé.

Come è noto, ho fatto parte del consiglio comunale di questa città per una dozzina di anni a cavallo tra il primo ed il secondo millennio senza mai ricoprire, tuttavia, funzioni di governo, toccate ad un numero notevole di altri colleghi selezionati in ragione di logiche che evidentemente non mi vedevano, come altri, particolarmente competitivo.

Ho abbandonato l’assise due anni prima della scadenza naturale della seconda sindacatura Santarsiero, dal quale mi separavano alcuni punti di vista.

Tuttavia quelle sindacature avevano uno slancio proiettivo, un senso del divenire della città in un contesto temporale e spaziale più ampio.

Lì non v’era afonia, ed il moto era accompagnato da una potente eco che, tuttavia, ha persuaso poco e spesso selettivamente la città.

Nella sostanza l’attuale nuovissimo governo della città e le esperienze Santarsiero e finanche Fierro hanno in comune molto più di quanto si pensi.

I lasciti dei predecessori e le ristrettezze dei finanziamenti pubblici e statali sono argomenti inutilizzabili agli occhi di chi viene governato. E’ sempre stato così.

Così come andrebbe raccolto, e sarebbe un inedito, lo slancio di partecipazione e l’attivismo civico di tante associazioni, comitati, movimenti -ce ne sono e già operano con impegno in città- in grado di offrire servizi pubblici e soluzioni pur essendo dei soggetti privati.

Il malessere in città è invece tangibile e quotidiano, per nulla lenito da giustificazioni tipo il dissesto o il riequilibrio di bilancio che non hanno mai compiuto il miracolo di rattoppare neanche una delle tante buche, figurarsi creare empatia tra amministratori ed amministrati.

Su questo terreno è stata accettata la sfida di essere impopolari pur di non essere antipopolari. Ma bisogna andare oltre.

I nuovi temi che porta la globalizzazione anche nella nostra città, come l’integrazione e la sicurezza, la difesa del territorio dallo sfruttamento per fini energetici, il sistema informatico dei servizi ed open data, ma anche i temi tradizionali come la mobilità, l’urbanistica partecipata e del recupero, l’impiantistica sportiva, il sistema scolastico, i trasporti, i rifiuti, la valorizzazione del verde e dei parchi, gli usi civici, l’edilizia sociale, l’università e il centro storico, la zona industriale ed artigianale, la valorizzazione del patrimonio culturale, storico ed architettonico anche a fini turistici sono i capitoli da riempire contenutisticamente con un progetto aperto da scrivere e/o aggiornare a più mani, avendo il coraggio di operare secondo buon senso piuttosto che secondo il senso comune.

Non aiutano granché i partiti, più spesso ripiegati su questioni per nulla incomprensibili, ma che appassionano solo gli addetti ai lavori. Né aiuta la percezione che essi sembrano avere di Potenza: l’ultima e la meno prestigiosa delle caselle da riempire nel risiko lucano, sempre meno amata (da loro) e sempre meno valorizzata (sempre da loro, che difatti, ahinoi, sono sempre meno potentini).

E’ flebile il contributo del dibattito amplificato dai media, alle volte orientato, altre pregiudizialmente schierato pro o contro questo o quello, finendo così per riflettere la limitata centralità riservata alla città. Bisogna fare da sé con gli strumenti della partecipazione e della cittadinanza.

E’ arrivato forse il momento di dare alla città ciò che essa merita: un limpido slancio civico in grado di scuotere tutti e rimuovere inerzie, ritrosie e steccati, affinchè le migliori energie di questa città –e sono davvero tante- scrivano il suo futuro. Lo spazio per fare è enorme.

Che queste energie emergano, allora. Che si facciano avanti semplici cittadini, associazioni, comitati, categorie, ordini professionali, partiti, amministratori, movimenti, sul semplice asse metodologico della partecipazione e dei contenuti.

C’è molto lavoro da fare e non si è all’anno zero. Sarebbe così prezioso questo semplice e primo granello.

Rocco Liccione già consigliere comunale di Potenza